mercoledì 23 luglio 2014

STRADE ROMANE: TRIONFALE




SOCRATE  (470/469-399 a. C.) , figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete.  Sposò Santippe ed ebbero i figli Lamprocle, Sofronisco e Menesseno ( secondo  altre versioni Socrate ebbe anche  un’altra moglie, Mirto ) . Il suo insegnamento, che aveva luogo nelle piazze e nei banchetti,  era esclusivamente orale e consisteva nel discutere e  nel contraddire i suoi interlocutori col fine ultimo di aiutarli a   partorire la verità. Frequente era il suo uso dell’ironia, che lo rese , sovente, inviso a molti ateniesi.  Nel 399 fu condannato a morte  con l’accusa   di empietà verso gli dei, di introdurne di nuovi ( demone socratico) e di corruzione dei giovani . Suo motto famoso fu  “ Conosci te stesso “.        
 
                                                                    




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PLATONE ( dal greco platus = ampio , non si sa bene se riferito alla sua fronte o alle sue spalle ) visse tra il 427 e il 347 a: C.   Il suo vero nome era Aristocle e apparteneva a una famiglia di nobile origine sia da parte di padre che di madre.  Evento fondamentale  per le sue  successive scelte filosofiche ed esistenziali  fu l’ingiusta e tragica morte di Socrate, di cui egli era stato, per circa nove anni,  un affezionato discepolo. Viaggiò molto e più volte, nel corso della sua vita, si recò a Siracusa, dove tentò, in diverse occasioni, e sempre invano, di fondare il suo  modello  di  Stato ideale , descritto, in parte, nella sua opera La Repubblica , che, nonostante le sue incondivisibili finalità  autoritarie e totalitarie, resta, comunque , a mio parere, come d’altronde tutti i dialoghi  platonici, di interesse filosofico eccezionale per i numerosi spunti di riflessione e di discussione che offre .  Ad Atene  diresse la scuola filosofica “ Accademia “ ( detta così perché situata vicino ai giardini in onore dell’eroe Accademo


  


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GIORDANO BRUNO ( 1548- 1600) Nacque a Nola vicino a Napoli.  A 18 anni , già esperto di latino e di logica,  divenne monaco domenicano e mutò il suo nome originario di Filippo in quello di Giordano. Più volte fu accusato dai suoi confratelli  di comportamenti e di letture , tra cui per esempio Sulle rivoluzioni celesti di Copernico (nome italianizzato) e gli scritti neoplatonici attribuiti ad Ermete Trimegisto, , non  consone al suo  abito .  Nel 1576, lasciò definitivamente  l’ordine domenicano e iniziò una vita di avventure e di viaggi nelle più grandi città europee , dove acquisì una notevole fama come filosofo , astronomo e mago .  Molto richiesta fu anche la sua padronanza nell’arte della memoria ( memnotecnica).  Su invito di Giovanni Mocenigo, Bruno si stabilì a Venezia, ma dopo qualche mese di incompatibile convivenza,  Mocenigo lo denunciò per eresia  al Santo Uffizio, Consegnato all’ Inquisizione  romana , dopo sette anni di carcere e due processi ,fu condannato al rogo ed arso vivo a Piazza Campo dei fiori a Roma. . Non ritrattò  le sue dottrine e famose restano le sue  ultime parole:  “ Non voglio pentirmi,non ho di che pentirmi, non so di cosa pentirmi”. Alla fine del secolo XIX fu celebrato  come “martire del libero pensiero” ed eretta una sua statua , più o meno, nel luogo dove era stato ucciso.

 


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TOMMASO CAMPANELLA (1568-1639)  Frate domenicano e filosofo fu condannato per eresia  nel 1591 e nel 1594.  Nel 1597  fu confinato a Stilo, sua città natale, dove acquisì una notevole fama  anche come taumaturgo e mago. Nel 1599 fu arrestato con l’accusa di stare organizzando una congiura antispagnola. Si finse pazzo per evitare la pena di morte e sopportò  varie torture senza tradirsi. Restò  in    carcere fino al 1626.  Poi , dopo un breve periodo, in cui godette la protezione del Papa Urbano VIII, fu nuovamente accusato  di congiurare col fine di creare una repubblica in Calabria.  Riuscì a fuggire in tempo e si trasferì a Parigi , dove fu ben accolto dal re Luigi XIII e dal  cardinale Richelieu. Sua opera fondamentale fu , La città del sole, dove, sulla scia della  “Repubblica” di Platone,  espose  il modello di una società utopistica, in cui, tra l’altro, non vi erano né servi né padroni e non era ammessa la proprietà privata. 

                                                   

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