martedì 3 maggio 2011

ANARCHICINI: XENOFOBIA E PROTEOFOBIA

                                                                    
  Prima dell’ Affaire Dreyfus  erano già esplose , in Francia, manifestazioni   xenofobe ,  rivolte, in modo particolare, contro la presenza  di emigrati italiani che, per sfuggire le miserabili condizioni di vita dei loro paesi d' origine, erano disponibili a lavorare  anche per salari più bassi e per più ore di lavoro, generando tra i nativi  paure e risentimenti sino a giungere a conflitti sanguinosi tra operai francesi ed emigranti italiani . Uno degli episodi più gravi di violenza fu il cosiddetto massacro di Aigues-Mortes avvenuto tra il 16 e il 17 agosto 1893 , in cui furono uccisi  9 lavoratori  italiani (e feriti centinaia) che  si erano recati  per lavorare dalla metà di agosto sino ai primi di settembre,  nelle saline di Pecais, le più grandi della Francia. (cfr. brani)

Brani da commentare:  1)   “ Gli abitanti della zona vedono con dispiacere questi stranieri, che, meno esigenti e con minori bisogni, vengono a togliere loro un lavoro che a loro dovrebbe essere affidato[…] e li obbligano ad accettare condizioni meno favorevoli. Si lamentano anche del temperamento rissoso degli italiani che, per il minimo litigio, prendono in mano il coltello o la pistola. Riassumendo, c’erano dei fermenti di discordia già vecchi tra francesi e italiani che manovravano per escludersi l’un l’altro dal lavoro delle saline” . ( lettera del procuratore generale di Nîmes al ministro  guardasigilli): 2) …. Da molto tempo esiste alle saline una rivalità tra operai italiani e francesi. Questi ultimi non vedono di buon occhio i sudditi del re Umberto, venuti a togliere il lavoro o almeno provocare con il loro comportamento la diminuzione della paga giornaliera. Una volta il lavoro, veniva effettuato da operai di Aigues-Mortes e delle Cévennes, ma da alcuni anni gli italiani nel periodo della raccolta del sale […] invadono la zona “  (Le Journal du Midi, 18 agosto 1893)
Bibliografia  :Enzo  Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues –Mortes, 1893, Infinito edizioni, 2008,  pp. 57-58

Un tentativo di ricostruzione , la più oggettiva possibile, delle cause di quanto era avvenuto, lo si trova in un articolo su Le Figaro scritto da Bernard Lazare nel settembre 1893.(cfr. brano)
Brano da commentare: … “… Le squadre italiane finiscono le  camelies molto prima delle francesi aumentando così il salario giornaliero che arriva a 10 o a 12 franchi, a fronte degli 8 , 9 franchi dei francesi. Una certa gelosia era nata da questa differenza naturale, ma si  era  sviluppata soltanto presso gli operai erranti che la Compagnia  assume ogni anno e in particolare tra quelli che gli operai  di Aigues-Mortes chiamano i trimardeurs. E’ acostoro che fanno risalire la responsabilità degli incidenti. In maggioranza pregiudicati, alcuni condannati venti volte, si sono buttati sui loro compagni italiani col solo scopo di derubarli; la prova sta nel fatto che i cadaveri di quei poveretti sono stati depredati dei soldi che avevano ricevuto qualche giorno prima e  che dei feriti indifesi si sono visti  rovistare e derubare. Gli operai del posto, gli autoctoni, popolazione attratta piuttosto dal lavoro nei campi, ma laboriosa e onesta, si sono lasciati infiammare dalle bugie di qualche istigatore. Hanno creduto a chi raccontava loro che erano stati  massacrati venti francesi e che sui cantieri era stata innalzata la bandiera italiana. La verità  è che sono stati feriti solo alcuni francesi e che sono stati feriti non alle saline, ma nel tafferuglio di Aigues-Mortes, colpiti da randellate che hanno dovuto darsi reciprocamente nel fervore della lotta poiché il gregge degli italiani, guidato e protetto dai gendarmi non aveva  alcuna  arma. Oggi gli italiani hanno disertato Peccais; il numero degli operai francesi è insufficiente, la Compagnia  non può reclutarne e gli stessi abitanti di Aigues-Mortes, ripresisi dall’eccitazione passeggera, chiedono il ritorno degli italiani e riconoscono la necessità della loro presenza  “ ( Bernard Lazare, Una visita alle saline, in Le Figaro, 15 settembre 1893)

  A suscitare , comunque,  i sentimenti generalmente  ostili o quantomeno  diffidenti dei lavoratori francesi nei confronti dei cosiddetti  "viaggi della speranza" degli emigrati italiani e delle loro famiglie svolse un ruolo determinante la demagogica  propaganda xenofoba  della stampa di destra, nazionalista, che mirava ad alimentare, ripetendo, tra l'altro, ossessivamente il termine "invasori" riferito agli immigrati", una  "guerra tra poveri" .
Brano da commentare:   L’invasione :“  Il decremento della natalità, il processo di esaurimento della nostra energia (é da cent'anni che i nostri compatrioti più attivi si distruggono nelle guerre e nelle rivoluzioni) hanno portato all'invasione del nostro territorio e del nostro sangue da parte di elementi stranieri che ' adoprano per sottometterci. Una volta vivevamo seguendo Idee comuni e istinti ( buoni e cattivi) universalmente accettati come buoni nel nostro territorio in tutta la sua estensione ; oggi si è insinuato tra noi un gran numero di nuovi colonizzatori (di varie formazioni) che non abbiamo la forza di assimilare, che non sono forse assimilabili, per i quali bisognerebbe almeno determinare un rango sociale, e che vogliono imporci il loro modo di pensare.  Ciò facendo, credono di civilizzarci; contrastano invece la nostra civiltà. Il trionfo del loro modo di vedere coinciderebbe con la completa rovina della nostra patria. …. ( Maurice Barrés, Contre les étrangers” , agosto 1893) .
Bibliografia  :Enzo  Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues –Mortes, 1893, Infinito edizioni, 2008,  p. 34

Episodi xenofobi verso emigranti italiani  se ne ebbero, purtroppo, in quegli anni  e in quelli successivi anche al di fuori della Francia. Si pensi, per esempio al linciaggio  di New Orleans di nove pescatori siciliani, accusati di avere ucciso un sovraintendente di polizia o  a quello di cinque italiani a Talulah in Louisiana nel luglio 1899, accusati di avere ucciso un medico del luogo, o alla esecuzione di Sacco e Vanzetti a Boston nel 1927.Intanto si diffondevano  sempre di più idee fondate sulla necessità di una solidarietà  di classe tra proletari di diverse nazioni, oggettivamente accomunati, in realtà,  dalla comune condizione dello sfruttamento patronale ( primo brano) che tuttavia trovavano sovente ostacoli  nell’ambito stesso dei movimenti operai nazionali (cfr. secondo brano), che oscillavano, spesso,  secondo quanto riferisce Enzo Barnabà , tra due opposti ideali " patria e anarchia" (terzo brano)
  Brani da commentare: 1) “ ....... Sono sorte altre idee che, tutti i giorni, acquistano più forza; impregnano gli spiriti, si stampano nei cervelli, generano concezioni nuove, nuove forme di pensieri. Se il principio di nazionalità è ancora un principio che guida la politica, non si fa più dell’odio contro lo straniero un dogma brutale ed irrazionale.  Si crea  una   cultura umana al di là  della cultura francese, della cultura tedesca, della cultura inglese; la scienza, la letteratura, le arti diventano internazionali, non che perdano le caratteristiche che ne fanno l’incanto e il valore, né che mirino ad un’ uniformità  fastidiosa, ma sono animati da uno stesso spirito. La fratellanza dei popoli, che era precedentemente una chimera irragiungibile, può essere sognata senza pazzia; il sentimento della solidarietà umana si fortifica, il numero dei pensatori e degli scrittori che lavorano per rafforzarlo  aumenta tutti i giorni; le nazioni  si avvicinano le une alle altre, possono conoscersi meglio, piacersi e  stimasrsi  di più, la facilità delle relazioni e delle comunicazioni favorisce lo sviluppo del cosmopolitismo; questo cosmopolitismo unirà un giorno le razze più diverse, permetterà loro di federarsi in unioni pacifiche: all’egoismo patriottico, sostituirà l’altruismo   (Bernard Lazare, Contro l’antisemitismo );  2) Si è fratelli, ma … : Queste lotte fra operai di diverse nazioni ci fanno tristemente riflettere ancora una volta al contrasto stridente che c’è fra quanto ogni giorno si dice nei  Congressi, nei meeting, e quanto ogni giorno avviene sul teatro del lavoro. Il più sviscerato sentimento di fratellanza si afferma in tutti gli operai; da un continente all’altro si sentono fratelli. Ma in  patria gli operai e i loro capi non sono teneri per i loro compagni d’altri paesi, che vengono a lavorare e a vivere accanto ad essi. Si è fratelli, ma a condizione di restare ognuno a casa propria. “ Non vi sono più stranieri, non più frontiere, noi siamo fratelli, soffriamo gli stessi mali, e siamo sfruttati in tutto il mondo terrestre allo stesso modo” dicono gli apostoli più ardenti dell’internazionalismo – ma intanto dall’ America, dalla Svizzera, dalla Francia, ci giungono dolorosi e straziati lamenti di questi stranieri, che non dovrebbero più esistere, e che si vedono respinti dalla terra a cui non possono dare il dolce nome di patria. E i governi sono loro malgrado trascinati ad inaugurare una nuova forma di protezionismo, rispondente   alle nuove correnti e  al trionfo delle nuove idee. Ieri erano i produttori, oggi sono gli operai, che domandano di essere protetti, e i governi cedono, e intanto si mantiene più vivo che mai quello che Goethe chiamava l’egoismo di patria ( Pietro Sitta, L’emigrazione degli italiani in Francia, 26 agosto 1893) ; 3) "... Le grida di Vive l’armée si coniugarono con quelle di Fourmier, la bandiera rossa con il tricolore nazionale, il canto della Marsigliese con l’esaltazione  di Ravachol, formando un groviglio il cui bandolo va ricercato in un radicalismo operaio che pencola ora verso lo sciovinismo, ora invece verso il ribellismo anarchicheggiante”. Si è già accennato all’influenza esercitata, da un lato, dall’ideologia  boulangista (in un’epoca  in cui il patrimonio ideale del nazionalismo era passato dalle mani dei “patrioti repubblicani” a quelle dei nazionalisti come Barrés ) e dall’altro, dall’agitazione gréve-généralòiste propria del sindacalismo d’action directe ...” (Enzo Barnabà,  Morte agli italiani, opera citata )
Bibliografia:  Primo brano in    Bernard LazareContro l’antisemitismo, a cura di Massimo Sestili, Datanews 2004 p. 31 , il  secondo brano in Enzo Barnabà, Morte agli italiani, il massacro di AiguesMortes , 1893, Infinito, 2008 p.40 e il terzo brano a p. 89. Cfr. anche a pp. 65-66 dove Barnabà scrive,riferendosi all’episodio di  Aigues-Mortes, che “ Nelle prime ore del pomeriggio inizia la caccia all’italiano. Una folla preceduta da un drappo rosso, urlando frasi quali “ Viva l’ anarchia! Viva Ravachol! Morte agli italiani!” aggredisce tutti gli italiani che incrocia per le strade …”

BARCONE DELLA SPERANZA

  Ai  drammi connessi  ai “viaggi della speranza “  degli emigrati italiani mi si associa nella mente l’ immagine dei “barconi della speranza “  ( o più realisticamente chiamate anche “carrette del mare” )  degli emigrati “extracomunitari” dei nostri giorni . Inoltre i numerosi  morti  nei frequenti  naufragi  in mare  di queste  “carrette” mi  fa pensare alle centinaia e centinaia di morti annegati, nei primi anni del novecento, tra gli emigranti italiani  in viaggio verso  le Americhe, e che così drammaticamente furono immortalate  in tante vecchie canzoni popolari, come per esempio  il naufragio del vapore Sirio”, avvenuto nel 1907,   che tanto scosse l’opinione pubblica italiana.
Canzone da commentare:  “ E da Genova il Sirio partivano // per l’America varcare i confin // ed a bordo cantar si sentivano //  tutti allegri del suo destin // Urtò il Sirio un orribile scoglio // di tanta gente la misera fin // Padri e madri abbracciava i suoi figli // che si sparivano tra le onde del mar // Più di cento e cinquanta annegati // che trovarli nessuno potrà // e tra loro un vescovo c’era // dando a tutti la sua benedizion // E tra loro ierì // un vescovo c’era ierà // dando a tutti ierà // la sua benedizion // Le nostre lacrime, gli stenti, l’onte // le gravi ambascie finir dovran //  noi già leviamo balda la fronte, per salutar l’astro lontan “  (da  “ Il  tragico naufragio del vapore Sirio “)
Discografia:   Pueblo Unido,  Storia d’Italia attraverso le canzoni popolari 1870-1918, 2 volume, Heliconia/Avvenimenti  
Le condizioni di viaggio in mare , anche quando non finiscono in tragedie, come quella sopra ricordata,  ricordano, anche esse, , sotto molti aspetti, quelle degli emigranti  europei  di  più di un secolo fa. (cfr. brano) 
Brano da commentare: “ … Un suo cugino è già stato in Italia, lo hanno espulso, e per adesso non ci riprova. Dice ad Alì che se vuole può organizzargli il viaggio. […] Alì ne parla con altri cugini, sono tutti stanchi, hanno voglia di partire, chi per fame, chi per libertà. […] Arrivano alla spiaggia, salgono su una barca che li trasborda alla nave. La barca torna indietro per prendere altre persone. E’ buio, ma non così tanto da non vedere che lo spazio della nave è pieno di corpi. A tastoni trovano un posto . Non dovranno cambiarlo per il resto del viaggio. Sono le nove, quando partono. Centosessantacinque corpi, algerini e marocchini, su una nave da pesca lunga 14 metri. Si sta stretti, i corpi si toccano. Gli occhi aperti nel buio.  Un po’ più di spazio. I sensi all’erta.  Si sta all’erta finché la terra è ancora a portata di sguardo, per paura della polizia . […] La notte è passata, la luce scopre gli occhi. La nave è buona, aveva garantito il cugino, è nuova e grande. Invece fa meraviglia che possa galleggiare. Sarebbe stato meglio non vedere. E nemmeno sentire, ché dopo poco i piedi si sentono bagnati. La nave imbarca acqua, bagna i corpi ammassati, stesi per terra.  […]  Verso mezzogiorno, finalmente, scorgono una nave. Sono pescatori tunisini. “ Dov’è l’ Italia?” urla il guidatore. Allora è vero, la strada non la conosceva, qualcuno vorrebbe picchiarlo, gettarlo a mare, forse, ma questa è per tutti la stessa barca, e di lui non si può fare a meno. “ Tranquilli – dice. Adesso ho capito. E’ tutto a posto, arriviamo  tra quatt’ore “. Ma le ore passano, le acque passano, la nave imbarca. “ Siamo morti” pensano e dicono. Siamo morti, pensa anche Alì. Si piange e si prega, in un unico addio. E’ tornata notte fonda, e un’altra luna. Alla sua poca luce, il pianto del guidatore. “ Siamo perduti- dice. Non so la strada. Siamo perduti .” A quelle lacrime, in quella luce, un carico di morti viventi. Su quell’abbandono cala il silenzio. Da lontano, come un’altra vita, le luci di una nave. Si avvicina, la gente riprende voce, e anima. Si ride, si piange ancora, e dove pianto e riso si toccano, là si ringrazia. Ci sono dei pescatori italiani sulla nave, ma per loro sono come il corpo di Cristo che cammina sulle acque a risuscitarli. Li guidano fino a Lampedusa. Viene un’alba nuova. Prima di arrivare a terra li prendono in consegna due motoscafi della guardia costiera, uno davanti e uno dietro, li scortano fino al porto, alla salvezza. Alì sa di essere stato fortunato. …” (  Alì in Marco Rovelli, Lager italiani, Bur 2006 )    
Bibliografia: in  Marco Rovelli, Lager italiani, Bur 2006  pp. 20, 21, 22
                                                                                       
IMMIGRATI NEI CENTRI DI IDENTIFICAZIONE E DI ESPULSIONE
  Per  gli immigrati, inoltre,  che sopravvivono a questi drammatici “viaggi della speranza” vi è, poi, per la maggior parte di essi, la reclusione , in  campi ove si  procede , sin dalla loro  istituzione nel 1998 dei  Centri di Permanenza Temporanea ( CPT), alla loro identificazione ed espulsione ( proprio per questa loro  specifica funzione  il loro nome, oggi , è stato mutato in   Centri di identificazione e di espulsione  (Cie)  .  La  comune caratteristica di questi edifici,  per altri aspetti alquanto differenti tra loro, è quella di essere recintati da  mura e reti metalliche,   e  sorvegliati notte e giorno da telecamere di sorveglianza “ . All’ interno di questi campi vige  una scarsa, o nulla,  tutela  dei diritti umani, che ricorda la situazione, negli anni trenta del XX secolo riservata in molti paesi d’ Europa ai cosiddetti “ senza patria “ ( o apolidi) come   gli ebrei,  gli esuli stranieri  antifascisti o antistalinisti, ecc.  . (cfr. brano)
Brano da commentare:  … “Nella storia europea i diritti umani sono inscindibilmente legati alla condizione di cittadino: non a caso la storica dichiarazione che in qualche modo è il simbolo giuridico della Rivoluzione francese si chiama “ Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. I diritti umani si possiedono solo se si è cittadini. Così gli apolidi “ privati del diritto di cittadinanza” si trovarono ad essere senza alcun diritto , la schiuma  della terra “.   Persero ogni diritto. Quello della patria, ovvero dell’ambiente circostante, del proprio tessuto sociale, ma soprattutto l’impossibilità di trovare una nuova patria. Conseguentemente , perdita della protezione del governo, e dello status giuridico in tutti i paesi. [….] I senza patria mancano di un posto al mondo. Il loro trattamento non dipende da ciò che fanno, ma da ciò che sono. Esattamente la condizione dei migranti che finiscono reclusi/esclusi nel Centri di  Permanenza Temporanea  - i nostri lager, i nostri campi dove il diritto è totalmente sospeso, dove regna un vero e proprio stato d’eccezione. […] Nei campi si manifesta pienamente la struttura del potere sovrano: la logica, paradossale, dell’eccezione. E’ evidente che nei lager nazisti le condizioni di vita erano abissalmente diverse da quelle che si trovano nei  CPT. Ma ciò non toglie che la struttura che li sorregge concettualmente sia la medesima. Persone private di ogni status giuridico, internate per ciò che sono. Sottoposte al diritto in quanto il diritto li priva di ogni protezione. Internati in spazi d’eccezione dove la legge è sospesa. Sono “espulsi trattenuti”: non più “cittadini”, ma solo espulsi (dunque non sono già più sul territorio nazionale ) , eppure trattenuti ( e ciò che è trattenuto è la loro nuda vita, dal momento che ogni stato giuridico gli è negato). " (  Marco Rovelli, Lager italiani, Bur 2006)
Bibliografia: Marco Rovelli, Lager italiani, Bur 2006) pp. 267, 269, 270 
                                                                                      
 SFRUTTATI AL LAVORO


 Usciti dai Centri senza permesso di soggiorno si diventa  automaticamente “ irregolari”, “ fuorilegge”  ( perseguibili per il reato di “clandestinità”)  e sottoposti pertanto a umiliazioni, sorprusi  persecuzioni  e sfruttamento di  ogni tipo. ( cfr. brano) 
Brano da commentare: “ La prima cosa che mi è successa è stata quella di essere rinchiuso in una gabbia, in un Cie. Dopo quasi due mesi mi hanno rilasciato dicendomi che dovevo ritornare a casa e io non sapevo cosa fare. Ho trovato lavoro dopo poco, grazie ad un amico che vive in  Italia da tre anni,lavoravo nei campi, pagato pochissimo e trattato come una bestia. Finita la stagione di lavoro, mi hanno fermato per un controllo i poliziotti e mi hanno portato in carcere perché mi hanno detto che ho commesso un crimine … quale? Non l’ ho ancora capito, me lo stai spiegando tu, ma ancora non capisco che legge assurda avete qui in Italia. Mi rilasciate, mi fate lavorare e poi mi mettete in carcere e ora sono di nuovo fuori, senza documenti, con il decreto di espulsione. Non mi hanno riportato a casa, mi hanno rilasciato in questa condizione assurda dove non posso fare altro che lavorare in nero senza nessuna possibilità di regolarizzare la mia posizione. Non posso fare niente senza documenti, posso solo sopravvivere fino a che non mi fermeranno e riporteranno in carcere.( Khalid, Egitto in Andrea Staid, I dannati della ............)
Bibliografia:  in  Andrea Staid, I dannati della metropoli. Etnografie dei migranti ai confini della legalità,   nuova edizione con film e disegni di Francesca Cogni, Millieu, 2015, pp. 122-123
                                                                       
  
  Analoghi  fenomeni  di  xenofobia  e di  “proteofobia” ( intendendo con questo termine, coniato, per quanto ne so, da Zygmunt  Bauman,   la paura nei confronti  di chi , in qualche modo” è recepito come  “differente “) sono sempre stati e lo sono, in parte, tuttora , alla base  dell’avversione  nei confronti  dei  cosiddetti  “zingari”. La proteofobia che essi suscitano è, in gran parte, originata dal l "nomadismo", spesso più presunto che effettivo,  e "stile di vita" ritenuti una minaccia per le popolazioni "civilizzate" sedentarie. (cfr. brano) 
Brano da commentare: “ .. “ Con caparbietà, con orgoglio, il popolo gitano ha mantenuto per secoli la specificità del proprio carattere, la sua differenza esistenziale e culturale, in un mondo poco preparato a rispettarla, o anche solo a sopportarla. Il timore popolare dei gitani (la “proteofobia” che risvegliano qua e là) è giustificato; ma non per la loro presunta inclinazione al crimine quanto per alcuni tratti della loro identità collettiva, della loro idiosincrasia, che si scontrano frontalmente con le abitudini e i modi di pensare del resto della società – e per questo vengono percepiti come una minaccia, una sfida, un rifiuto di sottomettersi destabilizzante.  […] In primo luogo il loro disinteresse per qualunque Patria, per qualunque Paese che dovrebbero riconoscere come proprio ( e se necessario anche difendere, uccidere in suo nome) e la loro parallela rivendicazione del Cammino, della libertà assoluta di movimento, del Diritto al nomadismo, dell’opzione di vivere migrando – vivere la strada e sulla strada […]  La tribù gitana, nomade, nemica delle case e amante delle intemperie, con i bambini che non vanno a scuola, indifferente alle leggi dei paesi  che attraversa, era un esempio di libertà che l’Occidente non poteva tollerare: un modello di esistenza a fatica sfruttabile, a malapena redditizia (economicamente e politicamente); un tacito scherno, un’implicita beffa, quasi un attentato contro i principi di fissazione (assegnazione residenziale) lavorativa, territoriale, sociale e culturale che il nostro regime socio-politico mette in pratica per controllare le popolazioni e assoggettarle all’apparato produttivo e per gestire le esperienze di vita degli individui attraverso la docilità e il mimetismo “ ( Pedro Garcia Olivo, L’enigma della docilità o della servitù in Democrazia ) 
Bibliografia: Pedro Garcia Olivo, L’enigma della docilità o della servitù in Democrazia  Nautilus 2014 pp. 41,42,p. 44                                                                        
BAMBINI ROM NEL LAGER DI BIRKENAU
       Nel passato già dalla fine del secolo XV  al loro arrivo in Europa, gli zingari furono  duramente discriminati e  perseguitati,  dagli Stati  cristiani sia cattolici che protestanti. Il culmine di una politica persecutoria, volta al loro totale  sterminio, ( = poryaumos) fu raggiunto, infine,  durante il regime  nazista, attivamente appoggiato dopo l’entrata in guerra , nel 1940.  dall' Italia fascista.   (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Il nazismo basandosi su una interpretazione biologistica dei fenomeni sociali , venne elaborando una teoria folle intorno al concetto (utopico) di razza. Secondo questo modo di vedere, esisterebbero razze diverse” stigmatizzate come inferiori (razzismo antropologico); non solo, ma anche all’interno di una razza esisterebbero determinati gruppi considerati inferiori e pericolosi (igiene razziale). Le due tassonomie sembravano coesistere negli zingari: essi infatti risultavano appartenenti a una razza inferiore e nello stesso tempo pericolosa socialmente.  […]  Il prof.  Robert Ritter direttore del Centro di ricerca sull’igiene della razza, e la sua collaboratrice Eva Austin, soprannominata dagli Zingari “Loli Ciai” (ragazza rossa” per il colore dei suoi capelli, proponevano la separazione dei sessi, l’aborto, la sterilizzazione. Poi, come per gli ebrei, si fece strada il disegno dell’annientamento fisico: anche gli  Zingari dovevano essere sterminati e scomparire dalla faccia della terra . Le tappe di questo calvario ebbero inizio nel 1938 quando Heinrich Himmler ordinò che gli Zingari fossero tutti schedati e registrati dalla polizia. Nel 1939 Reinhard Heidrich per ordine di Hitler emanò una legge (editto di insediamento) in base al quale gli zingari erano obbligati a risiedere nei cosiddetti campi di abitazione, appositi quartieri per Zingari nelle periferie cittadine, simili nelle finalità ai ghetti ebraici. Nel dicembre 1942 venne l’ordine di Himmler di internamento nei campi di concentramento di tutti gli zingari del Reich, compresi quelli di sangue misto, a qualunque età e sesso appartenessero. Iniziarono le deportazioni in massa nei campi di sterminio nazisti. […]  Lo sterminio degli Zingari fu messo in atto anche nei  paesi satelliti o occupati dalla Germania nazista  […” ] La persecuzione nazista ha avuto effetti devastanti sulla società zingare. Ha causato innanzitutto ( un forte vuoto demografico: interi clan scomparvero nelle camere a gas (anche i due gruppi degli Zingari cosiddetti puri  o germanici  e dei Sinti  Lalleri, che Himmler in un primo momento intendeva preservare) ;  in Polonia perse la vita il 75%; in Boemia e Moravia la maggior parte furono sterminati; in Lituania, Estonia e Lettonia la distruzione fu totale. “  (Opera Nomadi Milano, Gli Zingari, febbraio 1997)
Bibliografia:  Angelo Arlati, Le persecuzioni contro gli zingari: una pagina tragica e poco conosciuta in Opera Nomadi di Milano,  Gli Zingari, in  Il Calendario del popolo,  anno 52° n. 606, febbraio 1997, pp. 30-31
                                                                           
"ZINGARELLE" E "ZINGARELLI, OGGI"
 Oggi nonostante  gli  orrori compiuti nel passato  persistono ancora  in Europa e in Italia pregiudizi e tendenze persecutorie nei loro confronti.  Si pensi per esempio alla vergognosa proposta di non molti anni fa in Italia , da parte della destra al governo, di  prelevare le impronte digitali dei bambini e delle bambine “zingare”.  Si deve ,inoltre notare che,  paradossalmente, l’ estrema diffidenza e malanimo nei confronti  dei Rom,  presenti da secoli nell’Italia centro meridionale  e dei Sinti,  diffusi  nell’Italia settentrionale e centrale, che per quanto ne so, hanno cittadinanza  italiana e sono  di religione cattolica, non vengono meno  neanche quando  costoro  si rivelano  del tutto disponibili  ad integrarsi ( per es. mandando i loro figli a scuola, o cercando un lavoro o desiderando lasciare il campo ed andare ad abitare in una casa (cfr. brano). 
Brano da commentare:  “ … E’ facile chiedersi perché i rom non escono dai campi  e non trovino delle soluzioni alternative. Oltre al peso che ci si porta dentro, c’è anche la beffa del sistema. Quando un rom straniero ha i documenti in regola, che attestano però che vive al  “campo nomadi XY “  o semplicemente in quella via in cui vi è solo il campo, e va a cercare un lavoro, cosa ci si aspetta che succeda? Che trovi  un datore di lavoro illuminato ? Ho visto un’opera di suore rifiutarsi di accettare donne rom in corsi per collaboratrici domestica, che  avrebbero dato loro accesso al permesso di soggiorno ed a un’eventuale occupazione. Le suore hanno una paura fottuta degli “zingari” come chiunque altro. Figuriamoci un datore di lavoro medio. Un’amica che fa la bidella ha una paura tremenda che si venga a sapere che è sinta. Perché dovrebbe avere paura? E’ italiana, ha un lavoro regolare, paga le  tasse. Eppure non basta mai. Se non hai un lavoro è perché sei un disadattato, se lo hai sei automaticamente sospettato di combinare guai. Non  fa differenza se  lavori, se hai una casa, se i tuoi figli vanno alle superiori. Lo stigma dell’essere un  non integrabile continua a perseguitarti …”Lorenzo Monasta, I pregiudizi contro  gli “zingari”  …  )
Bibliografia: Lorenzo Monasta, I pregiudizi contro  gli “zingari” spiegati al mio cane    BFS Biblioteca Franco Serrantini edizioni , 2008, pp.63-64                                                                
                                                                           
DONNE  ROMNI
Pregiudizi  sessisti e razziali sono poi quelli che  specificatamente investono  le  donne  “romni” (o “ romanì ") . (cfr. brano)
Brano da commentare:  “ L’immaginario italiano circa l’identità delle donne romanì è solito oscillare come un pendolo tra lo stereotipo romantico della “zingara” cartomante e un po’ strega, girovaga felice per il mondo, e la vittima irresoluta di un antico e superato mondo patriarcale, violento e misogino. Ma è ancora il “ nostro “ immaginario a stereotipare e inchiodare “il corpo delle altre” in un dispositivo stigmatizzante ben conosciuto, a scelta tra  la femme fatale e la donna infantilizzata da proteggere  (prima di tutto da se stessa) […] Pur nel dichiarato tentativo di affrontare e risolvere la persistente molteplice discriminazione verso le donne romani , le istituzioni non riescono ad abbandonare quello sguardo performante le identità e quindi le necessità delle donne appartenenti a queste comunità . Non sarà forse un malcelato tentativo di autoassoluzione, ma è comunque significativo che da più parti si sostenga, con la certezza di chi sa interpretare la divinatrice “voce del popolo” che le donne romanì soffrono discriminazioni  maggiormente persistenti e evidenti all’interno delle comunità di appartenenza.  [….] Proviamo ad approfondire maggiormente se il sessismo e la struttura  patriarcale delle comunità rom possono essere ritenuti quasi esclusivamente gli unici elementi discriminatori per le donne romanì. […] Ci siamo già brevemente soffermati sulla  tendenza del “nostro” sguardo a etichettare i gruppi rom con denominazioni e identità culturali, quando non linguistiche, che spesso si rivelano del tutto inadeguate e infondate.  […] Non sto sostenendo che le donne romani vivono il migliore  dei  mondi  possibili.  Forse vivono una segregazione e una discriminazione di genere molto più simile alla nostra di quanto siamo disposte ad accettare, poiché la convinzione dell’esistenza di un mondo più sessista e arretrato del nostro ci rassicura e ci fa sentire, solo per un attimo, meno desolatamente oppresse. Se quindi vogliamo sostenere che le comunità rom sono spesso attraversate da maschilismo e da una divisione tra i gruppi maschile e femminile, lo si faccia pure, senza dimenticare che esso è esattamente speculare a quanto ogni donna  gagé sperimenta sulla propria pelle ogni giorno nella società in cui viviamo. Le donne romni vivono una discriminazione multipla: legata al genere, alla minoranza di appartenenza, alla classe. Definiamo  il potere politico come espressione della classe dominante, del genere dominante e dell’etnia dominante: muovendo da questo posizionamento del potere decisionale, spesso performante il cosiddetto buon senso comune, appare del tutto evidente come qualsiasi intervento studiato per “aiutare” gli zingari può avere in sé, consciamente o no, i germi dei nostri atteggiamenti di rigetto. E’ del tutto pretestuoso che una società (o i suoi membri illuminati  ) riconosca di avere maltrattato o di continuare a maltrattare un gruppo minoritario e pretenda poi di sapere come “aiutarlo” prevedendo unicamente interventi sul gruppo e non su se stessa ….” (Martina Guerrini,  Pratiche di dis-identità. La discriminazione sessista  contro le…. )
Bibliografia:  Martina Guerrini, Pratiche di dis-identità. La discrinminazione sessista contro le donne romni in una prospettiva anticolonialista in RomAntica Cultura- Invisibilità ed Esclusione del Popolo  Rom  a cura di  Vaklentina Montecchiari, Martina Guerrini,e Valeria Venturini   in   Briciole n. 32/2012 a cura del Cesvot (Centro  VolontariatoToscana).  Cfr. anche Claudia PiccinelliRom, questione di sguardi, in  A rivista anarchica n. 382 , estate 2013, pp. 160-161
                                                                              
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 

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