martedì 3 maggio 2011

ANARCHICINI: ESPERIMENTI LIBERTARI (1): LE "COMUNI " : LA COMUNIDAD DEL SUR , RUBEN PRIETO (1930-2008) : CRISTIANIA ; URUPIA - LACASA DEI BAMBINI E DELLA GIOVENTU' NEI KIBBUTZ



RUBEN PRIETO (1930-2008) nacque in Uruguay da  genitori spagnoli espulsi dalla Spagna  per motivi politici.  Studiò nella facoltà di Belle Arti partecipando attivamente a vari movimenti libertari (universitari, ecologisti,  sindacali, cooperativisti, ecc.).  Tra il 1955 e il 1956 fu uno dei fondatori della Federazione Anarchica Uruguaiana, che però si scisse presto in due opposte tendenze: l’una più centralista e l’ altra invece più  federalista.  Fu questa corrente, a cui apparteneva Ruben Prieto, che dette vita, nella zona sud di Montevideo, alla Comunidad del Sur, definita più tardi da Luce Fabbri non come “un’isola felice” , “isolata dai boschi”, bensì  come “ una cellula viva e robusta nel cuore della città, adatta a riprodursi e come punto di riferimento”. Con l’avvento di una dittatura militare, la Comunidad del Sur dovette lasciare l’ Uruguay e trasferirsi in Svezia dove rimase, tra il 1975 e il 1985. Caduta la dittatura, sempre su  iniziativa di Ruben Prieto e altri suoi compagni, la Comunidad del Sur fu “rifondata” a Montevideo  ed è tuttora in funzione.  (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Già tre generazioni convivono nella stessa esperienza comunitaria che è nata negli anni  Cinquanta: a questa si dovrebbe aggiungere una quarta, formata da coloro che nel frattempo sono morti, ma che continuano a vivere anche nei nuovi eventi e nelle nuove generazioni. Le vicissitudini che si sono avute in quasi  35 anni in questo tentativo di autogestione che ha sempre voluto comprendere in sé tutti gli aspetti della vita sociale, sono difficili da ricordare; soprattutto per coloro che, coinvolti in questa storia, la ricordano con allegria e dolore secondo una prospettiva personale. [...]  La Comunidad del Sur, già dalla sua origine e molto prima di quel movimento culminato in Europa nel 1968, si definiva come un laboratorio, un’azione tesa alla creazione di spazi che mirano alla costruzione di una cultura realmente alternativa rispetto al modo di vivere in comun e che non si limita a meri cambiamenti all’interno del sistema attuale. Sia il suo inserimento in Svezia, in una società altamente tecnologizzata retta dal capitalismo più avanzato e con uno Stato che si è appropriato di tutte le funzioni della società, sia la sua rifondazione in Uruguay, in una regione  dipendente, con un capitalismo periferico e uno Stato sempre più autoritario e militarizzato, mostrano la sua rinnovata vitalità e la sua capacità di adattamento: resistendo in diverse circostanze, ma sempre all’interno di una ricreata matrice libertaria. …” (Ruben Prieto, La Comunidad  del Sur,)
 Bibliografia: Ruben Prieto, La Comunidad  del Sur, in  L’ Utopia comunitaria in Volonta’ 3/ 1989 , pp.53-54 e 55 
                                                                                  


Nel concludere il suo articolo sulla Comunidad del Sur   Ruben Prieto ricordò , infine, le " Basi del gruppo rifondatore della Comunidad del Sur, elaborate a Montevideo nell' agosto del 1987. (cfr. brano)  
Brano da commentare: “ ..  Propositi ; “….Creare cellule sociali che cerchino di comprendere tutti gli aspetti della vita sociale, soprattutto a livello di vita quotidiana. La loro funzione sarà di aprire spazi di socializzazione positiva da cui imparare a vivere in modo solidale, in cui partecipare direttamente a tutte le situazioni che ci riguardano e nel conseguimento di un progetto comune. Le tre dimensioni che si considerano essenziali in un organismo comunitario sono :
Come matrice sociale. Un’educazione che procuri il massimo sviluppo della personalità in un contesto di solidarietà. Unità di riproduzione  socioculturale, che superi la struttura familiare ed eviti le strutture di massa. Come prefigurazione della società desiderata. Sperimentazione dell’autogestione a tutti i livelli. Il proposito è di creare una rete comunitaria fondata sui gruppi di base. Il modello è una comunità di comunità, di crescente complessità.
Come mezzo per un inserimento nella società globale. Una struttura capace di provocare al suo interno una trasformazione. Una presenza interrogante e critica e allo stesso tempo una nuova forma creativa di vita in comune, che permetta l’autodeterminazione, tanto a livello sociale che personale.
Mezzi scelti :   Eco-comunità, che nei  loro meccanismi decisionali si basino sulla partecipazione di tutti i loro componenti (struttura libertaria, antiautoritaria e antigerarchica). …  ( frammenti  da “Basi  del gruppo rifondatore della Comunidad del Sur nel 1987)
 Bibliografia: Ruben Prieto, La Comunidad del Sur in L’Utopia comunitaria, Volonta’ 3, 1989 pp. 67-68
 
                                                                                      
FIGLI DELLA "COMUNIDAD" DANZANTI
Fondamentale , nella Comunidad del Sur è il posto riservato all’esperienza educativa, in particolare, dei giovani, i cosiddetti “ Figli della Comunidad “  . ( cfr. brano)
Brano da commentare: “ … Oggi la collettivizzazione implica un articolarsi di spazi destinati ai minori di sei anni (dormitori), luoghi comuni  per il gioco, sala da pranzo e di incontro che i bambini stessi chiamano guardia (rifugio). […] La cura dei bambini è affidata ai compagni che per vocazione o scelta comune sono stati designati  a tale compito, i quali fanno parte di un gruppo di lavoro che periodicamente si riunisce con i genitori e informa l’assemblea generale […]Dai sei ai dodici anni, gli spazi che ospitano la vita sempre più autogestita dei bambini vengono chiamati “ la casa dei bambini”. Qui le funzioni del gruppo,  adesso più complesso e differenziato per interessi e sensibilità, sono assunte, con l’aiuto di alcuni adulti, che fungono da risorsa aggiuntiva per la riuscita comune e il cui obiettivo è favorire una crescita della capacità simbolico-istruttiva tale da consentire la scomparsa o la riduzione dei rapporti di dipendenza. A partire dai dodici anni, in un processo più individuale, ciascun giovane si integra nei diversi aspetti della vita sociale. In linea di massima condividendo (qui pesano ragioni economiche) la propria stanza con un altro dei ragazzi, facendo riferimento alla “casa dei giovani” dove ci sono spazi per attività sia individuali sia con altri giovani del quartiere e luoghi di studio. In questa fase i giovani intensificano la propria partecipazione al mondo degli adulti, condividendo con essi istanze comuni , nella sala da pranzo, in riunioni e attività di interesse comune, e partecipando a lavori e servizi della comunità. Nel corso di queste diverse tappe, via via che si sviluppa la loro autonomia, le istanze quotidiane, vengono risolte all’interno di ciascun gruppo di età, sia per ciò che riguarda i loro aspetti normativi sia per quanto concerne forme di comportamento che determinano conflitti e scontri.  […] Tutta la pratica educativa della Comunidad  del sur fa perno sullo sviluppo delle capacità istituenti e del suo corollario, la capacità critica unita a responsabilità e solidarietà. A questo fine è sempre stata fondamentale la rotazione degli individui nei diversi compiti e funzioni, finalizzata a un dominio degli stessi non tanto da un punto di vista tecnico quanto da un punto di vista politico, per evitare il costituirsi di saperi ed esperienze separate come fonte di dominio. Così  lo schema seguito dal gruppo di giovani tra i dodici e i sedici anni comprende tre cicli di rotazione progressivi ed elastici intorno alle attività elencate qui sotto:
Mondo delle cose : lavoro rurale, lavori manuali, industria, amministrazione;
Mondo delle persone: lavoro educativo,servizio nella sala da pranzo, lavanderia meccanizzata, analisi del comportamento;
Mondo delle idee: ore di studio e compiti a esse collegate, analisi della realtà.
In una prima fase di tre mesi, ciascuno ruota attraverso la maggior parte dei compiti inclusi nello schema. Poi c’è una rotazione più lenta della durata di sei mesi tra due o tre attività, scelte dal giovane stesso. Segue un periodo di un anno per imparare  una tecnica scelta  sulla base delle proprie capacità e inclinazioni. Chiude il ciclo un viaggio/sperimentazione in uno o diversi altri gruppi comunitari o di autogestione. Verso i diciassette anni la realizzazione di un lungo viaggio attraverso l’ America Latina, con la possibilità di conoscere altre culture e altre realtà, costituirebbe la base per decidere la propria adesione o meno alla Comunidad e per definire il proprio settore di attività nell’ambito di una o diverse discipline intellettuali, artistiche e tecniche. … “ ( Ruben Prieto, Figli della Comunidad )
Bibliografia: Ruben Prieto, Figli della Comunidad in  Il bambino fra autorità e libertà  in Volontà.  Laboratorio di ricerche anarchiche 3/2 1982 pp. 144-145 e pp. 151-152   
                                                                           
                                 CRISTIANITA CON DUE BAMBINI SU UNA " CHRISTIANIA BIKE"

 CHRISTANIA (dal 1971  ad oggi)  : La città libera di Christania   è un quartiere di Copenhagen  ( il nome deriva, appunto,  dal re Cristiano IV di Danimarca e Norvegia , fondatore originario di quel quartiere tra il XVI e il XVII secolo) )  di Copenhagen  autogestito ormai  da più di quarant’anni da coloro che nel 1971 lo occuparono per  stabilirvisi e creare uno stile di vita libertario e  alternativo a quello domiinante. Essa è caratterizzata, tra l’altro  dall’assenza di automobili e dalla proliferazione di biciclettee le  cosiddette “ Christania bikes” , dall’ assenza di poliziotti e dalla vendita di hashish, ma non delle droghe pesanti,   in una delle sue vie principali “ Pusher Street".  Ottenuta dapprima  con l’approvazione del governo allora socialdemocratico la qualifica di “esperimento sociale, a partire dal 1974 i rapporti con le autorità ufficiali alternarono periodi di relativa quiete a momenti di grave tensione. Attualmente incombono  costantemente  progetti di speculazione edilizia che porrebbero fine, o, comunque stravolgerebbero  questo importante e innovativo “esperimento sociale” (cfr. brano) 
Brano da commentare: “ … La storia di Christiania inizia nel 1971 quando un gruppo di giovani abbatte la palizzata intorno ad un’immensa caserma militare abbandonata per avere accesso a uno spazio verde ed allestire un  luogo di giochi per bambini . L’esercito li caccia e ricostruisce la barriera. I militanti tornano, più volte, ogni volta più numerosi, sino ad ottenere causa vinta. Finalmente, la barriera è abbattuta per l’ultima volta: gli abitanti di Christianshavn, il quartiere dove ha luogo lo scontro  acquisiscono  il loro campo di giochi , mentre che hippies e squatters ottengono la loro Free Town (Città libera) e cominciano a riabilitare ed abitare l’antica caserma. In un contesto  che unisce a una  effervescenza politica, dove i sognatori sembrano  avere la mano (avoir la main), Cristiania diventa la destinazione ideale per una folla di persone desiderosa di costruire un altro tipo di vita. Il flusso è altamente favorito dal giornale alternativo dell’epoca Hovedblavet, di cui la prima pagina esorta ad  “emigrare con l’autobus n. 8”.
Nel 1972 la Città  Libera è ufficialmente considerata come una “esperienza sociale” . Il Ministero della Difesa , proprietaria dei luoghi , e Cristiania firmano un accordo in dieci punti che includeva  specificatamente il pagamento dell’acqua e  dell’elettricità da parte degli una grave penuria immobiliare abitanti. Tuttavia gli anni seguenti  sono  caratterizzati da una serie di battaglie, più frequentemente giuridiche e  politiche , ma a volte anche di strada tra i Cristianiti e le autorità che amerebbero bene sbarazzarsi da quei libertari un po’ troppo visibili. Malgrado il sentimento di minaccia permanente, Cristiania risponde ad ogni offensiva con una incredibile sintesi di creatività e intelligenza politica che rende la sua lotta immensamente popolare presso i Danesi: avvocati e artisti sembrano formare una combinazione invincibile . Se le petizioni, i dibattiti, le negoziazzioni e le elezioni fanno parte della strategia di difesa dei Cristianiti, ogni colpo violento del governo  rimbalza su un giornale, un disco, una mostra ( exposition) o un  “  canular “ (virgolette mie, ho deciso di non tradurlo. Il senso è chiaro e la parola, così com’è  suona bene). La compagna di teatro  residente a Christiania, Solvognen  ( i Charlots du Soleil) organizza anche  numerose e audaci mega-produzioni di strada alle quali partecipano Christianiti, attori e passanti ….”   ( Isabelle Fremeuaux John Jordan, Les  sentiers de l’ utopie
Bibliografia : Isabelle Fremeuaux John Jordan, Les sentiers de l’ utopie  (Nouvelle Edition,  La Découverte/Poche , 2013 pp. 324-325 (traduzione italiana mia) 
 
Non tutto comunque si è sempre svolto tranquillamente , all’interno di Christiania e spesso si  è dovuto porre il problema di istituire delle regole, o quantomeno di proporle.  Non avendo  notizie recenti su questo tema , che ritengo molto complesso e denso di conseguenze,  ricorro , per il momento  a un articolo di Jean-Manuel  Traimond  in Refraction ,     scritto nell' inverno  del 2000, sui problemi connessi alla  applicazione del diritto a Christiania non contraddicendo i principi libertari di base o quanto meno a non svuotarli di ogni significato (cfr. brano)
Brano da commentare: Non vi  sono quasi regole all’inizio.  Innanzitutto perché nessuno immagina che Cristiania possa durare. In seguito perché il progetto utopizzante di fristad  non è  necessariamente quello dei disoccupati, vagabondi,  ubriaconi e piccoli delinquenti che completano la popolazione di squatters hippies. Tuttavia , se deve esservi una ideologia comune, nessuno dubita che essa  sia l’anarchismo implicito, minimalist6a, del movimento hippie. La libertà e l’uguaglianza sono le mammelle di questo anarchismo vago , ma indiscusso. Nessuno dice: “ Nessun cristianita ha più diritti di un altro, nessun cristianita può dare ordini, la sola volontà con la quale s i possa marciare è quella di tutti!. Ma tutti lo sanno. Per amore dei diritti , si  è  diffidenti nei confronti del diritto […]  .Poche regole vengono precisare per ché per loro molte di esse  sono ovvie (vont de soi)  : ognuno può praticare la religione che vuole, ma i sacrifici umani sono mal visti. Ognuno può esprimersi come  vuole (intende) , ma il pugno non  saprebbe aiutare la parola. (langue) . La proprietà potrà anche essere un furto , ma non si prende il sacco a pelo del vicino senza il suo permesso.  […]  la teoria anarchica non prevede come unica punizione che l’espulsione. Christiania ha agito  in modo uguale. Ma !    Ma dopo che nel 1979 , dopo mesi di dibattito, dopo più di venti morti per overdose quell’anno là, dopo anni di presenza oppressiva e deprimente degli  junkies ( tossicodipendenti) e del loro mondo, Christiania  ha deciso di interdire le droghe dure, si  è visto talvolta i pusher  (spacciatori)  sguinzagliare grossissimi cani su un tossicomane o un trafficante imprudente  nessuno è stato divorato , ma i disgraziati   dovettero scappare  velocemente .  L’esclusione, in ogni caso, è stata la  sorte degli junkies che non  hanno  iniziato  una  terapia di  disintossicazione , poi di chi si è lasciato  risucchiare  (happer) dalle droghe dure. […]  Discutendo un giorno con una donna che lo aveva lasciato ( nota mia: si tratta di un uomo residente  da lungo tempo a Cristiania)  egli la colpì con un pugno così violento che le ruppe il naso. Immediatamente , le donne di Cristiania convocarono un  faelles møde ( assemblea generale : nota mia ) . John tenta di scusarsi, ma le donne furono inflessibili. John tentò allora di passarci sopra ( passer outre) e di restare a Christiania, ma le donne rifiutavano di parlargli e gli uomini attivisti (John era un attivista), imbarazzati,  quasi non rispondevano alle sue richieste di simpatia.  Dopo due settimane John cedette e partì. […] Secondo le statistiche della polizia , si commettano più stupri a  Christiania che altrove. D’ accordo su questo punto con molte donne cristianite io penso piuttosto che le donne cristianite esitano meno a   sporgere denuncia. Uno stupro in teoria implica l’esclusione, ma due o tre psicopatici notoriamente pericolosi e  con stupri accertati si sono mantenuti per anni a Cristiania. Gli assassini tra cristianiti sono sconosciuti. Ma cristianiti, così come i  visitatori, sono stati vittime di assassinii o, più spesso,  di risse di ubriachi. In tutti i casi di omicidio i cristianiti hanno  aiutato la polizia criminale  nelle loro inchieste.  Christiania dimostra che una società senza diritto scritto, senza tribunali, senza polizia, senza prigione è vivibile. Ma che essa non è né giusta né completamente sicura., sin tanto che ciascuno non tragga le conseguenze dell’assenza  dell’ appropriamento del diritto, sin tanto che ciascuno non   faccia la sua parte ( ne porte pas sa part) nella mediazione dei litigi e nella protezione di tutti. “ ( Jean- Manuel Traimond  Naissance du droit à Christiania , Hiver 2000  )
Bibliografia:  Jean- Manuel Traimond  Naissance du droit à Christiania , in Refractions n. 6  Hiver 2000, p. 99,  100,  104,  ) (traduzione dal francese mia, è meglio, come sempre,  se possibile, verificare il testo originale)

  
Premetto che io a Urupia non sono mai stato e che le notizie che ho su questa  comune  situata tra  Brindisi e Taranto sono tutte tratte da  pubblicazioni libertarie o da  internet. Ritengo comunque importante accennare ad essa ,  sia per l’importanza  di questa , ormai di lunga data,  esemplare “esperienza comunitaria “ aperta  e sia  perché come cretastorico  ha   colpito fortemente la mia immaginazione la bella copertina disegnata da  Giuseppe Aiello  per il suo  opuscolo  dedicato ad Urupia .   Dallo scritto  di  Aiello traggo   alcuni  principi  ispiratori della Comunità . (cfr. brano)
Brano da commentare:  Non esiste all’interno della Comune, proprietà privata di case, terreni, denaro o mezzi di produzione ed è abolita ogni forma di lavoro salariato o sottoposto . Ogni componente sceglie il proprio lavoro e partecipa con esso (indipendentemente dalle sue capacità personali, o dalla qualità e redditività della sua professione o del suo mestiere) alla vita economica collettiva, godendo tutte le garanzie e i vantaggi che da essa derivano.  […] E’ nostro obiettivo, inoltre, valorizzare concretamente , nel nostro progetto, una nozione di “ lavoro integrale” che non tenga esclusivamente conto del “contributo economico” delle attività delle singole, ma che consideri il loro lavoro alla luce dell’arricchimento più generale di sé stessi e della comunità, sotto ogni punto di vista. Obiettivo della  Comune è anche di realizzare, grazie all’attività delle sue componenti, il massimo possibile di autosufficienza economica, riducendo i rapporti con l’esterno mediati dal denaro e privilegiando lo scambio tra beni (baratto) Ogni operazione economica di interesse  collettivo è decisa dall’assemblea comunale. […] La Comune rifiuta in linea di principio, sia un’ottica consumistica che l’uso di tecnologie volte al consumismo. Accetta invece la realizzazione di un sufficiente grado di comfort per tutte le sue componenti e l’uso di oggetti e strumenti considerati “utili” (acqua calda, riscaldamento, lavatrice, etc. …) Nella scelta di tecnologie di uso collettivo, tuttavia, la Comune considera l’utilità solo uno dei criteri per decidere se una tecnologia sia accettabile o meno secondo un’ottica consumistica. Altri parametri dei quali terrà conto saranno l’inquinamento (sia come effetto dell’uso che come conseguenza della produzione della tecnologia stessa), la nocività per chi la utilizza, le circostanze etiche e politico-economiche della sua produzione, etc. etc. …  La  Comune in ogni caso si impegna a sviluppare al massimo, anche in questo campo, la pratica del principio dell’autogestione e della diffusione delle conoscenze, proponendosi di diventare un vero e proprio “laboratorio” dove sperimentare e applicare tecnologie semplici , basate sull’utilizzo di risorse rinnovabili, in grado di assicurare il massimo di benessere e autonomia non solo alle individualità della Comune ma a tutte le persone che ne faranno uso. […] La consapevolezza delle diversità esistenti tra le singole componenti della Comune viene considerata elemento di forza e non di debolezza, di ricchezza e non di pericolosità. In particolare , grande attenzione viene posta sulle diversità sessuali e sul ruolo che in ogni caso esse giovano nella vita della Comune. […] Proprio l’attenzione posta sulle diversità sessuali ci ha portato a considerare, al momento della stesura di questi punti, l’inadeguatezza della lingua italiana, la quale ci costringeva, per non rendere il presente documento troppo complicato e ripetitivo, a formularlo quasi interamente al maschile.   Avremmo così dovuto parlare solo di membri della Comune, di comunardi e di fondatori, e usare per tutti i verbi le coniugazioni maschili; oppure saremmo state costrette a complicare l’espressione dei nostri principi scrivendo sempre le declinazioni e le coniugazioni di entrambi i generi ( tutti/e  i/le Comunardi/e)  con la difficoltà ulteriore presentata da quelle parole per le quali il femminile non esiste affatto (qual è infatti il femminile italiano di “membro” o “membri” ?) Abbiamo deciso quindi – nonostante il gruppo (la gruppa?) fondatore della Comune sia costituito sia da uomini che da donne – di scrivere i presenti punti al femminile, anche per sottolineare l’ingiustizia rappresentata da una lingua (e da un mondo) che “parla “ quasi sempre e quasi ovunque al maschile. “ ( frammenti tratti dai Primi Punti Consensuali della Comune  di Urupia Settembre 1993 )
Bibliografia:  Giuseppe Aiello, Urupia , Candilita, 2012 pp. 50-51, p. 57, 58-59 

Da 20 anni nella  comune di Urupia  sono state  messe in atto importanti  attività produttive al fine di i ricavare   buoni e sani prodotti  naturali , tra cui  olio d’ oliva vergine ed extravergine, vini, ortaggi freschi, frutta, marmellate , miele, erbe medicinali ,  prodotti da forno  ecc.  ,  migliorandone via via sempre più la qualità. (cfr.  brano). 
Brano da commentare: “  … Certe cose vengono bene, altre no, per alcune serve un grande impegno. Mentre grazie all’esperienza precedentemente acquisita i prodotti da forno sono sempre stati buonissimi, il vino di Urupia dei primi anni –nonostante la fatica, l’impegno profuso e  l’uva amata  e trattata senza schifezze –  era mediocre. C’è voluto qualcosa di più – come lo vogliamo chiamare: studio, lavoro , cura? – e solo così sono diventati da qualche anno capaci di fare un vino squisito che costa un terzo  di quello che pagate un pari livello in enoteca. Ci sono ottimi risultati che si possono ottenere diventando più essenziali, meno esigenti, più semplici.  Per altri se non si suda non si riesce a realizzare quello che si vuole” (da Urupia di  Giuseppe Aiello )
Bibliografia:  Giuseppe Aiello, Urupia , Candilita, 2012 p. 28
                                                                                        
CAMPEGGIO ESTIVO
 Numerose  sono anche le attività  politico-culturali ,  ecologiche, pedagogiche etc  realizzate da  Urupia.  Mi limito qui a citare, come esempio, la proposta di un campeggio estivo  alla fine di giugno 2015 per bambine e bambini  (  dai sette ai tredici anni) e a metà agosto per ragazze e ragazzi ( dai 14 ai 17 anni )  . (cfr. brani)
Brani da commentare:   1) Anche quest’anno la comune Urupia propone un campeggio per le fanciulle e fanciulli di  età compresa tra i 7 e i 13 anni. Centro del percorso proposto  è l’esperienza sociale tra coetanei in un contesto autogestito, dove i e le partecipanti possano in prima persona sperimentare pratiche, ecologiche, artigianali e di vita collettiva tese a valorizzare lo spirito comunitario dei singoli. Con un approccio ludico e leggero accompagneremo i fanciulli e le fanciulle in un quotidiano  ricco di proposte delle quali saranno protagonisti fondamentali sia  nell’organizzazione sia nella gestione delle attività ma anche del tempo libero  da impiegare secondo i propri  desideri. “ . 2)  Urupia propone anche quest’anno un campo estivo  residenziale per ragazze e ragazzi dai 14 ai 17 anni. L’iniziativa rappresenta un’occasione di incontro e inserimento nella vita e nelle pratiche della comune con un gruppo di coetanei: nell’arco della settimana i e le partecipanti sperimenteranno l’organizzazione generale di Urupia, partecipando alle varie attività praticate in masseria e in campagna. La possibilità di impiegare il proprio tempo libero anche nelle attività autorganizzate rimane centrale nella proposta, coerentemente con la pratica di  autogestione del quotidiano del piccolo collettivo che si andrà formando. Il tema  specifico per questo campeggio è un laboratorio di ceramica: dalla manipolazione dell’argilla, attraverso il colore fino alla cottura finale, ragazzi e ragazze avranno  la possibilità di sperimentare un’arte antica quanto l’umanità e mai perduta . …” ( in   Urupia : una  comune  libertaria nel Salento  )
Bibliografia:  Urupia : una  comune  libertaria nel Salento in https://urupia.wordpress. Com/page/2/ . Cfr. anche gli articoli su Urupia apparsi  nel corso  degli anni, su Libertaria  4 ottobre-dicembre 2004 e su  A rivista anarchica  particolarmente i numeri:  256 (estate 1999) ;  264 (giugno 2000); 367 ( dicembre 2011-gennaio 2012); 368 (febbraio 2012); 392 (ottobre 2014) ;  393 (novembre 2014);  396 (marzo 2015) ; 403 ( dicembre 2015- gennaio 2016) 
                                                                             
            


La copertina dell’ opuscolo Urupia di Giuseppe Aiello  mi ha inoltre ispirato una immagine in creta,  in cui Don Chisciotte e Sancio Panza combattono su un "trattore"  contro un  “mostruoso” drago, vestiti da miliziani /collettivizzatori   nella rivoluzione sociale spagnola  (cfr. post “ LA REVISTA BLANCA ).
                                                                                 
FIGLI DEL SOGNO
 Sebbene non sia mai stata definita come anarchica, né essa stessa si sia mai definita come tale, l’esperienza rivoluzionaria dell’educazione nei kibbutz, nota con il nome di "La casa dei bambini" presenta molti aspetti interessanti dal punto di vista libertario., tra cui il tentativo di far crescere una generazione di uomini nuovi   sulla base  di valori antitetici a quelli dominante nella società esterna ai kibbutz, come   il rifiuto della proprietà privata,  autogestione, autonomia, mutuo appoggio, ecc. Caratteristiche tipiche della vita dei kibbutz nel primo periodo della  loro storia, quello cosi detto “pionieristico, che va dagli anni dieci agli anni quaranta del XX secolo,  (cfr. post  I VILLAGGI COMUNITARI EBRAICI IN PALESTINA: KUWTZA  ………) fu la creazione delle cosiddette “case dei bambini  e delle “case deòlla gioventù. Un esperimento sociale ed educativo,  al quale sono stati dedicati molti studi, tra cui  il libro  “Figli del sogno” di Bruno Bettelheim ,  che riassunse  gli esiti di una sua dettagliata  indagine, nella primavera del 1964 durante sette settimane passate  in un kibbutz, che chiamò significatamente  “ Atid “ , = (Futuro in italiano). (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Fin dalla nascita ( di solito da quattro giorni dopo il parto) i bambini del kibbutz vivono con i loro coetanei , e non in casa, con il padre e la madre. Sono cioè allevati in gruppo, in appositi edifici, da membri della comunità assegnati a tale scopo. Di solito, le case dei bambini si trovano entro uno spazio cintato, che le isola dalle altre costruzioni del kibbutz. Leggendo quanto segue, bisogna tener conto che esistono varianti da kibbutz a kibbutz.  […] Comunque di solito il neonato viene posto in una stanza insieme a quattro, cinque o al massimo sei coetanei. […]  Ogni gruppo di infanti ha una  metapelet (  nota mia: questo termine,  da quel che ho capito,  può assumere vari significati : bambinaia, infermiera,  educatrice, socializzatrice, ecc.), che si occupa particolarmente di quella stanza, oppure di due, ma in questo caso con un’aiutante.. Nella maggior parte dei kibbutz, il bambino non lascia mai la nursery nei prime sei mesi di vita, benché la madre vi si rechi a nutrirlo e il padre possa andare a vederlo. In seguito i genitori lo portano ogni giorno nella propria stanza: dapprima per mezz’ora, poi, al termine del primo anno di vita, per due ore. [….] Tra il primo e il secondo anno di vita, il piccolo passa dalla nursery all’asilo. Qui, ogni  metapelet  si occupa di un gruppo di circa sei bambini. E nell’asilo vi sono due o più di tali gruppi che hanno in comune il refettorio e la stanza di gioco. Verso i quattro anni, avviene l’ingresso nel giardino d’infanzia. […] Adesso una maestra e una metapelet  sono responsabili di tutto il gruppo e i bambini rimarranno nel giardino d’infanzia fino ai sette anni. Qui, hanno in comune un vasto ambiente che serve insieme da aula e da stanza di gioco, e inoltre un piccolo refettorio. I bambini dai sette ai dodici anni vengono riuniti in gruppi di venti. Nella nuova casa, formano una specie di società infantile, in certa misura, in grado di governarsi da sola, sotto la guida di un’insegnante e di una metapelet .  L’unica stanza in comune è il refettorio […] Il resto dell’edificio è composto da camere da letto piuttosto piccole, di solito con quattro letti ciascuna.  I ragazzi dai tredici ai diciotto anni vivono nelle case della gioventù e formano una società molto più autonoma . La vita è regolata principalmente dal gruppo, benché sotto la direzione e il controllo di una persona assegnata a tal scopo.. Per quante siano le case della gioventù, tutti i ragazzi di questo gruppo di età formano una singola comunità giovanile. Di solito alcuni kibbutz si mettono insieme per costruire e far funzionare una scuola secondaria. In queste circostanze, le case della gioventù possono essere vicine alla scuola, ma molto lontane dal kibbutz di questo o quel gruppo. E’ questo sistema educativo che io considero la cosa più notevole del kibbutz e forse il unico e importante contributo” ( Bruno BettelheimThe children of the dream, 1969)
Bibliografia: Bruno Bettelheim, I figli del sogno. È possibile fare a meno dei genitori nell’educazione dei bambini?, Oscar Saggi Mondadori, 1977, pp. 317-319
Già da questa sintetica  presentazione della   “ casa dei bambini”  traspare abbastanza chiaramente  il tendenziale superamento, della “famiglia tradizionale”   compiuto  da questo sistema educativo , all’interno del kibbutz . (cfr. brano)
Brano da commentare: “  La società del kibbutz  è afamiliare e si è definita come tale. La vita di coppia è stata considerata come una minaccia l’esistenza del collettivo. Allora  si parlava del “figlio del kibbutz” […]   Anche se va sottolineato che la concezione della famiglia, tipica dei primi anni del movimento dei kibbutz, non voleva essere una minaccia, tesa a eliminare la famiglia, ma piuttosto attribuirle funzioni diverse da quelle tradizionali. La divisione dei ruoli fra la residenza dei bambini e la casa dei genitori era più esplicita. L’educatrice nella residenza dei bambini aveva un ruolo  strumentale:  era la responsabile dell’interiorizzazione della visione della vita, di ruoi di assistenza, di esigenze educative. Mentre il ruolo dei genitori era affettivo : “ i genitori devono amare” ( le ore pomeridiane del kibbutz vengono ancora oggi chiamate “le ore di svago”, mentre la visita delle madri a mezzogiorno è chiamata “l’ora dell’amore”) . Queste due strutture agivano sulla base di una collaborazione educativa tra genitori ed educatori […]  Alla base del sistema educativo del kibbutz sta l’idea che la società come insieme è responsabile dell’educazione della generazione futura e che i risultati dell’opera educativa sono determinati, ed è impossibile affidarli solo nelle mani dei genitori. La società del kibbutz ha creato, in teoria e di fatto, un modo rivoluzionario dell’approccio educativo . La residenza dei bambini: una casa nel significato completo del termine, opposta a un istituto. …” ( Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz)
Bibliografia: Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz in AAVV, Il bambino fra autorità e libertà in Volontà. Laboratorio di ricerche anarchiche numero 3/92 p.  178 e p. 180

Nel 1951,  tale pratica , stando a quanto Augustin Souchy  scrisse,  dopo il suo viaggio  ad Israele per studiare i villaggi comunitari ebraici in  Palestina, era  ancora  prevalente all’ interno della maggioranza dei kibbutz  . (cfr. brano) 
Brano da commentare: “ Durante una serata nel bungalow della famiglia Adler, originaria di Amburgo, - la sorella di Mme Adler si era sposata ad Haifa con il fratello di  Erich Müsham, il mio amico assassinato dai nazisti -, noi  trattammo ( abordâmes)  il tema delle relazioni tra genitori-bambini nel kibbutz. La sera prima, io avevo accompagnato i  Buchaster nel  dormitorio dei bambini, , dove Mme Buchaster  aveva spogliato e addormentato  suo figlio. I padri e le madri si erano separati dal loro  cherubino con un bacio. “   Si sostiene all’estero – dissi io – che i dormitori dei bambini piccoli al di fuori  della casa ( foyer) dei genitori sono pregiudizievoli per il sentimento familiare e influenza negativamente  lo sviluppo della personalità. Cosa ne pensate voi , in quanto madre di bambini che sono cresciuti nel kibbutz?” “ I bambini  educati (  éléves) nei kibbutz non soffrono di alcun sentimento di inferiorità” rispose Mme Adler –  “L’amore coniugale, filiale o parentale non è meno intenso qui che in città. La prova: delle famiglie cittadine affidano l’educazione dei loro bambini ai kibbutz” . Mentre discutevamo, i due figli Adler,   che  sono sui  vent’anni, entrarono.  Essi sentirono le ultime parole della loro madre. Uno di loro , un ragazzone ( gaillard) grande e forte, abbracciò sua madre e disse girandosi verso di me : “ Il  Kibboutz è la nostra comunità, i nostri genitori vivono in questo bungalow, ed ecco la nostra mamma adorata “. Se un oppositore dei kibboutz si fosse trovato là, questa  commovente scenetta l’avrebbe forse convertito! “   ( Augustin SouchyAttention, anarchiste!, Editions du Monde Libertaire)
Bibliografia: Augustin SouchyAttention, anarchiste! Memoires, Editions du Monde Libertaire, ?m p. 168
 
Tuttavia, tanto più lo spirito pionieristico  ,con  il passare del tempo e col mutare del contesto economico, sociale , psicologico, ecc. ,  si affievoliva, si diffuse sempre più la pratica tradizionale  del pernottamento dei bambini in famiglia, che da  quel che per ora so, è, oggi,   la più diffusa.  (cfr. brano) 
Brano da commentare: “ La prima ragione va ricercata negli enormi cambiamenti politici degli anni quaranta e la loro influenza sull’individuo. Alla fine della seconda guerra mondiale, vennero infatti alla luce le proporzioni mostruose della Shoah, con la conseguente spinta verso un’esistenza individuale, familiare e nazionale. C’era bisogno di riorganizzare tutti i sistemi di vita scardinati, e a questo bisogna aggiungere la guerra d’indipendenza e l’assorbimento dell’immigrazione di massa. Su questo sfondo i legami familiari assunsero un ruolo sempre più importante. La famiglia, contro cui si erano ribellati, era stata annientata. La famiglia come fonte di un passato da cui trarre elementi per un rinnovamento futuro, subì allora un rafforzamento preciso, determinato ed evidente. Sorse l’esigenza di uno spazio maggiore per la famiglia, nell’educazione dei bambini. I bambini, anche se il kibbutz badava a ogni loro necessità, erano bambini della famiglia e non del kibbutz. Alla famiglia, contro la quale ci si era ribellati e che ora si era rinnovata, vennero accordati molti vantaggi, che prima sembravano caratteristiche negative, si creò l’idealizzazione della famiglia. Non si voleva danneggiare la salute emozionale del bambino., educandolo all’esterno delle strutture familiari. Si sosteneva sulla base delle ricerche di noti psicologi, che la lontananza dai genitori, soprattutto dalla madre, agiva negativamente sullo sviluppo del bambino. Ma molte ricerche hanno dimostrato che queste tesi erano errate. L’educazione di tipo comunitario e la residenza non assomigliavano affatto a istituti per bambini abbandonati. Tutto ciò  venne però ignorato. La preoccupazione della “carenza materna” conquistò la maggior parte dei genitori. Se prima venivano addotte testimonianze dalle opere di Sigmund  Freud, secondo cui l’educazione familiare è sostanzialmente patogena e per questo era opportuno un fattore educativo extra-familiare , equilibrante o correttivo, ora venivano addotte testimonianze secondo cui all’amore materno è condizionata la salute mentale del bambino. […] Parallelamente crebbe la parte della madre nella cura del bambino. Poi arrivò la fase del tenere il bambino” per un tempo sempre più lungo a casa dei genitori. E il passo successivo, il passaggio al pernottamento in famiglia e l’eliminazione di molte funzioni nella residenza dei bambini: la cura del bambino malato, la violazione di regole comunitarie ed eguaglitarie nell’abbigliamento, l’eliminazione dei pasti comuni, trasferiti nella famiglia, lo spostamento delle feste dalla residenza dei bambini in teoria a tutto il kibbutz, ma di fatto all’ambiente familiare.  Questi sono solo alcuni dei cambiamenti avvenuti nelle pratiche dell’educazione nel periodo tra gli anni  Cinquanta e Settanta. E’ pur vero che questi cambiamenti nelle pratiche dell’educazione sono apparentemente solo d’ordine organizzativo , ma di fatto sono rilevanti . […]  Dagli anni Settanta il passaggio al pernottamento dei bambini in famiglia si è accelerato. Questo processo si è concluso con la guerra del Golfo. Il passaggio  al pernottamento dei bambini in famiglia non è solo un fatto tecnico, è invece  il sintomo  di un fenomeno molto più profondo che è impossibile ignorare,  cioè l’affermazione di una nuova concezione nell’educazione di tipo comunitario. Dunque, il passaggio al pernottamento in famiglia, lo si può considerare  anche come un abbandono dei centri emozionali che influenza anche altri due fattori nell’educazione  e l’educazione nella società dei bambini: questo processo è l’ espressione dell’incremento di autorità della famiglia nel kibbutz oppure quel che si chiama il “ritorno alla famiglia” e forse, anche alla  “famiglia tradizionale.  “( Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz)
 Bibliografia: Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz in AAVV, Il bambino fra autorità e libertà in Volontà. Laboratorio di ricerche anarchiche numero 3/92 pp. 174-176 e  pp.  178-179
 
Nota: Per quanto riguarda alcune delle più importanti,   "comuni" anarchiche e libertarie del passato , cfr. infra i seguenti post :
La Comune di Parigi  - Les Milieux Libres 1 e 2 - Anarchici inglesi 1 - Villaggi comunitari ebraici in Palestina -  Nestor Makhno - Los  Colectivizadores -

 
 

 



 
                                                                          

 
 
 
 
 
 

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