RUBEN PRIETO (1930-2008)
nacque in Uruguay da genitori spagnoli espulsi dalla Spagna per
motivi politici. Studiò nella facoltà di Belle Arti partecipando
attivamente a vari movimenti libertari (universitari, ecologisti,
sindacali, cooperativisti, ecc.). Tra il
1955 e il 1956 fu uno dei fondatori della Federazione Anarchica Uruguaiana, che
però si scisse presto in due opposte tendenze: l’una più centralista e l’ altra
invece più federalista. Fu questa corrente, a cui apparteneva Ruben
Prieto, che dette vita, nella
zona sud di Montevideo, alla Comunidad del Sur, definita più tardi da
Luce Fabbri non come “un’isola felice” , “isolata dai boschi”, bensì come
“ una cellula viva e robusta nel cuore della città, adatta a riprodursi e come
punto di riferimento”. Con l’avvento di una dittatura militare, la Comunidad del Sur dovette lasciare l’
Uruguay e trasferirsi in Svezia dove rimase, tra il 1975 e il 1985. Caduta la
dittatura, sempre su iniziativa di Ruben Prieto e altri suoi compagni, la Comunidad del Sur fu “rifondata” a
Montevideo ed è tuttora in funzione. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Già tre generazioni
convivono nella stessa esperienza comunitaria che è nata negli anni
Cinquanta: a questa si dovrebbe aggiungere una quarta, formata da coloro che
nel frattempo sono morti, ma che continuano a vivere anche nei nuovi eventi e
nelle nuove generazioni. Le vicissitudini che si sono avute in quasi 35
anni in questo tentativo di autogestione che ha sempre voluto comprendere in sé
tutti gli aspetti della vita sociale, sono difficili da ricordare; soprattutto
per coloro che, coinvolti in questa storia, la ricordano con allegria e dolore
secondo una prospettiva personale. [...] La Comunidad del Sur, già dalla sua origine e molto prima di
quel movimento culminato in Europa nel 1968, si definiva come un laboratorio,
un’azione tesa alla creazione di spazi che mirano alla costruzione di una
cultura realmente alternativa rispetto al modo di vivere in comun e che non si
limita a meri cambiamenti all’interno del sistema attuale. Sia il suo
inserimento in Svezia, in una società altamente tecnologizzata retta dal
capitalismo più avanzato e con uno Stato che si è appropriato di tutte le
funzioni della società, sia la sua rifondazione in Uruguay, in una
regione dipendente, con un capitalismo periferico e uno Stato sempre più
autoritario e militarizzato, mostrano la sua rinnovata vitalità e la sua
capacità di adattamento: resistendo in diverse circostanze, ma sempre
all’interno di una ricreata matrice libertaria. …” (Ruben Prieto, La Comunidad del Sur,)
Bibliografia: Ruben Prieto, La Comunidad
del Sur, in
L’ Utopia comunitaria in Volonta’ 3/ 1989 , pp.53-54 e 55
Nel concludere il suo
articolo sulla Comunidad del Sur Ruben Prieto ricordò , infine, le
" Basi del gruppo rifondatore della Comunidad del Sur, elaborate a Montevideo
nell' agosto del 1987. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ .. Propositi ; “….Creare cellule sociali che cerchino
di comprendere tutti gli aspetti della vita sociale, soprattutto a livello di
vita quotidiana. La loro funzione sarà di aprire spazi di socializzazione
positiva da cui imparare a vivere in modo solidale, in cui partecipare
direttamente a tutte le situazioni che ci riguardano e nel conseguimento di un
progetto comune. Le tre dimensioni che si considerano essenziali in un
organismo comunitario sono :
•Come
matrice sociale. Un’educazione che
procuri il massimo sviluppo della personalità in un contesto di solidarietà.
Unità di riproduzione socioculturale, che superi la struttura familiare
ed eviti le strutture di massa. Come prefigurazione della società desiderata. Sperimentazione
dell’autogestione a tutti i livelli. Il proposito è di creare una rete
comunitaria fondata sui gruppi di base. Il modello è una comunità di comunità,
di crescente complessità.
• Come mezzo per un inserimento nella società globale. Una struttura capace di provocare al suo
interno una trasformazione. Una presenza interrogante e critica e allo stesso
tempo una nuova forma creativa di vita in comune, che permetta
l’autodeterminazione, tanto a livello sociale che personale.
•Mezzi scelti : Eco-comunità, che nei loro meccanismi decisionali si basino sulla
partecipazione di tutti i loro componenti (struttura libertaria,
antiautoritaria e antigerarchica). … ( frammenti da “Basi del gruppo
rifondatore della Comunidad del Sur nel
1987)
Bibliografia: Ruben Prieto, La Comunidad del Sur in
L’Utopia comunitaria, Volonta’ 3, 1989 pp. 67-68
Fondamentale , nella Comunidad del Sur è il posto riservato
all’esperienza educativa, in particolare, dei giovani, i cosiddetti “ Figli della Comunidad “ . ( cfr. brano)
Brano da commentare: “ … Oggi la
collettivizzazione implica un articolarsi di spazi destinati ai minori di sei
anni (dormitori), luoghi comuni per il gioco, sala da pranzo e di
incontro che i bambini stessi chiamano guardia (rifugio). […] La cura dei
bambini è affidata ai compagni che per vocazione o scelta comune sono stati
designati a tale compito, i quali fanno parte di un gruppo di lavoro che
periodicamente si riunisce con i genitori e informa l’assemblea generale […]Dai
sei ai dodici anni, gli spazi che ospitano la vita sempre più autogestita dei
bambini vengono chiamati “ la casa dei bambini”. Qui le funzioni del
gruppo, adesso più complesso e differenziato per interessi e sensibilità,
sono assunte, con l’aiuto di alcuni adulti, che fungono da risorsa aggiuntiva
per la riuscita comune e il cui obiettivo è favorire una crescita della
capacità simbolico-istruttiva tale da consentire la scomparsa o la
riduzione dei rapporti di dipendenza. A partire dai dodici anni, in un processo
più individuale, ciascun giovane si integra nei diversi aspetti della vita
sociale. In linea di massima condividendo (qui pesano ragioni economiche) la
propria stanza con un altro dei ragazzi, facendo riferimento alla “casa dei
giovani” dove ci sono spazi per attività sia individuali sia con altri giovani
del quartiere e luoghi di studio. In questa fase i giovani intensificano la
propria partecipazione al mondo degli adulti, condividendo con essi istanze
comuni , nella sala da pranzo, in riunioni e attività di interesse comune, e
partecipando a lavori e servizi della comunità. Nel corso di queste diverse
tappe, via via che si sviluppa la loro autonomia, le istanze quotidiane,
vengono risolte all’interno di ciascun gruppo di età, sia per ciò che riguarda
i loro aspetti normativi sia per quanto concerne
forme di comportamento che determinano conflitti e scontri. […] Tutta la
pratica educativa della Comunidad del sur fa perno sullo sviluppo
delle capacità istituenti e del suo corollario, la capacità critica unita a
responsabilità e solidarietà. A questo fine è sempre stata fondamentale la
rotazione degli individui nei diversi compiti e funzioni, finalizzata a un dominio
degli stessi non tanto da un punto di vista tecnico quanto da un punto di vista
politico, per evitare il costituirsi di saperi ed esperienze separate come
fonte di dominio. Così lo schema seguito dal gruppo di giovani tra i
dodici e i sedici anni comprende tre cicli di rotazione progressivi ed elastici
intorno alle attività elencate qui sotto:
Mondo delle cose : lavoro rurale, lavori
manuali, industria, amministrazione;
Mondo delle persone: lavoro
educativo,servizio nella sala da pranzo, lavanderia meccanizzata, analisi del
comportamento;
Mondo delle idee: ore di studio e compiti
a esse collegate, analisi della realtà.
In una prima fase di tre mesi, ciascuno
ruota attraverso la maggior parte dei compiti inclusi nello schema. Poi c’è una
rotazione più lenta della durata di sei mesi tra due o tre attività, scelte dal
giovane stesso. Segue un periodo di un anno per imparare una tecnica
scelta sulla base delle proprie capacità e inclinazioni. Chiude il ciclo
un viaggio/sperimentazione in uno o diversi altri gruppi comunitari o di
autogestione. Verso i diciassette anni la realizzazione di un lungo viaggio
attraverso l’ America Latina, con la possibilità di conoscere altre culture e
altre realtà, costituirebbe la base per decidere la propria adesione o meno
alla Comunidad e per definire il proprio settore di attività nell’ambito di una
o diverse discipline intellettuali, artistiche e tecniche. … “ ( Ruben Prieto, Figli della Comunidad )
Bibliografia: Ruben Prieto, Figli della Comunidad in Il
bambino fra autorità e libertà in Volontà.
Laboratorio di ricerche anarchiche 3/2 1982 pp. 144-145 e pp. 151-152
CHRISTANIA (dal
1971 ad oggi) : La città libera di Christania è un quartiere di Copenhagen ( il nome
deriva, appunto, dal re Cristiano IV di Danimarca e Norvegia , fondatore
originario di quel quartiere tra il XVI e il
XVII secolo) ) di Copenhagen autogestito ormai da più di
quarant’anni da coloro che nel 1971 lo occuparono per stabilirvisi e
creare uno stile di vita libertario e alternativo a quello domiinante. Essa è caratterizzata,
tra l’altro dall’assenza di automobili e dalla proliferazione di biciclettee le cosiddette “ Christania bikes” , dall’ assenza di
poliziotti e dalla vendita di hashish, ma non delle droghe pesanti,
in una delle sue vie principali “ Pusher Street". Ottenuta dapprima
con l’approvazione del governo allora socialdemocratico la qualifica di “esperimento
sociale, a partire dal 1974 i rapporti con le autorità ufficiali alternarono
periodi di relativa quiete a momenti di grave tensione. Attualmente
incombono costantemente progetti di speculazione edilizia che
porrebbero fine, o, comunque stravolgerebbero questo importante e
innovativo “esperimento sociale” (cfr. brano)
Brano da commentare: “ … La storia di Christiania inizia nel 1971 quando un gruppo di giovani abbatte la palizzata
intorno ad un’immensa caserma militare abbandonata per avere accesso a uno
spazio verde ed allestire un luogo di giochi per bambini . L’esercito li
caccia e ricostruisce la barriera. I militanti tornano, più volte, ogni volta
più numerosi, sino ad ottenere causa vinta. Finalmente, la barriera è abbattuta
per l’ultima volta: gli abitanti di Christianshavn, il quartiere dove ha luogo lo
scontro acquisiscono il loro campo di giochi , mentre che hippies e squatters ottengono la loro Free Town (Città libera) e cominciano a
riabilitare ed abitare l’antica caserma. In un contesto che unisce a
una effervescenza politica, dove i sognatori sembrano avere la mano
(avoir la main),
Cristiania diventa la destinazione ideale per una folla di persone desiderosa
di costruire un altro tipo di vita. Il flusso è altamente favorito dal giornale
alternativo dell’epoca Hovedblavet, di cui la prima pagina esorta ad
“emigrare con l’autobus n. 8”.
Nel 1972 la Città Libera è
ufficialmente considerata come una “esperienza sociale” . Il Ministero della
Difesa , proprietaria dei luoghi , e Cristiania firmano un accordo in dieci
punti che includeva specificatamente il pagamento dell’acqua e
dell’elettricità da parte degli una grave penuria immobiliare abitanti.
Tuttavia gli anni seguenti sono caratterizzati da una serie di
battaglie, più frequentemente giuridiche e politiche , ma a volte anche
di strada tra i Cristianiti e le autorità che amerebbero bene
sbarazzarsi da quei libertari un po’ troppo visibili. Malgrado il sentimento di
minaccia permanente, Cristiania risponde ad ogni offensiva con una incredibile
sintesi di creatività e intelligenza politica che rende la sua lotta
immensamente popolare presso i Danesi: avvocati e artisti sembrano formare una
combinazione invincibile . Se le petizioni, i dibattiti, le negoziazzioni e le
elezioni fanno parte della strategia di difesa dei Cristianiti, ogni colpo violento del governo rimbalza su un giornale,
un disco, una mostra ( exposition) o un “ canular “
(virgolette mie, ho deciso di non tradurlo. Il senso è chiaro e la parola, così
com’è suona bene). La compagna di teatro residente a Christiania, Solvognen ( i Charlots du
Soleil) organizza anche numerose e audaci mega-produzioni di strada alle
quali partecipano Christianiti, attori e passanti ….” (
Isabelle Fremeuaux John Jordan, Les sentiers de l’ utopie )
Bibliografia : Isabelle Fremeuaux John Jordan, Les sentiers de
l’ utopie
(Nouvelle Edition, La Découverte/Poche , 2013 pp.
324-325 (traduzione italiana mia)
Non tutto comunque si è
sempre svolto tranquillamente , all’interno di Christiania e spesso si è dovuto porre il problema di istituire
delle regole, o quantomeno di proporle. Non avendo notizie recenti
su questo tema , che ritengo molto complesso e denso di conseguenze,
ricorro , per il momento a un articolo di Jean-Manuel Traimond in Refraction , scritto
nell' inverno del 2000, sui problemi connessi alla applicazione del
diritto a Christiania non contraddicendo i
principi libertari di base o quanto meno a non svuotarli di ogni significato
(cfr. brano)
Brano da commentare: Non
vi sono quasi regole all’inizio. Innanzitutto perché nessuno
immagina che Cristiania possa durare. In seguito perché il progetto utopizzante di fristad non è necessariamente quello
dei disoccupati, vagabondi, ubriaconi e piccoli delinquenti che
completano la popolazione di squatters hippies. Tuttavia , se deve esservi una ideologia
comune, nessuno dubita che essa sia l’anarchismo implicito, minimalist6a,
del movimento hippie. La libertà e l’uguaglianza sono le mammelle di questo
anarchismo vago , ma indiscusso. Nessuno dice: “ Nessun cristianita ha più diritti di un altro, nessun cristianita può dare ordini, la sola
volontà con la quale s i possa marciare è quella di tutti!. Ma tutti lo sanno.
Per amore dei diritti , si è diffidenti nei confronti del diritto
[…] .Poche regole vengono precisare per ché per loro molte di esse sono ovvie (vont de soi)
: ognuno può praticare la religione che vuole, ma i sacrifici umani sono mal
visti. Ognuno può esprimersi come vuole (intende) , ma il pugno non
saprebbe aiutare la parola. (langue) . La proprietà potrà anche essere un
furto , ma non si prende il sacco a pelo del vicino senza il suo
permesso. […] la teoria anarchica non prevede come unica punizione
che l’espulsione. Christiania ha agito in modo uguale.
Ma ! Ma dopo che nel 1979 , dopo mesi di dibattito, dopo più di
venti morti per overdose quell’anno là, dopo anni di presenza oppressiva e
deprimente degli junkies ( tossicodipendenti) e del loro mondo, Christiania ha deciso di interdire le droghe dure, si è visto
talvolta i pusher (spacciatori) sguinzagliare grossissimi cani su
un tossicomane o un trafficante imprudente nessuno è stato divorato , ma
i disgraziati dovettero scappare velocemente . L’esclusione, in ogni
caso, è stata la sorte degli junkies che non hanno iniziato
una terapia di disintossicazione , poi di chi si è lasciato
risucchiare (happer) dalle droghe dure. […] Discutendo
un giorno con una donna che lo aveva lasciato ( nota mia: si tratta di un uomo
residente da lungo tempo a Cristiania) egli la colpì con un pugno
così violento che le ruppe il naso. Immediatamente , le donne di Cristiania
convocarono un faelles møde ( assemblea generale : nota mia ) . John
tenta di scusarsi, ma le donne furono inflessibili. John tentò allora di
passarci sopra ( passer outre) e di restare a Christiania, ma le donne rifiutavano di parlargli e gli uomini attivisti
(John era un attivista), imbarazzati, quasi non rispondevano alle sue
richieste di simpatia. Dopo due settimane John cedette e partì. […]
Secondo le statistiche della polizia , si commettano più stupri a Christiania che altrove. D’ accordo su questo punto con molte donne cristianite io penso piuttosto che le donne cristianite esitano meno
a sporgere denuncia. Uno stupro in teoria implica l’esclusione, ma
due o tre psicopatici notoriamente pericolosi e con stupri accertati si
sono mantenuti per anni a Cristiania. Gli assassini tra cristianiti sono sconosciuti. Ma cristianiti, così come i visitatori, sono stati
vittime di assassinii o, più spesso, di risse di ubriachi. In tutti i
casi di omicidio i cristianiti hanno aiutato la polizia
criminale nelle loro inchieste. Christiania dimostra che una società senza diritto
scritto, senza tribunali, senza polizia, senza prigione è vivibile. Ma che essa
non è né giusta né completamente sicura., sin tanto che ciascuno non tragga le
conseguenze dell’assenza dell’ appropriamento del diritto, sin tanto che
ciascuno non faccia la sua parte ( ne porte pas sa
part) nella mediazione dei litigi e nella protezione di tutti. “ ( Jean-
Manuel Traimond Naissance du droit à Christiania , Hiver
2000 )
Bibliografia: Jean- Manuel Traimond Naissance du droit à
Christiania , in Refractions n. 6 Hiver 2000,
p. 99, 100, 104, ) (traduzione dal francese mia, è meglio, come sempre, se possibile, verificare il testo originale)
Premetto che io a Urupia non sono mai stato e
che le notizie che ho su questa comune situata tra Brindisi e
Taranto sono tutte tratte da pubblicazioni libertarie o da
internet. Ritengo comunque importante accennare ad essa , sia per
l’importanza di questa , ormai di lunga data, esemplare “esperienza
comunitaria “ aperta e sia perché come cretastorico ha
colpito fortemente la mia immaginazione la bella copertina disegnata da
Giuseppe Aiello per il suo
opuscolo dedicato ad Urupia . Dallo scritto di Aiello traggo
alcuni principi ispiratori della Comunità . (cfr. brano)
Brano da commentare: Non esiste
all’interno della Comune, proprietà privata di case, terreni, denaro o mezzi di
produzione ed è abolita ogni forma di lavoro salariato o sottoposto . Ogni
componente sceglie il proprio lavoro e partecipa con esso (indipendentemente
dalle sue capacità personali, o dalla qualità e redditività della sua
professione o del suo mestiere) alla vita economica collettiva, godendo tutte
le garanzie e i vantaggi che da essa derivano. […] E’ nostro obiettivo,
inoltre, valorizzare concretamente , nel nostro progetto, una nozione di “
lavoro integrale” che non tenga esclusivamente conto del “contributo economico”
delle attività delle singole, ma che consideri il loro lavoro alla luce
dell’arricchimento più generale di sé stessi e della comunità, sotto ogni punto
di vista. Obiettivo della Comune è anche di realizzare, grazie
all’attività delle sue componenti, il massimo possibile di autosufficienza
economica, riducendo i rapporti con l’esterno mediati dal denaro e privilegiando
lo scambio tra beni (baratto) Ogni operazione economica di interesse
collettivo è decisa dall’assemblea comunale. […] La Comune rifiuta in linea di
principio, sia un’ottica consumistica che l’uso di tecnologie volte al
consumismo. Accetta invece la realizzazione di un sufficiente grado di comfort
per tutte le sue componenti e l’uso di oggetti e strumenti considerati “utili”
(acqua calda, riscaldamento, lavatrice, etc. …) Nella scelta di tecnologie di
uso collettivo, tuttavia, la Comune considera l’utilità
solo uno dei criteri per decidere se una
tecnologia sia accettabile o meno secondo un’ottica consumistica. Altri
parametri dei quali terrà conto saranno l’inquinamento (sia
come effetto dell’uso che come conseguenza della produzione della tecnologia
stessa), la nocività per chi la utilizza, le circostanze etiche e
politico-economiche della sua produzione,
etc. etc. … La Comune in ogni caso si impegna a sviluppare al
massimo, anche in questo campo, la pratica del principio dell’autogestione e
della diffusione delle conoscenze, proponendosi di diventare un vero e proprio “laboratorio”
dove sperimentare e applicare tecnologie semplici , basate sull’utilizzo di
risorse rinnovabili, in grado di assicurare il massimo di benessere e autonomia
non solo alle individualità della Comune ma a tutte le persone che ne faranno
uso. […] La consapevolezza delle diversità esistenti tra le singole componenti
della Comune viene considerata elemento di forza e non di debolezza, di
ricchezza e non di pericolosità. In particolare , grande attenzione viene posta
sulle diversità sessuali e sul ruolo che in ogni caso esse giovano nella vita
della Comune. […] Proprio l’attenzione posta sulle diversità sessuali ci ha
portato a considerare, al momento della stesura di questi punti,
l’inadeguatezza della lingua italiana, la quale ci costringeva, per non rendere
il presente documento troppo complicato e ripetitivo, a formularlo quasi
interamente al maschile. Avremmo così dovuto parlare solo di membri
della Comune, di comunardi e di fondatori, e usare per tutti i verbi le
coniugazioni maschili; oppure saremmo state costrette a complicare
l’espressione dei nostri principi scrivendo sempre le declinazioni e le
coniugazioni di entrambi i generi ( tutti/e i/le Comunardi/e) con
la difficoltà ulteriore presentata da quelle parole per le quali il femminile
non esiste affatto (qual è infatti il femminile italiano di “membro” o “membri”
?) Abbiamo deciso quindi – nonostante il gruppo (la gruppa?)
fondatore della Comune sia costituito sia da uomini che da donne – di scrivere
i presenti punti al femminile, anche per sottolineare l’ingiustizia
rappresentata da una lingua (e da un mondo) che “parla “ quasi sempre e quasi
ovunque al maschile. “ ( frammenti tratti dai Primi Punti Consensuali della Comune di Urupia Settembre 1993 )
Bibliografia: Giuseppe Aiello, Urupia , Candilita, 2012 pp. 50-51, p. 57,
58-59
Da 20 anni nella comune di Urupia sono state
messe in atto importanti attività produttive al fine di i
ricavare buoni e sani prodotti naturali , tra cui olio
d’ oliva vergine ed extravergine, vini, ortaggi freschi, frutta, marmellate ,
miele, erbe medicinali , prodotti da forno ecc. ,
migliorandone via via sempre più la qualità. (cfr. brano).
Brano da commentare: “ … Certe cose
vengono bene, altre no, per alcune serve un grande impegno. Mentre grazie
all’esperienza precedentemente acquisita i prodotti da forno sono sempre stati
buonissimi, il vino di Urupia dei primi anni –nonostante la fatica,
l’impegno profuso e l’uva amata e trattata senza schifezze –
era mediocre. C’è voluto qualcosa di più – come lo vogliamo chiamare: studio,
lavoro , cura? – e solo così sono diventati da qualche anno capaci di fare un
vino squisito che costa un terzo di quello che pagate un pari livello in
enoteca. Ci sono ottimi risultati che si possono ottenere diventando più
essenziali, meno esigenti, più semplici. Per altri se non si suda non si
riesce a realizzare quello che si vuole” (da Urupia di Giuseppe Aiello )
Bibliografia: Giuseppe Aiello, Urupia , Candilita, 2012 p. 28
Numerose sono
anche le attività politico-culturali , ecologiche, pedagogiche etc realizzate
da Urupia. Mi limito qui a
citare, come esempio, la proposta di un campeggio estivo alla fine di
giugno 2015 per bambine e bambini ( dai sette ai tredici anni) e a
metà agosto per ragazze e ragazzi ( dai 14 ai 17 anni ) . (cfr. brani)
Brani da commentare: 1) Anche quest’anno la comune Urupia
propone un campeggio per le fanciulle e fanciulli di età compresa tra i 7
e i 13 anni. Centro del percorso proposto è l’esperienza sociale tra
coetanei in un contesto autogestito, dove i e le partecipanti possano in prima
persona sperimentare pratiche, ecologiche, artigianali e di vita collettiva
tese a valorizzare lo spirito comunitario dei singoli. Con un approccio ludico
e leggero accompagneremo i fanciulli e le fanciulle in un quotidiano
ricco di proposte delle quali saranno protagonisti fondamentali sia
nell’organizzazione sia nella gestione delle attività ma anche del tempo
libero da impiegare secondo i propri desideri. “ . 2) Urupia propone anche quest’anno un campo
estivo residenziale per ragazze e ragazzi dai 14 ai 17 anni. L’iniziativa
rappresenta un’occasione di incontro e inserimento nella vita e nelle pratiche
della comune con un gruppo di coetanei: nell’arco della settimana i e le
partecipanti sperimenteranno l’organizzazione generale di Urupia,
partecipando alle varie attività praticate in masseria e in campagna. La
possibilità di impiegare il proprio tempo libero anche nelle attività autorganizzate rimane centrale nella proposta,
coerentemente con la pratica di autogestione del quotidiano del piccolo
collettivo che si andrà formando. Il tema specifico per questo campeggio
è un laboratorio di ceramica: dalla manipolazione dell’argilla, attraverso il
colore fino alla cottura finale, ragazzi e ragazze avranno la possibilità
di sperimentare un’arte antica quanto l’umanità e mai perduta . …” ( in Urupia : una comune
libertaria nel Salento )
Bibliografia: Urupia :
una comune libertaria nel Salento in
https://urupia.wordpress. Com/page/2/ . Cfr. anche gli
articoli su Urupia apparsi nel
corso degli anni, su Libertaria 4
ottobre-dicembre 2004 e su A rivista anarchica particolarmente i
numeri: 256 (estate 1999) ; 264 (giugno 2000); 367 ( dicembre
2011-gennaio 2012); 368 (febbraio 2012); 392 (ottobre 2014) ; 393
(novembre 2014); 396 (marzo 2015) ; 403 ( dicembre 2015- gennaio
2016)
La copertina dell’ opuscolo Urupia di Giuseppe Aiello mi ha inoltre ispirato una immagine in creta, in cui Don Chisciotte e Sancio Panza combattono su un "trattore" contro un
“mostruoso” drago, vestiti da miliziani /collettivizzatori nella rivoluzione sociale
spagnola (cfr. post “ LA REVISTA BLANCA ).
Sebbene non sia mai
stata definita come anarchica, né essa stessa si sia mai definita come tale,
l’esperienza rivoluzionaria dell’educazione nei kibbutz, nota con il nome di "La casa dei bambini" presenta molti aspetti interessanti dal punto di vista
libertario., tra cui il tentativo di far crescere una generazione di uomini
nuovi sulla base di valori antitetici a quelli dominante
nella società esterna ai kibbutz, come il rifiuto della proprietà
privata, autogestione, autonomia, mutuo appoggio, ecc. Caratteristiche
tipiche della vita dei kibbutz nel primo periodo della loro storia,
quello cosi detto “pionieristico, che va dagli anni dieci agli anni quaranta
del XX secolo, (cfr. post I VILLAGGI COMUNITARI EBRAICI IN
PALESTINA: KUWTZA ………) fu la creazione delle
cosiddette “case dei bambini e delle “case deòlla gioventù. Un esperimento sociale ed educativo, al
quale sono stati dedicati molti studi, tra cui il libro “Figli
del sogno” di
Bruno Bettelheim , che
riassunse gli esiti di una sua dettagliata indagine, nella
primavera del 1964 durante sette settimane passate in un kibbutz, che
chiamò significatamente “ Atid “ , = (Futuro in
italiano). (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Fin dalla nascita (
di solito da quattro giorni dopo il parto) i bambini del kibbutz vivono con i
loro coetanei , e non in casa, con il padre e la madre. Sono cioè allevati in
gruppo, in appositi edifici, da membri della comunità assegnati a tale scopo.
Di solito, le case dei bambini si trovano entro uno spazio cintato, che le
isola dalle altre costruzioni del kibbutz. Leggendo quanto segue, bisogna tener
conto che esistono varianti da kibbutz a kibbutz. […] Comunque di solito
il neonato viene posto in una stanza insieme a quattro, cinque o al massimo sei
coetanei. […] Ogni gruppo di infanti ha una metapelet ( nota mia: questo termine,
da quel che ho capito, può assumere vari significati : bambinaia,
infermiera, educatrice, socializzatrice, ecc.), che si occupa
particolarmente di quella stanza, oppure di due, ma in questo caso con un’aiutante..
Nella maggior parte dei kibbutz, il bambino non lascia mai la nursery nei prime
sei mesi di vita, benché la madre vi si rechi a nutrirlo e il padre possa
andare a vederlo. In seguito i genitori lo portano ogni giorno nella propria
stanza: dapprima per mezz’ora, poi, al termine del primo anno di vita, per due
ore. [….] Tra il primo e il secondo anno di vita, il piccolo passa dalla
nursery all’asilo. Qui, ogni metapelet si
occupa di un gruppo di circa sei bambini. E nell’asilo vi sono due o più di
tali gruppi che hanno in comune il refettorio e la stanza di gioco. Verso i
quattro anni, avviene l’ingresso nel giardino d’infanzia. […] Adesso una
maestra e una metapelet sono responsabili di tutto il gruppo
e i bambini rimarranno nel giardino d’infanzia fino ai sette anni. Qui, hanno
in comune un vasto ambiente che serve insieme da aula e da stanza di gioco, e
inoltre un piccolo refettorio. I bambini dai sette ai dodici anni vengono
riuniti in gruppi di venti. Nella nuova casa, formano una specie di società
infantile, in certa misura, in grado di governarsi da sola, sotto la guida di
un’insegnante e di una metapelet . L’unica stanza in comune è il
refettorio […] Il resto dell’edificio è composto da camere da letto piuttosto
piccole, di solito con quattro letti ciascuna. I ragazzi dai tredici ai
diciotto anni vivono nelle case della gioventù e formano una società molto più
autonoma . La vita è regolata principalmente dal gruppo, benché sotto la
direzione e il controllo di una persona assegnata a tal scopo.. Per quante
siano le case della gioventù, tutti i ragazzi di questo gruppo di età formano
una singola comunità giovanile. Di solito alcuni kibbutz si mettono insieme per
costruire e far funzionare una scuola secondaria. In queste circostanze, le
case della gioventù possono essere vicine alla scuola, ma molto lontane dal
kibbutz di questo o quel gruppo. E’ questo sistema educativo che io considero
la cosa più notevole del kibbutz e forse il unico e importante contributo” (
Bruno Bettelheim, The children of the dream,
1969)
Bibliografia:
Bruno Bettelheim, I figli del sogno. È possibile fare a meno dei genitori
nell’educazione dei bambini?,
Oscar Saggi Mondadori, 1977, pp. 317-319
Già da questa
sintetica presentazione della “ casa dei bambini”
traspare abbastanza chiaramente il tendenziale superamento, della
“famiglia tradizionale” compiuto da questo sistema educativo
, all’interno del kibbutz . (cfr. brano)
Brano da commentare: “ La società
del kibbutz è afamiliare e si è definita come
tale. La vita di coppia è stata considerata come una minaccia l’esistenza del
collettivo. Allora si parlava del “figlio del kibbutz” […] Anche se va sottolineato
che la concezione della famiglia, tipica dei primi anni del movimento dei kibbutz, non voleva essere una minaccia, tesa a
eliminare la famiglia, ma piuttosto attribuirle funzioni diverse da quelle
tradizionali. La divisione dei ruoli fra la residenza dei bambini e la casa dei
genitori era più esplicita. L’educatrice nella residenza dei bambini aveva un
ruolo strumentale: era la responsabile dell’interiorizzazione della
visione della vita, di ruoi di assistenza, di esigenze educative.
Mentre il ruolo dei genitori era affettivo : “ i genitori devono amare” ( le
ore pomeridiane del kibbutz vengono ancora oggi chiamate “le ore di svago”,
mentre la visita delle madri a mezzogiorno è chiamata “l’ora dell’amore”) .
Queste due strutture agivano sulla base di una collaborazione educativa tra
genitori ed educatori […] Alla base del sistema educativo del kibbutz sta
l’idea che la società come insieme è responsabile dell’educazione della
generazione futura e che i risultati dell’opera educativa sono determinati, ed
è impossibile affidarli solo nelle mani dei genitori. La società del kibbutz ha
creato, in teoria e di fatto, un modo rivoluzionario dell’approccio educativo .
La residenza dei bambini: una casa nel significato completo del termine,
opposta a un istituto. …” ( Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz)
Bibliografia: Tamar Okonowski, L’
utopia del kibbutz in
AAVV, Il bambino fra autorità e libertà in Volontà.
Laboratorio di ricerche anarchiche numero 3/92 p. 178 e p. 180
Nel 1951, tale
pratica , stando a quanto Augustin Souchy scrisse,
dopo il suo viaggio ad Israele per studiare i villaggi comunitari ebraici
in Palestina, era ancora prevalente all’ interno della
maggioranza dei kibbutz . (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Durante una serata
nel bungalow della famiglia Adler, originaria di Amburgo, - la sorella di Mme
Adler si era sposata ad Haifa con il fratello di Erich Müsham, il
mio amico assassinato dai nazisti -, noi trattammo ( abordâmes) il tema delle relazioni tra genitori-bambini nel kibbutz.
La sera prima, io avevo accompagnato i Buchaster nel dormitorio dei
bambini, , dove Mme Buchaster aveva spogliato e
addormentato suo figlio. I padri e le madri si erano separati dal
loro cherubino con un bacio. “ Si sostiene all’estero – dissi
io – che i dormitori dei bambini piccoli al di fuori della casa ( foyer)
dei genitori sono pregiudizievoli per il sentimento familiare e influenza
negativamente lo sviluppo della personalità. Cosa ne pensate voi , in
quanto madre di bambini che sono cresciuti nel kibbutz?” “ I bambini
educati ( éléves) nei kibbutz non soffrono di alcun
sentimento di inferiorità” rispose Mme Adler – “L’amore coniugale, filiale
o parentale non è meno intenso qui che in città. La prova: delle famiglie
cittadine affidano l’educazione dei loro bambini ai kibbutz” . Mentre
discutevamo, i due figli Adler, che sono sui vent’anni,
entrarono. Essi sentirono le ultime parole della loro madre. Uno di loro
, un ragazzone ( gaillard) grande e forte, abbracciò sua madre e
disse girandosi verso di me : “ Il Kibboutz è la nostra comunità, i nostri genitori
vivono in questo bungalow, ed ecco la nostra mamma adorata “. Se un oppositore
dei kibboutz si fosse trovato là, questa commovente scenetta l’avrebbe
forse convertito! “ ( Augustin Souchy, Attention, anarchiste!, Editions du Monde Libertaire)
Bibliografia:
Augustin Souchy, Attention, anarchiste! Memoires, Editions du Monde Libertaire, ?m p. 168
Tuttavia, tanto più lo
spirito pionieristico ,con il passare del tempo e col mutare del
contesto economico, sociale , psicologico, ecc. , si affievoliva, si
diffuse sempre più la pratica tradizionale del pernottamento
dei bambini in famiglia, che da quel che per ora so, è, oggi,
la più diffusa. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ La prima ragione va
ricercata negli enormi cambiamenti politici degli anni quaranta e la loro
influenza sull’individuo. Alla fine della seconda guerra mondiale, vennero
infatti alla luce le proporzioni mostruose della Shoah, con
la conseguente spinta verso un’esistenza individuale, familiare e nazionale.
C’era bisogno di riorganizzare tutti i sistemi di vita scardinati, e a questo
bisogna aggiungere la guerra d’indipendenza e l’assorbimento dell’immigrazione
di massa. Su questo sfondo i legami familiari assunsero un ruolo sempre più
importante. La famiglia, contro cui si erano ribellati, era stata annientata.
La famiglia come fonte di un passato da cui trarre elementi per un rinnovamento
futuro, subì allora un rafforzamento preciso, determinato ed evidente. Sorse
l’esigenza di uno spazio maggiore per la famiglia, nell’educazione dei bambini.
I bambini, anche se il kibbutz badava a ogni loro necessità, erano bambini
della famiglia e non del kibbutz. Alla famiglia, contro la quale ci si era
ribellati e che ora si era rinnovata, vennero accordati molti vantaggi, che
prima sembravano caratteristiche negative, si creò l’idealizzazione della
famiglia. Non si voleva danneggiare la salute emozionale del bambino.,
educandolo all’esterno delle strutture familiari. Si sosteneva sulla base delle
ricerche di noti psicologi, che la lontananza dai genitori, soprattutto dalla
madre, agiva negativamente sullo sviluppo del bambino. Ma molte ricerche hanno
dimostrato che queste tesi erano errate. L’educazione di tipo comunitario e la
residenza non assomigliavano affatto a istituti per bambini abbandonati. Tutto
ciò venne però ignorato. La preoccupazione della “carenza materna”
conquistò la maggior parte dei genitori. Se prima venivano addotte
testimonianze dalle opere di Sigmund Freud, secondo cui l’educazione
familiare è sostanzialmente patogena e per questo era opportuno un fattore
educativo extra-familiare , equilibrante o correttivo, ora venivano addotte
testimonianze secondo cui all’amore materno è condizionata la salute mentale
del bambino. […] Parallelamente crebbe la parte della madre nella cura del
bambino. Poi arrivò la fase del tenere il bambino” per un tempo sempre più
lungo a casa dei genitori. E il passo successivo, il passaggio al pernottamento
in famiglia e l’eliminazione di molte funzioni nella residenza dei bambini: la
cura del bambino malato, la violazione di regole comunitarie ed eguaglitarie nell’abbigliamento, l’eliminazione dei pasti comuni, trasferiti
nella famiglia, lo spostamento delle feste dalla residenza dei bambini in
teoria a tutto il kibbutz, ma di fatto all’ambiente familiare. Questi
sono solo alcuni dei cambiamenti avvenuti nelle pratiche dell’educazione nel
periodo tra gli anni Cinquanta e Settanta. E’ pur vero che questi
cambiamenti nelle pratiche dell’educazione sono apparentemente solo d’ordine
organizzativo , ma di fatto sono rilevanti . […] Dagli anni Settanta il
passaggio al pernottamento dei bambini in famiglia si è accelerato. Questo
processo si è concluso con la guerra del Golfo. Il passaggio al
pernottamento dei bambini in famiglia non è solo un fatto tecnico, è
invece il sintomo di un fenomeno molto più profondo che è
impossibile ignorare, cioè l’affermazione di una nuova concezione
nell’educazione di tipo comunitario. Dunque, il passaggio al pernottamento in
famiglia, lo si può considerare anche come un abbandono dei centri
emozionali che influenza anche altri due fattori nell’educazione e
l’educazione nella società dei bambini: questo processo è l’ espressione
dell’incremento di autorità della famiglia nel kibbutz oppure quel che si
chiama il “ritorno alla famiglia” e forse, anche alla “famiglia
tradizionale. “( Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz)
Bibliografia: Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz in AAVV, Il bambino fra autorità e libertà in Volontà. Laboratorio di ricerche anarchiche numero 3/92 pp. 174-176 e pp. 178-179
Bibliografia: Tamar Okonowski, L’ utopia del kibbutz in AAVV, Il bambino fra autorità e libertà in Volontà. Laboratorio di ricerche anarchiche numero 3/92 pp. 174-176 e pp. 178-179
Nota: Per quanto riguarda alcune delle più importanti, "comuni" anarchiche e libertarie del passato , cfr. infra i seguenti post :
La Comune di Parigi - Les Milieux Libres 1 e 2 - Anarchici inglesi 1 - Villaggi comunitari ebraici in Palestina - Nestor Makhno - Los Colectivizadores -
La Comune di Parigi - Les Milieux Libres 1 e 2 - Anarchici inglesi 1 - Villaggi comunitari ebraici in Palestina - Nestor Makhno - Los Colectivizadores -
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