sabato 30 aprile 2011

ANARCHICINI: ANARCHICI/E ITALIANI AL CONFINO : ALFONSO FAILLA ( 1906-1986), GIOVANNI DOMASCHI ( 1894-1945) , MARIA CIARRAVANO (1904-1965), UGO FEDELI (1898-1964), PAOLO SCHICCHI (1865-1950); NINO MALARA (1898-1975) ; ANTONIO CERUTTI (1902-1943)

                                                                                

CONFINATI ANARCHICI SOTTO IL FASCISMO: Rispetto al domicilio coatto vigente sotto il regime liberale il confino di polizia istituito durante il fascismo esasperò ulteriormente le già pesanti condizioni di vita dei confinati  politici. Numerose furono le lotte che essi dovettero sostenere contro i continui abusi e soprusi dei direttori e delle guardie. ( cfr. primo brano). Oggi, tuttavia, a furia di sentirselo ripetere si tende , invece  a dare sempre più credito alla comparazione  , invocata dalla destra,  tra un luogo di pena (il confino) e un altro di ozio e di divertimento (la villeggiatura) ( cfr. secondo e terzo brano)

Brani da commentare:  1) “ … Giolitti non era meno duro di Mussolini quando colpiva. La differenza stava per questo aspetto, nel fatto che il primo non usava il terrore sistematicamente, mentre il secondo si manteneva al potere solo adoperando quest’arma ed aggiungendovi per sopramercato l’arma del ricatto. (cfr. primo brano); 2) “ L’equazione  tra il confino e la villeggiatura fu coniata da Arturo Bocchini; poi nel 1951 ripresa da Guido Leto, ,già  Capo dell’ OVRA; nel 2003 rilanciata da Silvio Berlusconi, il quale dichiarava l’indulgenza del Duce verso gli oppositori ai quali, più che una punizione offriva una vacanza. Affermazione mossa dall’intento di sminuire il valore dell’antifascismo e di conferire agli eredi del fascismo la rispettabilità necessaria ad una forza di governo….” (Patrizia  Gabrielli, Tempio di virilità. L’antifascismo, il genere, la storia…); 3)“Il confino di polizia venne istituito con l’entrata in vigore del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TUPLS), il 6 novembre 1926, documento proposto dal Ministro dell’Interno, Luigi Federzoni. Esso consisteva nel condannare il sovversivo a vivere in un luogo diverso (e il più possibile lontano) da quello di residenza, in modo da tagliare i legami che esso aveva con organizzazioni considerate sovversive. A seconda delle condizioni di salute e della pericolosità, in termini politici, del condannato, il confino poteva svolgersi o in piccoli comuni di terraferma (per i cagionevoli di salute e i meno pericolosi), o nelle isole di Lipari, Lampedusa, Pantelleria, Favignana, Ustica, Ventotene, Ponza e Tremiti, dove furono organizzate delle colonie. […] Appena giunto nella colonia di confino, dopo un lungo e pesante viaggio, la prima procedura cui un cittadino, ormai confinato, veniva sottoposto era la consegna dei documenti civili in cambio della “carta di permanenza”: un libretto (ironicamente di colore rosso) da portare sempre con sé, in cui erano annotate le generalità della persona e le norme da seguire durante la permanenza in colonia. Molti confinati lessero la procedura come la negazione, da parte del regime, del proprio status di cittadini e, per tanto, come la negazione delle proprie libertà civili […] nell’art. 185 si parla solo della consegna della carta di permanenza al confinato, ma non dei suoi documenti di identità alle autorità fasciste. Ritirare il documento di identità ha il chiaro intento di abolire, o, quanto meno, sospendere, i diritti e i doveri civili, per questo l’omissione di tale prassi in documenti ufficiali risulta grave. Sicuramente questa mancanza non è casuale, ma probabilmente voleva ricordare agli antifascisti che l’autorità del regime  poteva andare oltre la legge scritta. Le isole su cui sorgevano le colonie di confino sono oggi bellissime mete di turismo e questo elemento ha contribuito a dare l’immagine errata del provvedimento del confino come un piacevole soggiorno. Nel 2003 scoppiò una forte polemica, poiché nel corso di un’intervista al The Spectator, quotidiano inglese, fu lo stesso Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio, a definirlo come una vacanza pagata dallo Stato. Evitando commenti e polemiche faziose, risulta evidente l’ignoranza circa la tematica del confino, che fu uno strumento liberticida e, in quanto tale, da condannare, nonché motivo di sofferenza per chi lo subì. [...  ] Per i diciassette anni in cui il confino rimase in vigore, furono costanti le vessazioni di ogni tipo messe in atto dal personale di vigilanza, sia fisiche che morali: ogni pretesto era valido per malmenare i confinati, ad esempio perché indossavano qualcosa di rosso; oppure l’ufficio censura non consegnava la posta, contenente notizie private, ai confinati. Capitò, per citare un solo caso, che un ragazzo seppe delle gravi condizioni di salute del padre quando questi era già morto, senza aver avuto la possibilità di salutarlo. ...“ ( Una via di mezzo tra esilio e prigionia: il confino…)

   Bibliografia: Primo brano in Enzo Misefari, Bruno biografia di un fratello, Zero in condotta. 1989 pp. 124-125. Secondo brano  in Patrizia Gabrielli, Tempio di virilità, L'antifascismo, il genere e la storia,  Franco Angeli, 2008 pp. 89-90; Terzo brano in   Una via di mezzo tra esilio e prigionia: il confino, l’arma di repressione silenziosa del regime fascista, ottobre 2018 in https://parentesistoriche.altervista.org/confino-fascismo/#google_vignette



 ALFONSO FAILLA ( 1906-1986) nacque a Siracusa. Aderì assai giovane al movimento anarchico  e antifascista .  Durante tutto il ventennio fascista fu lungamente perseguitato  per l'irriducibile refrattarietà agli obblighi che gli si volevano imporre. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “… Arrestato nel ’30 , fu inviato al confino, ove rimase ininterrottamente – salvo una breve parentesi trascorsa a Siracusa sotto stretto controllo poliziesco- fino al’43. ebbe modo di “girare” varie isole di confino (Ponza, Tremiti, Ventottene, ecc.) partecipando ai più significativi episodi di lotta che, pur nell’asprezza delle condizioni di sopravvivenza del confino, illuminarono quegli anni: come la lotta contro l’ imposizione dell’obbligo per i confinati di salutare romanamente, che costò ad un centinaio di confinati ( di varie tendenze ideologiche) l’arresto, il “processo” di Napoli e la conseguente condanna ad un periodo di carcere- terminato il quale, furono rispediti al confino. Pochissimi antifascisti trascorsero un periodo così lungo al confino in quei tredici anni (quando entrò  ne aveva 24 , per uscirne a 37) Failla ebbe modo tra l’altro  di conoscere quasi tutte le migliaia di persone, che si ”alternarono” al confino compresa la futura classe dirigente del post-fascismo. Nelle accese discussioni e anche nelle feroci contrapposizioni che caratterizzarono i confinati (soprattutto in conseguenza del programmatico settarismo dei comunisti allora stalinisti) rese ancora più incandescenti dopo i fatti di Spagna, Failla rappresentò un punto di riferimento preciso per la numerosa (e composita) comunità anarchica al confino (seconda per numero solo ai comunisti.) .” ( “ Una vita per la libertà in A  Rivista Anarchica , marzo 1986)

 Bibliografia: Paolo Finzi (a cura di),  Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986). Scritti e Testimonianze , La Fiaccola, 1993, p. 326

   Nel 1931 Failla  fu condannato a  5 anni di confino da passare nell’isola di Ponza, dove conobbe l'anarchico  Bruno Misefari, con cui intraprese clandestinamente, finché fu possibile,  tutta una serie di attività politiche e culturali. (cfr. post BRUNO MISEFARI...) ( cfr. primo brano) .Nel 1933 fu condannato , nel cosiddetto  processone di Napoli, insieme a molti altri confinati, a 5 mesi nel carcere di Napoli per il rifiuto di salutare romanamente . (cfr. secondo brano da commentare)

Brani da commentare: 1) “A Ponza Bruno Misèfari ed Alfonso Failla promuovono fra 80 dei 400 confinati presenti la costituzione, insieme ad una cassa comune di solidarietà, di una “Federazione Anarchica Italiana” con una biblioteca clandestina funzionante ed assidue “conversazioni teoriche” (  Giorgio Sacchetti, Sovversivi agli Atti ……)”; 2) “ Durante  il periodo del confino, penso intorno …. tra il 1933 ed il  1935, eravamo un trecento , confinati, tradotti dall’isola di Ponza alle carceri di Poggio Reale a Napoli. Al molo Beverello erano ad aspettarci oltre polizia, carabinieri e milizia, anche gli squadristi che ci minacciarono. Noi, la nostra protesta non fu possibile farla altrimenti che con i canti. I fascisti non si avvicinarono. […] Cantavamo tutti gli inni che conoscevamo, compreso, perché faceva  naturalmente più effetto, questo delle “barricate”, perché era dei più freschi”. (“da una testimonianza di ALFONSO FAILLA in Antologia dei canti  anarchici 2, Dischi del sole)
Bibliografia: Bibliografia: Primo brano in  Giorgio Sacchetti. Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del Ministero dell' Interno. Schedatura e controllo poliziesco nell'Italia del Novecento, La fiaccola 2002, pp.36-37 Interno, Secondo brano in Discografia: in Antologia della canzone anarchica …2,  CD citato p. 7

Espiata la pena fu ritradotto nell’isola di Ponza, ma nel 1935  fu nuovamente processato “ per avere partecipato ad una protesta collettiva” e condannato a 14 mesi di reclusione nel carcere di Poggio Reale.  Nel 1937 fu trasferito nell’isola di Tremiti, dove continuò a rifiutarsi di effettuare il saluto romano, subendo punizioni restrittive e infine la condanna a un mese di prigione nel carcere di Napoli. Nell’ ottobre del 1937 fu trasferito nell’isola di Ventotene e poi nuovamente riconfinato a Tremiti sino alla sua  provvisoria liberazione nell’agosto del  1939. Nel giugno 1940,  schedato come “anarchico pericolosissimo,  fu assegnato “per tutto il periodo della guerra al confino nell’isola di Ventotene.   Il governo Badoglio , instauratosi il 25 luglio del  1943, liberò dal confine socialisti e comunisti , ma non gli anarchici. Paolo Pasi nel suo suggestivo libro,  Antifascisti senza Patria. Immagina lo stato d’animo di Alfonso Failla di fronte a questa decisione liberticida, assunta  dal nuovo governo dopo la caduta di Mussolini. (cfr. brano da commentare)

 Brano da commentare: “ Oggi  [nota mia: 30 luglio 1943] Failla compie  37 anni. […] Solo due giorni fa Mussolini è stato trasferito a Ponza, ma anche adesso che il capo del fascismo è l’immagine appannata di un uomo sconfitto, Failla non riesce a staccarsi di dosso il peso di certi ricordi che lo riportano a 10 anni prima, a Ponza appunto… Insieme ad altri centocinquanta anarchici aveva acceso la rivolta del saluto romano, il rifiuto collettivo di sottoporsi a quello stupido rituale di obbedienza che altri avevano accettato per quieto vivere o sedicente realismo politico. Lui e gli altri anarchici ne avevano ricavato il cosiddetto “processone” celebrato a Napoli. […] Giudicato per direttissima, fu condannato a cinque mesi di carcere, poi ridotti a quattro, e una volta scontata la pena dovette tornare a Ponza. Tredici anni di vita non sono pochi, e oggi Failla sente ancora dentro di sé il canto vibrante di quel giorno, l’inno anarchico delle barricate che resta attuale, perché in terraferma si sta combattendo, e la cruda attesa a Ventottene nonostante la caduta del fascismo gli appare come un’altra, subdola condanna da chi è succeduto a Mussolini. Il governo Badoglio gioca sull’attesa, considera anarchici e slavi elementi pericolosi, antifascisti senza patria. […] Non è un compleanno di resa, dunque. Failla è un anarchico miitante che non ha mai piegato la testa, se non per tagliare i capelli nella sua bottega di barbiere. [… ] Anche lui ha urgenza di raggiungere la sua famiglia, di toccare il continente per riprendere contatto con un paese allo stremo. La lunga prigionia ha però fortificato la sua capacità di resistenza. …” ( Paolo Pasi, Antifascisti senza patria)

Bibliografia: Paolo Pasi, Antifascisti senza  patria, Elèuthera, 2018 pp.81-83, Cfr.  anche  il libro a cura di Paolo Finzi,  Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986). Scritti e Testimonianze , La Fiaccola, 1993, pp. 13-55 dove sono , tra l'altro, raccolte tutte le "Carte di polizia" che ben testimoniano l' incessante accanimento persecutorio attuato nei suoi confronti da parte del regime fascista, che lo ritenne , a ragione,  " insuscettibile di ravvedimento"..

 Finalmente arrivò l’ordine di trasferimento, ma non è la libertà sperata, ma la deportazione nel più duro campo di concentramento di Renicci d’ Angari. (cfr. brano da commentare)


Brano da commentare: “  … Arrivati, sull’imbrunire, alla stazione di Anghiari fummo ricevuti da alcune centinaia di carabinieri e soldati ai quali sentimmo distintamente rivolgere dai loro ufficiali l’ordine di caricare le armi. Protestammo energicamente. In un alterco con gli ufficiali che ci insolentivano minacciando fucilazioni i compagni Marcello Bianconi e Arturo Messinese gridarono “Sparate vigliacchi!". Perciò fummo immediatamente condotti in celle di sicurezza. Così ebbe inizio la nostra agitazione contro il regime interno del campo di concentramento. Questo era stato fino ad allora uno dei peggiori del genere. I prigionieri erano in massima parte partigiani jugoslavi e con essi erano centinaia di minorenni e di ragazzi di pochi anni. Il regime alimentare era stato sempre più scarso e pessimo; centinaia di internati, specialmente bambini e ragazzi erano morti a causa del pessimo trattamento. In cambio la sorveglianza era feroce e bestiale. Guardavano i prigionieri centinaia di soldati e carabinieri, richiamati questi ultimi, dalle regioni Toscana e limitrofe. Il comandante in seconda, maggiore Fiorenzuoli ed il tenente Panzacchi si distinguevano per i loro arbitrii. […]  Costituivamo, insieme ai compagni reduci dalle lotte combattute nell’esilio in Spagna, il  raggruppamento più provato dalle lotte che in carcere e al confino ci erano costate ulteriori condanne ad anni di carcere e di confino supplementari oltre che la vita di parecchi compagni, per difendere la nostra dignità umana dagli arbitrii della milizia e della polizia fasciste. E l’odore della polvere era per noi un maggiore incentivo a non desistere dalla lotta iniziata  contro gli aguzzini del campo di concentramento di Renicci di Anghiari……” (Alfonso Failla, Nel campo di Renicci d’Angari  (1966)
Bibliografia: in  Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986). Carte di polizia/scritti/ testimonianze, a cura di Paolo Finzi, 1993 pp. 245-246
  
 Evaso dal campo di Renicci d ‘Angari,   Failla  militò nella Resistenza contro il nazi-fascismo in Toscana, Liguria e Lombardia.  Nel dopoguerra fu uno dei principali esponenti  ed organizzatori della Federazione Anarchica Italiana (F.A.I.) e dell’Unione Sindacale Italiana (U.S.I.) .   Morì a Carrara nel 1986.
                                               

GIOVANNI DOMASCHI ( 1894-1945)  Nato a Verona, aderì giovanissimo al socialismo e poi, passando attraverso il sindacalismo rivoluzionario,  all’anarchismo. Nel 1915 e per tutti gli anni seguenti si oppose, per quanto possibile, con altri compagni,  alla  "guerra mladetta"  (brano da commentare)

Brano da commentare: “ I compagni di Verona rispondono ai compagni di Dergano , che il loro gruppo, pur ridotto di numero, a causa della guerra, esiste tuttora e i pochi rimasti, uniti fraternamente, si adoperano come è loro possibile per la propaganda ( “ Il libertario, 20 aprile 1916. Nell'  aprile del 1918 i componenti del Gruppo  libertario veronese subiscono una serie di perquisizioni che portano al sequestro di opuscoli di propaganda, cartucce e caricatori). …

Bibliografia: Andrea Dilemmi, Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), BFS 2006 pp. 150-151 e nota n. 8

Dal 1922  e dopo l’avvento al potere del fascismo  Giovanni Domaschi passò tutto il resto della sua vita accumulando innumerevoli anni di prigione e di confino.  Famoso “protagonista delle fughe più incredibili” evase più volte  dai luoghi di detenzione dove era rinchiuso, ma fu sempre ripreso ,  a causa soprattutto delle alte somme di denaro promesse dal regime fascista a chi avesse contribuito alla sua cattura. Nel memoriale che  Giovanni Domaschi inviò al Corriere della sera dal Campo di concentramento  di Renicci d’ Angari egli stesso ricostruì le sue tormentose vicende giudiziarie e penitenziarie.  (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ Ho passato il primo processo per antifascismo alle assisi di Verona nel maggio 1922 per aver fatto opposizione con parecchi altri compagni ad una squadraccia fascista che voleva mettere a soqquadro il rione popolare di S. Stefano  [Verona] . Fui condannato a 15 mesi di detenzione ed a un anno di vigilanza. Questo fu l’inizio di un periodo che poi per vent’anni mi doveva tenere lontano dalla mia famiglia, dai miei due cari bambini Anita e Armando, per essere internato nelle carceri fasciste e costretto ad occupare le più nere e umide celle d’Italia. Uscito dalle carceri di Verona dopo di avere scontato la pena inflittami dalla Corte d’ Assisi, ritornai alla mia opera antifascista […] Il 13 novembre 1926 un gruppo di poliziotti circondarono la mia casa  e riuscirono ad arrestarmi nonostante la mia resistenza. Il 19 dello stesso mese, alle carceri di Verona dove fui tradotto mi venne comunicata la sentenza della commissione provinciale con la quale mi si condannava a 5 anni di confino. Dopo cinque giorni partii con altri per l’isola di Favignana sottoposto a tutte le privazioni. Nell’ aprile del 1927 fui trasferito nell’isola di Lipari dove vi rimasi sino al 1928 poiché il giorno 12 di quel mese con un telegramma della Questura di Verona mi si metteva a disposizione del Tribunale  Speciale  sotto l’accusa “di complotto contro la sicurezza dello Stato”. Dopo sei mesi di detenzione nelle carceri di Lipari e precisamente la notte del 21 luglio , riuscii a fuggire con altri vestito da prete, ma fui ripreso dopo due giorni per la spiata di un contadino […] lusingato dalle cinquemila lire messe a disposizione dalle autorità […] Per   questa evasione […] fui condannato a quattro mesi di detenzione dopo la quale fui trasferito alle carceri “regina Coeli” di Roma per rispondere davanti al Tribunale Speciale la cui sentenza mi condannava a 15 anni di reclusione. Un mese più tardi la casa penale di Fossombrone apriva le sue porte per farmi passare il primo periodo di segregazione, ma nel febbraio del 1929 mi si conduceva in  traduzione straordinaria di nuovo davanti al tribunale di Messina per il ricorso in  appello inoltrato contro la sentenza di quel tribunale; la pena venne riconfermata. Nelle carceri di Messina pensai di organizzare una nuova fuga, tagliando ferri e scalando una doppia cinta, vi riuscii la notte del 16 febbraio ma anche questa volta fui tradito e arrestato di nuovo dopo tre giorni di rocambolesca latitanza. […] Verso la fine del 1929 con una numerosa scorta di forza pubblica ritornai alla casa penale di Fossombrone, per proseguire la segregazione cellulare, dopo la quale, e precisamente nella ricorrenza del Primo Maggio 1932, pensai con altri compagni di fare una manifestazione antifascista che riuscì molto bene. […] Un mese dopo fummo tutti trasferiti io fui tradotto alla casa penale di Piacenza ed un anno dopo,, cioè nel novembre del 1933, tentai col prof. Rossi una nuova evasione anche da quelle carceri, tentativo che venne scoperto quando tutto si stava mettendo in esecuzione per la spiata di un detenuto comune […] Scortato bene fui tradotto di nuovo al 4° braccio delle carceri “Regina Coeli” di Roma sotto una severa vigilanza. In seguito ai ripetuti decreti di condono nel febbraio del 1936 venni scarcerato  e tradotto  quale confinato politico nell’isola di Ponza senza neppure farmi vedere la famiglia, poi in quella di Ventotene ed in fine nel campo di concentramento di Renicci d’Angari dove sono tutt’ora. Complessivamente ho scontato undici anni di reclusione e nove di confino . …” ( Giovanni Domaschi,  Memoriale al “Corriere della sera 8-9- 1943)

Bibliografia: Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e le mie evasioni. Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista, a cura di Andrea Dilemmi, , Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell’ età contemporanea, 2007 pp. 358-359

 Sempre nella lettera al Corriere della sera, Giovanni Domaschi denunciò l’ingiustizia che stavano subendo gli anarchici antifascisti.  (brano da commentare).

 Brano da commentare: “…. La radio ha ripetutamente comunicato che tutti i confinati politici sono liberati, in conformità allo Statuto del regno, il quale, garantisce a ogni cittadino italiano la libertà individuale (art. 21 Infatti è naturale che tutti coloro i quali sono stati esiliati, confinati o carcerati per antifascismo, siano finalmente liberi. Ma non è così: i più acerrimi nemici del regime fascista coloro i quali hanno versato il loro sangue nelle piazze d’ Italia per opporsi ad un evento che ha disonorato il mondo civile coloro che non hanno piegato davanti ai tribunali, che hanno trascorso i migliori anni della loro vita nelle più umide celle delle reclusioni di Portolongone, S. Stefano oppure di Fossombrone, affermando sempre la loro fede antifascista, non sono ancora liberi, sono ancora rinchiusi nei campi di concentramento o nelle case penali e la loro famiglia ancora nel dolore, così come furono lasciate nel dolore col regime fascista. Parlo degli anarchici., di coloro la cui fede pochi ancora ne conoscono la grandezza; parlo di me come tale e come inconfutabilmente antifascista per dimostrare con documento alla mano come vi siano ancora degli antifascisti ai quali si nega ancora la libertà.  (Lettera al Corriere della sera )
Bibliografia: Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e le mie evasioni. Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista, a cura di Andrea Dilemmi, , Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell’ età contemporanea, 2007p.358.  Cfr. anche  Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lottacontro il fascismo,  Archivio Famiglia Berneri, 1988 pp. 191-192

Fuggito da Renicci tornò a Verona per partecipare alla Resistenza, come rappresentante degli anarchici  nel  Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) cittadino Nel luglio 1944 fu  arrestato, durante una retata delle brigate nere, insieme ad altri membri del CLN e dopo avere subito pesanti torture, fu consegnato alle SS e deportato in Germania. Morì nel lager di Dachau nel febbraio 1945.

       

MARIA CIARRAVANO E ICILIO

MARIA CIARRAVANO (1904-1965) nata a Salcito presso Campobasso nel Molise. Di mestiere sarta, era la giovane moglie di Sergio Di Modugno che,  nel 1927, perseguitato da fascisti e poliziotti espatriò in Francia. Desiderando con tutte le sue forze il ricongiungimento con la sua famiglia, Sergio di Modugno aveva richiesto più volte al vice console fascista a Parigi, Carlo Nardini, l’autorizzazione per  avere il passaporto della moglie. Con vari pretesti , essa gli veniva però sempre rifiutata sino a quando , esasperato,  sparò al Nardini e lo uccise. Come risposta il regime fascista mandò la giovane moglie e il suo figlioletto di tre anni,  Icilio, al confino di Lipari dichiarandola istigatrice  del delitto.  (brano da commentare)

Brano da commentare: “ Non vi è dubbio che essa, anziché mitigare le idee del proprio marito,  lo abbia invece eccitato, sia pure indirettamente, creando in lui quello stato d’animo che lo portò al delitto. Dopo di tale delitto, essa mantenne e mantiene viva la fede comunista nei propri famigliari, specie nella sorella Ester, moglie dell’altro pericoloso sovversivo  Di Modugno Antonio. Avvicina famiglie di internati politici per portare loro coraggio e folli speranze.” ( relazione del prefetto di Campobasso su Maria Ciavarrano)

Bibliografia:  Andrea Dilemmi Maria Ciarravano in Dizionario biografico degli anarchici italiani, volume primo A-G , BFS, 2003 p. 397.   Cfr.  anche Barbara Bertolini e Anna Maria Cenname,  Maria Ciavarrano in Biografie di donne protagoniste del loro tempo, a cura di Barbara Bertolini e Rita Frattolillo, in  https://donneprotagoniste.blogspot.com/2015/11/maria-ciarravano.html  e    Massimiliano Marzillo, Antifascisti. Maria Ciavarrano, Sergio Di Modugno e altre storie, Gli italiani nella morsa dei totalitarismi, Cosmo Iannone editore , 2018 pp. 54-55.  

Arrivata nell’isola suscitò la simpatia e la compassione dei confinati e in particolare di Giovanni Domaschi. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: ” … nel settembre del 1927, mi vidi giungere pure una giovane donna con un bambino, il cui stato mi fece veramente compassione: a nome dei compagni Anarchici mi occupai di trovarle una abitazione conforme ai suoi bisogni e dopo qualche giorno raggiunsi lo scopo. In quel frattempo fui colpito dalla “liparite” che costringeva a letto per alcuni giorni, noi la denominavamo così perché si era diffusa solo a Lipari, e la nuova compagna confinata, che non era altro che la Maria Carravano, mi assistette con vero affetto fraterno. […]] Divenimmo come due fratelli che si sorreggono sulle proprie pene e gioiscono insieme nei piaceri dell’uno e dell’altro, ma quel genere di amore non durò e non poteva durare molto, poiché eravamo giovani entrambi e tutti e due avevamo altri bisogni, a poco a poco maturavano così in noi altri sentimenti. Che cosa impediva a noi di divenire compagni magari per tutta la vita? Avevamo forse bisogno del consenso del Parroco oppure del nulla osta del  Sindaco? Che valgono tutti questi padri eterni di fronte all’amore di due cuori i quali si sentono attratti l’uno verso l’altro? Eravamo giunti a un momento che non si poteva vivere insieme senza che l’alito dell’uno non vibrasse nel cuore dell’ altro. ….” ( Giovanni Domaschi, Le mie prigioni…) p.233 e nota n. 56

 Bibliografia: Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e le mie evasioni. Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista, a cura di Andrea Dilemmi, , Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell’ età contemporanea, 2007 p. 233 e nota n. 56 in cui si dice che la data è errata e che Maria Ciavarrano , in realtà, arrivò a Lipari il 19 novembre. Cfr. Massimiliano Marzillo, Antifascisti. Maria Ciavarrano, Sergio Di Modugno e altre storie, Gli italiani nella morsa dei totalitarismi, Cosmo Iannone editore , 2018 pp. 61, dove, tra l’altro, la data dell’ arrivo di Maria Ciarravano e il figlioletto Icilio è fissata all’ ottobre 1927. 

  Verso la fine di dicembre Maria Ciarravano protestò energicamente, senza avvisare Domaschi e gli altri confinati per non rischiare di aggravare la loro già delicata situazione, perché non era stata pagata , da alcuni giorni, la  “mazzetta” quotidiana, unica fonte di sostentamento. Immediatamente arrestata  “per oltraggio a pubblico ufficiale” fu alcuni giorni dopo condannata a 15 giorni di prigione.” Maria era ancora in prigione, quando Domaschi ottenne una breve licenza per andare a Verona  a trovare la madre gravemente ammalata. Giunse a Verona troppo tardi : la mamma era già stata sepolta. Quando tornò a Lipari, Maria era uscita dal carcere, ma, la gioia di ritrovarsi durò poco, in quanto, dopo pochi giorni, fu  denunciato con l’accusa pretestuosa di avere , durante, il viaggio a Verona, “complottato contro la sicurezza dello Stato”.  Era stato un suo compagno di Verona, con cui era da tempo in corrispondenza, che, arrestato, fece, oltre a quello altri compagni,  anche il suo nome. Rinchiuso in carcere, Maria Ciarravano andava  spesso a trovarlo, ufficialmente per portargli la biancheria, in realtà per scambiarsi informazioni per mezzo di bigliettini e in più fornire “limette”  e chiavi gregge” che potessero servire all’evasione che intanto Domaschi stava preparando. Per non insospettire  troppo  le guardie carcerarie, con sue visite troppo frequenti, Maria Ciarravano trovò anche il modo di mandare, per qualche ora, ogni giorno il figlioletto, Icilio, a  giocare nella cella di Domaschi con nascosti su di sé o nei suoi giocattoli  bigliettini e tutto ciò che poteva servire per l’evasione. Inoltre Maria cucì un abito femminile da far indossare a uno dei prescelti compagni d’evasione  e agli altri degli abiti adatti per fuori dal carcere. Domaschi decise invece di vestirsi, per l’occasione, con un abito da prete, che già possedeva. Infine    Maria stessa, dopo essersi assicurata di poter lasciare il piccolo Icilio nelle mani sicure della sorella, Ester, trasferitasi, a Lipari, come moglie del confinato Antonio Di Modugno, fratello di Sergio, decise  di partecipare anche  lei all’evasione, camuffandosi da uomo. L’evasione il 20 luglio 1928 riuscì, , ma poi, per un motivo o per altro, tutti furono ripresi , fuorché Maria , che riuscì a rientrare  in casa e a rispondere all’appello del giorno dopo. Più tardi però, pur se non fu mai accusata di evasione, gli investigatori trovarono prove della sua complicità nei preparativi di quell’evasione e fu trasferita all’isola di Ponza.  Al processo, tenuto nella città di Messina,  Giovanni Domaschi e   Maria Ciarravano ebbero l’occasione di rivedersi. Lei fu condannata   a tre mesi e destinata nuovamente al confino nell’isola di Ponza.   Giovani Damasco fu, invece,  condannato per l’evasione a 4 mesi e, contemporaneamente, arrivò l’ordine che fosse trasferito a Roma, nel carcere di Regina Coeli, in attesa di una sentenza del Tribunale Speciale per l’accusa di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Ad  unirli, per l’ultima volta, fu il viaggio  da Messina a Napoli . Poi vi fu la definitiva separazione e particolarmente commovente fu il distacco  tra Domaschi e il piccolo Ilicio che nel frattempo, si era tanto affezionato all’anarchico veronese.  Vi è comunque da dire che  a Lipari, non tutti ,  anche tra gli anarchici o pseudo-tali avevano approvato la loro “libera unione”. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare “  Per opera di alcuni confinati che si dicevano Anarchici, ma che altro non potevano essere che degli agenti provocatori al soldo della direzione, nacque un dissidio a proposito dei miei amori con la Ciarravano oramai divenuti evidenti: senza il consenso di questi signori amare la Ciarravano era un peccato mortale[…] Solo con alcune mie lettere , con le quali bollavo a sangue  i responsabili e con l’opera dei compagni, Galleani, Binazzi e vari altri riuscimmo a sfaldare questo putridume che agiva nelle nostre file in nome dell’Anarchia. Dal Galleani e da vari altri ebbi anche alcune lettere di solidarietà in proposito che mi fecero molto piacere. Del resto non era da meravigliarcene se al confino avvenivano di queste cose. […] Per opera di questi agenti provocatori si maturarono complotti, e si crearono pretesti per mandare in carcere i migliori compagni e colpirli fisicamente. Ecco come fu , e mentre scrivo, come è ancora il confino: pieno di buonissimi compagni che lasciano nel cuore i migliori ricordi, ma anche di sedicenti tali e di spioni. La Maria Ciarravano che aveva la ingenuità di non comprendere  il gioco della direzione, fu indignatissima contro tutti, non facendo distinzione tra Anarchici e  coloro che non lo erano e non potevano mai ad esserlo”…. ( Giovanni Domaschi, Le mie prigioni…,)

Bibliografia: Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e le mie evasioni. Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista, a cura di Andrea Dilemmi, , Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell’ età contemporanea, 2007 pp. 238-239. Mi chiedo , inoltre, ma è solo un’ipotesi personale, dettata dalla mia immaginazione, se , a quel clima di “ riprovazione morale della loro unione”  possa  collegarsi  l’arresto di Maria Ciavarrano il 13 luglio 1928 “ per contravvenzione al confino e tentate lezioni ai danni di  Mirania Milo, moglie del confinato anarchico romano Archimede Pucci “ e rilasciata il 17 luglio, pochi giorni prima del tentativo di evasione dal confino di Giovanni e Maria. ( cfr. Giovanni Domaschi, Le mie prigioni … p. 286 e nota n.51)

A Ponza Maria Ciarravano conobbe Ludovico Zamboni, fratello di Anteo Zamboni, il giovanissimo, presunto, attentatore, nel 1926,  di Mussolini,  e con lui strinse un rapporto, con alti e bassi,  che durò  sino alla  morte di lei nel 1965. Nel 1932 ebbero un figlio chiamato Anteo, come lo zio morto,  e Maria dovette, sebbene addoloratissima,  rinunciare a tenere con sé Icilio, che ormai aveva compiuto otto anni,   a causa dell’ostinata ostilità di Ludovico e della famiglia Zamboni nei confronti del bambino. Icilio, insofferente e ribelle,  passò da un collegio all’altro sino a che scappato, a 12 anni,  dall’ Istituto degli artigianelli studio e lavoro” di Faenza fu accolto, per quanto ho capito, dalla zia Ester Ciarravano, nonostante le  grandi difficoltà economiche di quella famiglia ( cinque figli e il marito , condannato a 16 anni, in carcere). 

 Maria non vedrà mai più né Domaschi, né il primo marito, Sergio Di Modugno, che,  trasferitosi in Russia nel 1929,  fu accusato nel 1937, su indicazione di dirigenti stalinisti di attività anti sovietiche   e venne deportato in Siberia, dove morì. ( cfr. sulle tragiche vicissitudini vissute da Sergio Di Modugno in Unione  Sovietica, cfr. Massimiliano Marzillo, Antifascisti…, op. cit. p. 82 e pp. 87-88).  

Va detto, comunque, che la corrispondenza epistolare fra Sergio Di Modugno e Maria Ciarravano persistette, seppure con difficoltà a lungo e pur avendo come oggetto principale le comuni preoccupazioni per l’avvenire di Icilio,  rivelano anche l’esistenza di un rapporto affettivo che ancora fortemente li legava. Ad una struggente canzone  intitolata Il profugo che le inviò Sergio di Modugno il 25 maggio 1936. Maria rispose con eguale rimpianto di un amore che non aveva potuto, per le tristi circostanze della vita, essere pienamente vissuto (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ La canzone è splendida, l’hai scritta col cuore […] Spero che la mia amicizia sincera porti un po’ di serenità al tuo povero cuore che tanto soffre. La canzone l’ho imparata tutta […] Dico delle volte fra me, Se Sergio fosse qui […] gli canterei tante canzoni […]  ma siamo lontani e prima che si arrivi ci vuole […] tempo.” ( lettera di Maria Ciarrevano a Sergio Di Modugno il 13 luglio 1936) Bibliografia : Massimiliano Marzillo, Antifascisti. Maria Ciarravano, Sergio Di Modugno e altre storie, Gli italiani nella morsa dei totalitarismi, Cosmo Iannone editore , 2018 p. 87. I tagli di questa lettera stavolta non dipendono da me.   Cfr. anche p. 86 n. 174,  dove vi è il testo della canzone di Sergio Di Modugno, che qui non ho potuto riprodurre per ragioni di spazio.

 

 
 
UGO FEDELI (1898-1964) Operaio specializzato, giornalista, storico e infsticasbile raccoglitore di publicazioni anarchiche (1 brano)  . Frequentò, già da giovanissimo, gli ambienti anarchici e partecipò , insieme a FRANCESCO GHEZZI e a CARLO MOLASCHI alle manifestazionI antimilitariste contro la guerra di Libia. Ed anche agli scioperi indetti dall’ Unione Sindacale ItalianA (USI). Nel 1917 , richiamato alle armi, disertò e si rifugiò in Svizzera.   Nel 1919, tornò in Italia e nel 1920 sposò Clelia Primoli, da cui avrà poi un figlio “Ughetto”, che morì, nel 1941,a Ventotene per gli stenti subiti durante le continue peregrinazioni nelle varie isole destinate ad essere "luoghi  tristi, per condividere, insieme alla madre,  la vita di confinato del padre. ( cfr. il post: ABBASSO LA GUERRA ). Perseguitato dalla polizia ,  in seguito alla “strage del Diana”, pur essendo estraneo a  quel fatto,   Ugo  Fedeli fuggì all’estero, prima in Germania e poi in Russia. Resasi difficile la sua permanenza in quel paese in quanto gli   anarchici, erano considerati ormai come irriducibili nemici del regime bolscevico, parte per la Germania e poi  per Parigi, dove divenne, per un certo periodo, segretario di NESTOR MACHNO.  Insieme a SEBASTIEN FAURE, e  BUENAVENTURA DURRUTI  fonda  la “Librairie Internationale  . Espulso dalla Francia e dal Belgio si recò in Sudamerica dove  collaborò alla rivista “Studi Sociali”  di LUIGI FABBRI, a cui lo legava un profondo affetto. Espulso da Montevideo e tornato in Italia fu inviato al confino ( Ponza,  Colfioroto, Ventottene …) e vi restò sino al 1943. Su questo periodo scrisse un dettagliato resoconto, assai utile per ricostruire la vita dei confinati politici sotto il fascismo  (cfr. brano da commentare). 
Brano da commentare: “ La  direzione faceva di tutto per far piombare nell’ istupidimento  o nella violenza il confinato per disgregare gli aggruppamenti che nonostante tutte le restrizioni si era riusciti  a creare, lottando per conservarli. Con queste sue misure la direzione pensava di potere arrivare con maggiore facilità a realizzare il tentativo di spezzare la resistenza di ognuno e di spingere i meno resistenti a cedere, ad abbandonare ogni velleità d’indipendenza di pensiero e di vita. Chiunque intendesse difendere  il proprio diritto alla vita e alla dignità di uomo, era costretto ad una continua, anche se sorda, lotta contro la direzione […]  il confinato era un nemico che andava spezzato, abbattuto, e tutto era valido e buono per arrivare a questo risultato. “ Voi non siete qui per fare della villeggiatura né per vivere tranquilli.” ebbe a dire il direttore  Di Meo a qualche confinato che si era recato da lui per protestare contro un sopruso  più grande dei soliti , “siete qui per punizione e ci devono essere delle punizioni”. E concludeva ogni sua concione, da piccolo dittatore: “ Del resto qui comando io e faccio quel che voglio”. Da una mentalità del genere si possono facilmente dedurre i metodi che ne  scaturivano …..”  ( da Ugo Fedeli, Una resistenza lunga 20 anni)
Bibliografia:  Ugo fedeli, Una resistenza lunga  vent’anni in  A rivista anno 35 n. 307  aprile 2005 p. 19
 
Negli anni’50 lavorò come bibliotecario del centro culturale Olivetti e promotore di corsi di cultura  tra gli operai (brano da commentare)
Brano da commentare: “ ora sono assorbito terribilmente dal mio lavoro d’ufficio, che, del resto, mi interessa moltissimo, perché devo tenere e organizzare dei corsi di cultura, non solo in ditta, ma anche nei paesi circonvicini dove si trovano molti operai della ditta. Lavoro incominciato l’anno scorso e che va sempre più estendendosi e divenendo molto interessante. Ci si trova davanti a un pubblico che non ha un’opinione politica unica, che qualche volta non pensa a niente, e con lui devi stabilire un dialogo, farlo pensare, tentare di farlo parlare e commentare le tue conferenze.  Ho acquisito in questo campo una vera e propria esperienza. “ ( Lettera di  Ugo Fedeli a Salvatore Gagliani il 27 maggio 1955)
Bibliografia: Ugo Fedeli e l’educazione popolare alla Olivetti di Ivrea in Antonio Senta, L’altra rivoluzione. Tre percorsi di storia dell’anarchismo, OttocentoDuemila, Clionet.IT Associazione di ricerca storica e promozione culturale, 2016 p. 71
  Intanto, nel corso degli anni, con l'aiuto  di Clelia Premoli,  aveva infaticabilmente continuato " a raccogliere e  materiale documentario, periodici, libri, riviste, giornali e lettere dei maggiori pensatori anarchici al fine di metterli a disposizione del movimento anarchico. (cfr. brano da commentare) 
Brano da commentare: “Io vedo come noi, tutti ed in tutti i paesi, si sciupi il nostro materiale d’archivio . Quando si ha bisogno di qualcosa, non possiamo che difficilmente trovare un giornale vecchio, una carta qualsiasi se non ricorrendo agli archivi della polizia, che la maggioranza delle volte ci dà materiale  trasfigurato.  Eppoi, nessuno di noi è in condizioni finanziarie di permettersi lunghi viaggi di  ricognizione  e di ricerca [….*]  Se  invece di distruggere a misura che si fa qualcosa, anche noi stabilissimo dei punti di raccolta, dove lentamente si andassero formando degli archivi, il nostro lavoro ricostruttivo verrebbe fortemente semplificato.  Certamente abbiamo anche molte altre cose  da pensare, e questa viene piuttosto tra le ultime. Io però sono testardo e continuo a raccogliere, come posso e dove posso, e già ho formato una base abbastanza interessante” ( lettera a Vernon Richards  settembre 1954 ) . 2)  
Bibliografia: Ugo fedeli, Una resistenza lunga  vent’anni in  A rivista anno 35 n. 307 p. 19

Dopo la sua morte la  sua compagna Clelia  donò gran parte del suo ricchissimo  archivio all’ Istituto di studi sociali ad Amsterdam.

 

PAOLO SCHICCHI (1865-1950). Nato in Sicilia nel paese di Collesano, vicino a Palemo ( da qui il sopranome  che gli fu dato più tardi di “Leone di Collesano)  scrittore anarchico,  esponente autorevole della corrente antiorganizzatrice.  Durante il servizio di leva come allievo ufficiale disertò e  fuggì in Francia, poi in Svizzera e infine in Spagna, dove venne arrestato e torturato.  Riuscito ad evadere con l’aiuto della sua compagna MARIA MARGALEFF, tornò  clandestinamente in Italia e fece esplodere una bomba al consolato  spagnolo . Scoperta la sua falsa identità Schicchi fu fermato alla stazione di Pisa, dove,tentò invano di opporre resistenza  all’ arresto sparando al delegato  di pubblica sicurezza  Tarantelli.  Processato a Viterbo,  fu condannato , nonostante l’appassionata difesa  dagli avvocati anarchici PIETRO GORI (cfr.  Post a suo nome) e da LUIGI MOLINARI, (cfr. post a suo nome)  a 11 anni di reclusione a cui si aggiunsero due mesi per “oltraggi “ alla Corte.  In prigione fu protagonista di un  ammutinamento contro le condizioni di vita del carcere. I socialisti, senza il suo consenso, lo presentarono più volte come candidato alle elezioni. Nel 1904  rifiutò   la grazia reale in seguito a un’amnistia. Riacquistata infine  la libertà, Schicchi si trasferì a Milano, su richiesta di Ettore Molinari e di Nella Giacomelli,  per dirigere  la rivista, da loro fondata, “La protesta umana” ,  ma vi rinunciò presto per sopraggiunti disaccordi sulla linea da seguire  del giornale. Nel 1912  denunciò nel   saggio “ La guerra e la civiltà “   la  politica colonialista ed  imperialista intrapresa dal governo italiano (cfr. brano)
Brano da commentare : “ Tutti oggi fanno a gara nel rilevare e nello scomunicare i deliri e le bestialità della cultura vandalica, tutti insorgono contro la tracotanza e la violenza dei Lanzichenecchi, tutti inorridiscono alle loro efferatezze, e va bene. Ma forse che i nostri patrioti, nazionalisti, imperialisti ed altri siffatti arnesi ragionano diversamente degli Ostrogoti quando trattano  gli Arabi nel modo che abbiamo visto? Oramai è risaputo: allorché  si vuol compiere una  conquista ed estendere il proprio dominio, si comincia sempre col bandire i quattro venti che il tale o tale altro popolo è di razza inferiore, indegno di reggersi da sé stesso, ostile ad ogni forma d’incivilimento. Si frugano le storie, la letteratura popolare, i libri di viaggi, la geografia, le statistiche; s’invocano l’antropologia e l’etnografia per dimostrare con matematica certezza che quel popolo è perfido, ingrato, infingardo, vile, assassino, feroce, e che non merita nulla dalla forca e dalla  mitraglia in fuori. Si proclama in faccia al mondo che  la propria razza è la razza superiore, prediletta da  dio, predestinata a portare in giro per i quattro punti cardinali la fiaccola della scienza e del diritto; che la guerra intrapresa è guerra di civiltà e di umanità, o per lo meno guerra di difesa e di libertà  etc.   Questa è vecchia storia, che si ripete sempre come il mulino di preghiera dei bonzi buddisti. Il linguaggio dei conquistatori e dei dominatori sembra foggiato nella medesima stampa, tantoché sembrano copiati non solo i concetti e le parole, ma anche i punti e le virgole. …”  ( Paolo Schicchi, La guerra e la civiltà (1915) 
Bibliografia: Paolo Schicchi, La guerra e la civiltà , Sicilia punto L, 1988

Paolo Schicchi fu, anche,  un accanito oppositore  dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale   e dopo  la fine della guerra partecipò attivamente  alle occupazioni dei contadini  delle terre, in Sicilia,  sfidando  audacemente  i latifondisti e  i mafiosi.  Nel 1921 Schicchi fondò il giornale “ Il Vespro anarchico “    dedicato prevalentemente a combattere il fascismo e il bolscevismo.  Dopo l’ascesa al potere di Mussolini  emigrò in Francia  dove oltre  a continuare la lotta contro  il fascismo ( importante fu la pubblicazione del suo programma antifascista , a cui dette il titolo, Amazzateli come cani ) polemizzò duramente contro il progetto insurrezionale antifascista  , che avrebbe dovuto essere guidato da  Ricciotti Garibaldi, nipote di Garibaldi, rivelatosi poi agente dell ‘ OVRA fascista ). Con l’aiuto finanziario di SEVERINO DI GIOVANNI pubblicò il primo volume  di Casa Savoia , in cui elencava implacabilmente  le aberrazioni di questa dinastia.   Nel 1930 tentò di provocare un’insurrezione in Sicilia confidando tra l'altro nelle storico spirito di ribellione del popolo siciliano. A tale scopo aveva scritto già nel 1928 un   appello ai siciliani in cui li si incitava alla rivolta (cfr. brano) 

Brano da commentare: “ SICILIANI!  I politicanti d’ogni specie finora vi hanno dato ad intendere, come del resto hanno dato a intendere a tutte le altre popolazioni italiane, che dovevano aspettare la vostra liberazione a volta dal Parlamento o dall’Avventino o dal re  o dal papa o da altro simile arnese. Ma l’esperienza, la terribile esperienza degli ultimi anni, vi ha insegnato che il Parlamento è stato sempre un’ accolta di buffoni e di cialtroni; che l’Aventino non era altro se non una lustra dei più codardi rifiuti; che il re, seguendo le tradizioni e le aspirazioni della sua casa e del suo seguito, è un turpissimo spergiuro; che il ‘Vaticano, a dire del poeta, in ogni tempo ha fornicato coi dominatori, cogli oppressori, coi carnefici dell’umanità’.  La vostra gloriosissima storia v’insegna altresì che è vano  attendere la salvezza dai dominatori e dai loro naturali alleati, e che la libertà non si mendica, ma si conquista con le armi in mano. […] Riscuoti, o  gente sicula, nel cuore generoso, il valore che fece compiere ai tuoi avi i miracoli del Vespro e del Risorgimento; e nell’ora suprema della mischia liberatrice non soda che un solo grido erompere dai vostri petti, il grido fatidico del piano di Santo Spirito:  MORA! MORA! ( estratto dal manifesto  SICILIANI!, stampato nel 1929 )
Bibliografia: in Nino Mussara, Ragusa. Il fondo Schicchi presso l’Archivio Storico degli Anarchici Siciliani in Rivista storica dell’anarchismo, an. 2, n. 1, Pisa 1995 p. 165. Cfr. sull’argomento anche Filippo  Gramignano, Il tentativo rivoluzionario di Paolo Schicchi del 1930,  Samizdat,1997
 Giunto a Palermo, insieme ad altri due compagni, tra cui FILIPPO GRAMIGNANO (1894-1964), Paolo Schicchi  fu  arrestato e condannato a diversi anni di carcere e poi inviato al confino a Ponza, dove SANDRO PERTINI  lo accolse con i seguenti calorosi versi (cfr. brano).  
Poesia di  Sandro Pertini per Paolo Schicchi: “ All’alba dell’anno, che sta sorgendo / Noi ci auguriamo di vivere la tua vita / E di morire in piedi combattendo / La sorte, o Paolo, da te sempre ambita"

 

NINO MALARA

 Nino Malara (1898-1975), anarchico e ferroviere, più volte licenziato per la sua intensa militanza politica.   Nel 1914,  ancora studente di un Istituto Industriale di Reggio Calabria venne a contatto con una scuola, dove  insegnava l'allora giovane studente universitario anarchico, della facolta d'ingegneria, Bruno Misefari, con cui Malara intrattenne un fraterno rapporto d'amicizia e di condivisione di ideali politici libertari (cfr. post BRUNO MISEFARI). In quella scuola, oltre a tenere lezioni gratuite di recupero , venivano tenute , clandestinamente, riunioni  in cui  si discutevano le possibili tattiche da adottarsi contro la sempre più  crescente “voglia di guerra” degli interventisti.  (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ Dopo le regolari lezioni che frequentavo all’Istituto industriale di Reggio Calabria, mi incamminavo a raggiungere un locale a pianterreno adibito a lezioni gratuite.  Col tempo seppi poi che il neo maestro era uno studente universitario, iscritto alla facoltà di ingegneria.[…] La scuola e la lavagna, il pianterreno e le lezioni gratuite (che avevano la loro importanza) servivano, seppi, poi soprattutto a d eludere le forze di polizia che come sempre vanno alla ricerca delle streghe. Quel pianterreno era anche il punto di incontro dove un nutrito gruppo di anarchici di Reggio Calabria e dei paesi vicini si ritrovava per discutere come affrontare i molteplici problemi e in specie quello dei tragici avvenimenti della guerra che oltre tutto minacciava la stessa esistenza della popolazione calabrese. Il “maestro del pianterreno” era l’anarchico Bruno Misefari, di lui voglio solo dare qualche impressione e ricordo che possa mettere in luce alcuni aspetti della sua persona. Egli esercitava con il suo talento un ascendente profondo verso la gente e in questo era principalmente il suo essere. I suoi scritti libertari, la sua poesia, il prestigio che gli veniva dalle sue ricerche minerarie per raggiungere nuovi progressi scientifici, l’azione continua di agitazione politica, lo impegnavano in una intensa attività giorno per giorno; la volontà di superare qualsiasi ostacolo, gli dettero tale impulso. Egli sembrò, e in gran parte lo fu, l’uomo del pensiero e dell’azione. Per anni siamo stati legati dalla più fraterna amicizia . …” ( Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp. 42-43

Nel 1917, con altri anarchici e ferrovieri, si mobilitò per impedire l’invio, in treni,  di aiuti militari, per la repressione dei moti rivoluzionari in Russia. (cfr. brano da coomentare)

Brano da commentare: “  Nel piazzale merci della stazione ferroviaria di Reggio Calabria i compagni ferrovieri avvertono che carri trasporto sono carichi di armi pesanti diretti in Polonia, dichiarati carri agricoli. Siamo nel 1917, allo scoppio della rivoluzione Russa. Li abbiamo fermati e fatti scaricare. Non diciamo di più, il resto appartiene a noi, e a noi soli. […] Altri dirottamenti sempre di armi belliche che la borghesia imperialista escogitava con la compiacenza e la complicità dei mercanti di cannoni, sono stati fermati e accantonati nei binari terminali sotto il nostro controllo. La nostra attività scorreva su due direttive. Il controllo clandestino delle armi dirette in Polonia contro la Russia. Il sabotaggio alla guerra di casa nostra che continuava a mietere vittime e procurava sempre più lutti alle famiglie dei lavoratori” (Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, p. 50

Finita la guerra, durante il cosiddetto biennio rosso, divenuto ferroviere fu uno dei principali , come esponente dell’Unione  sindacale Italiana (USI), animatori degli eventi rivoluzionari calabresi sino a quando la reazione fascista,  con l’appoggio sistematico delle forze dell’ordine e il coinsenso del re, ascese al potere. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ L’ottobre del 1920 è un mese di lotte e continui scioperi e agitazioni. Non volevamo rassegnarci e il 15 e il 16 mettiamo in atto uno sciopero durissimo che anche nel compartimento di Reggio Calabria ebbe pieno successo. Il boicottaggio, il sabotaggio, aiutano dove lo sciopero non può arrivare. Il proletariato ha ormai in mano un’arma spezzata e lo sa.  Agli scioperi di solidarietà e per le vittime politiche sempre più numerose  si aggiungono quelli del primo maggio che riusciamo a fare sia nel 1921 che nel 1922. Servono a ricordare una speranza di emancipazione. Ci sono poi quelli contro la reazione, come quello di appoggio alla vittoriosa resistenza dei lavoratori romani del rione San Lorenzo all’attacco fascista. Ma non scacciano l’amarezza per le Camere del Lavoro bruciate, per i compagni uccisi. […] Siamo in sciopero il 2-3 e 4 agosto del 1922. Sappiamo di agire più come spauracchio che in base ad una forza ed a una volontà reale di lotta. L’ Alleanza del Lavoro era nata più per disperazione che per convinzione unitaria, boicottata com’era dai comunisti e dagli stessi socialisti. Ci buttammo come sempre nella mischia, consapevoli di rimanere soli contro i fascisti, i quali, imbaldaziti a causa di un governo indeciso, aiutati dalle forze dell’ordine, sicuri dell’inesistenza dell’opposizione socialista messa alle corde dal terrore fascista, erano sicuri di vincere. […] Abbiamo perso. (Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp.66 e 67

 In una fase , ormai, di  pesante repressione, nel 1924 Nino Malara e Bruno Misefari decisero di dare vita a un giornale anarchico, “L’Amico del Popolo”. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ E in questo tragico momento di turbolenta vita politica, in cui di ogni cosa non si capiva che cosa fosse, che viene alla luce quasi clandestino a Reggio Calabria il foglio anarchico “L’amico del Popolo”. […] Per tirare il primo numero del “L’Amico del Popolo” le difficoltà finanziarie ostacolano il nostro lavoro. […] Bruno Misefari è irrequieto per le difficoltà che non presentano soluzioni immediate. Bisogna reperire il denaro occorrente almeno per il primo numero. Tutto il materiale è già in tipografia per la composizione. Si continua a dialogare tra noi due, lui quale direttore del giornale ed io responsabile, eravamo i soli impegnati verso gli operai a fronteggiare le spese che il lavoro comporta. […]Il contributo che avrebbe dovuto essere volontario fu stimolato dalla nostra azione diretta. […] L’iniziativa del giornale, il volantinaggio dei manifestini, le conferenze pubbliche e clandestine era quanto si poteva fare per non accettare passivamente la dittatura di Mussolini. La nostra attività apparve con particolare evidenza ai fascisti una sfida risoluta che veniva dal nostro cuore pieno di dolore, di collera, di odio contro di loro. Nel dramma di quel momento quella è stata una scelta che per noi volle significare la non accettazione della sconfitta. (Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp. 66-67

 Con un regime fascista sempre più consolidato si pose il problema  per gli antifascisti di espatriare o di rimanere  nella propria patria. Malara optò per questa soluzione  e vi restò fedele, nonostante tutto, per tutta la durata del ventennio, cfr.brano da commentare)

 Brano da commentare: “… La libertà di stampa è totalmente soppressa, le spedizioni punitive si estendo in tutto il territorio […] La violenza genera violenza e l’aria si fa irrespirabile. Nel dramma di quei giorni parve ormai tutto calpestato e perduto. Le famiglie temono le rappresaglie e vogliono evitarle respingendo noi. Gli amici non ti salutano per paura di essere  compromessi. […] Nell’isolamento completo non ci siamo chiesti se fuggire all’estero o rimanere. Eravamo armati dalla volontà di affrontare la tracotanza fascista in casa nostra a tu per tu con l’avversario. Se noi andavamo via chi ci sarebbe rimasto a portare avanti le lotte, a rincuorare le masse. Il fascismo avrebbe avuto più che mai campo libero. Scapparono solo quelli che non  ce la facevano a resistere, quelli che credettero di fare fuori d’’Italia più e meglio contro il fascismo. Scapparono soprattutto quelli che non potevano farne a meno, perché se no sarebbero morti. […] Alcuni di noi affrontarono il problema dei collegamenti; una specie di “corriere” fu creato per collegare i gruppi di compagni nella regione e con il resto d’Italia. I ferrovieri ci furono ancora una volta d’aiuto. Altri si diedero a organizzare nuclei di resistenza. Non era un’impresa facile tessere le fila on una milizia fascista alle costole, e con la polizia che manteneva spie pagate quali confidenti. …“ (Nino Malara, Antifascismo anarchico…)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp. 71-72

L’intensa attività  antifascista di Nino Malara e tutte le battute d’arresto frapposte ad essa dalle forze dell’ordine sino alla sua assegnazione al confino  di  Favignana dal 18 novembre del 1926 e poi a Lipari dal 22marzo 1927 al 18 novembre 1931 sono puntualmente registrate dalla prefettura di Cosenza. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ Nell’ aprile del 1925 egli si trasferì a Cosenza dove si impiegò quale operaio avventizio presso le Ferrovie Calabro-Lucane, ma dopo breve tempo fu licenziato per motivi disciplinari. Ritornò a Reggio senza però riuscire a trovare lavoro nel giugno u.s. ritornò a Cosenza, occupandosi nello  stabilimento “Industrie Cosentine” per la costruzione dei mobili, lavorando da tornitore. Informata la questura di Cosenza sui precedenti politici del Malara, questi fu rigorosamente sorvegliato. Colà si mantenne in rapporto con tutti gli altri comunisti più accesi ed il 20 settembre da quella Questura fu denunziato in stato d’arresto all’Autorità Giudiziaria per complotto contro i poteri dello stato insieme al noto Fausto Gullo e ad altri comunisti. Il 24 dello stesso mese l’ Autorità Giudiziaria lo rimise in libertà per insufficienza di indizi. Trattasi di individuo pericoloso […] L’8 ottobre 1925 fu rimpatriato in questa città [ Reggio Calabria] con foglio di via obbligatorio ed è vigilato. […] Malara è assegnato al confino in quanto “ ferroviere licenziato per pessima condotta perché pericoloso comunista anbarchico capace di esaltarsi e poter compiere atti inconsulti. Senza lavoro stabile era in continuo contatto con ferrovieri licenziati e seminava in tutto l’ambiente ferroviario il malcontento in relazione con i comunisti di Reggio Calabria e Messina, egli diffondeva opuscoli e manifesti sovversivi” . ( Telegramma del prefetto di Cosenza al ministero dell’interno, 11 dicembre 1926, in ACS, CPC, b. 12837)

Bibliografia:   Giovanni Cimbalo, La resistenza antifascista in Calabria di Nino Malara in Storie di lotta e anarchia in Calabria a cura di Piero Bevilacqua con una ricerca musicale di Francesca Prestia,  Donzelli virgola, 2021 p.  151

Nel 1925 Malara aveva sposato a Cosenza una giovane modista Giovanna Gairo, ma appena  un anno dopo fu arrestato e condannato al confino per cinque anni . Quando dopo l'anno, trascorso  a Favignae  fu  inviato a Lipari volontariamente la moglie  lo seguì e gli restò accanto.  Ebbero due figli, Ilenia  ed Empio, noto architetto,  urbanista e  tra l’altro, autore del libro biografico Lo specchio a tre ante, Chimera editore 2015) ). Sull' amore di Nino e Giovanna e la loro storia vi è una bella canzone,  Il valzer di Nino e Giovanna di Francesca Prestia, di cui, purtroppo per le solite ragioni di spazio, inserisco qui  solo la prima strofa. :

Cambiamo il pensiero
Liberiamo le persone
Con la moda e l’anarchia
È una rivoluzione.
Lo specchio a 3 ante
Con guanti e cappellini
Resistenza e lotta dura
Contro il duce Mussolini.
……………………………………

Discografia:  CD allegato  alla rivista ApARTE 13.35 13 maggio 2019

Nel 1926  Malara venne condannato al confino a Favignana,  chiamata nell’antichità, l’isola delle capre, dove , tra l’altro, scoppiò un duro conflitto con il direttore del campo, che voleva obbligare i confinati a fare il saluto fascista (brano da commentare.)

Brano da commentare: “ Il problema del saluto fascista assume al confino dell’isola di Favignana  un significato di dura e sanguinosa lotta, quando una mattina, nel distribuire la mazzetta (il suddidio giornaliero) previo appello , gli agenti dissero: Da domani si saluta fascisticamente . Fu un coro di sdegno e commenti. Più tardi arriva al confino Iole Cantini, una ragazza…non avrà vent’anni. Le guardie la portano nella direzione dal cavalier Toscano. Il direttore della colonia. Un criminale al servizio della milizia fascista. Ordina di picchiare a sangue i confinati che non piegano alle sua prepotenze. Il rifiuto della Iole è fiero. Come fiero è stato il comportamento tenuto nel chiuso di quelle celle. La solidarietà fra noi si è fatta più incisiva. La lotta più aperta. Per sfidare l’arroganza di quell’uomo era necessario esprimere in termini chiari le idee che avevamo nel cuore. Venne il domani per la sfida. […]Fare la scimmia fascista è accademia di viltà, dissi. Accompagnati dai militi giù nelle celle, le tane della paura. Siamo nella fossa, c’è sembrato di morire. Una fossa da supplizi. Fu una lunga agonia di insulti e minacce. Sono trascorse settimane e settimane a vivere di pane, acqua e frustate. Tormentare il punito così fisicamente da svuotarlo  della vita. Le torture praticate nelle celle , l’arbitrio pazzesco voluto dal direttore della colonia, la violenza selvaggia usata dalla milizia fascista, prese corpo sulla stampa di molti paesi europei come sulle colonne dell’Umanité in Francia. Venne fuori una protesta internazionale. Arrivano all’isola di Favignana ispettori superiori del confuso regime fascista. Inchieste sopra inchieste. Il cavaliere Toscano, direttore della Colonia, l’uomo forte, è travolto. Uscimmo, con barbe cresciute, avvolti nelle coperte  . […] Fronteggiare concretamente i sistemi perfezionati della repressione poliziesca, fascista, anche da prigionieri [….] E’ stato un nostro impegno. Un impegno che voleva dire che dentro e fuori del nostro paese c’era gente in carcere e al confino che il governo fascista non riusciva a piegare. (Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp. 93, 94, 95. Purtroppo di Iole Cantini non ho trovato ancora notizie e immagini.

Dopo due anni fu trasferito a Lipari, dove lo raggiunse come si è detto, la moglie. Vi erano nell’isola molti noti compagni anarchici , tra cui  Spartaco Stagnetti,  Pasquale Binazzi, Giovanni Domaschi,  Vincenzo Perrone, ( per un certo periodo anche Luigi Galleani), la compagna Maria Ciarravano oltre a Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Francesco Nitti, e altri antifascisti. Apparentemente la situazione sembrava molto migliore che a Favignana  ma le provocazioni continue erano sempre in agguato e  la repressione infine esplose in tutta la sua violenza. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ Costituimmo delle scuole  di insegnamento fra i confinati, sorsero delle mense collettive frequentate da tutti. […] Si tenevano dibattiti clandestini nelle regole della convivenza e del rispetto delle proprie idee e di quelle degli altri. Queste iniziative autonome, che scaturivano da esigenze morali e umane, questo bisogno di occupare una parte del tempo libero non piacque … Le scuole chiuse. Le mense boicottate e sorvegliate.  […]   Ed ecco  il regime che intensifica il suo braccio di ferro per tentare di risalire la china, di conquistarsi un nuovo, più duro prestigio. L’isola di Lipari con i suoi mille e più confinati viene assalita al calar del sole. Un vapore salpato da Milazzo carico di carabinieri, poliziotti e quintali di catene e chiavistelli, giunge al largo dell’isola pronto ad intervenire. Le barche si fanno intorno al vapore e il carico giunge a terra. Ognuno di noi corre ai ripari mettendo in salvo le donne. […]  Uno sparo, e il crepitio dei mitra , dei cannoncini piazzati sui canotti e sui motoscafi fermi nel porticciolo  di Lipari domina sull’isola. Al baccano segue la repressione strada per strada, casa per  casa. La gente di Lipari si disperde, è sconvolta. Un vecchio calzolaio, scambiato forse per un confinato viene ucciso di botte di canna di pistola. Il libertario Sollazzo di Parma viene ucciso a colpi di baionetta e gli viene mozzato il collo. Giovanni di Filipex, slavo di Novek d’Istria , muore ammazzato a calci di fucile. Vengono fermati circa duecento confinati e imbastito un processo farsa che portò anni di carcere ai confinati. Gli anarchici Tribuzzi , Rubbiati, Milo sono picchiati a sangue e ricoverati all’infermeria di Lipari. Gli anarchici Giovanni Domaschi, Benetti Aladino, Strafelini, Taormina Salvatore vengono fermati e incarcerati e messi in cella di rigore. La repressione imperversa tutta la notte.  Verso le undici di sera tutte le case vengono visitate e gli occupanti percosse a sangue. Si fa in tempo a far allontanare le poche donne che hanno seguito i loro uomini al confino. Si allontanano  i bambini affidandoli alla custodia degli isolani.  […] La repressione,  l’arresto e il trasferimento, i processi farsa, non riescono a diminuire la capacità di lotta…. ” (Nino Malara, Antifascismo anarchico …)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, pp. 120, 123, 124.

Liberato dal confino, si trasferì a Cosenza  e  si dedicò, durante la rivoluzione sociale in Spagna , al reclutamento clandestino di volontari calabresi.  Spesso fu arrestato per motivi cautelari come per esempio nel  1939 per la visita di Mussolini a Cosenza. Scoppiata la seconda guerra mondiale  svolse un importante ruolo nel coordinare azioni di propaganda anti fascista sui treni del meridione. Nel 1942 fu tra i promotori del “Fronte Unico della libertà”, di cui oltre ad altre forze politiche antifasciste, faceva parte il gruppo anarchico di “Unità proletaria”. Nel maggio 1945 si recò a Milano dove assistette, tra l’altro,  al tentativo delle formazioni  Malatesta- Bruzzi di porre in atto, dopo la vittoria partigiana sul nazi-fascismo, alcune importanti iniziative sociali..  (brano da commentare). 

Brano da commentare: “ Puoi dirci, se oltre l’azione militare, i nostri compagni hanno tentato a realizzare conquiste sociali?” : Sì , qualcosa è stato realizzato in questo campo mediante l’azione diretta. I nostri compagni non appena il successo dell’insurrezione apparve assicurato e dopo aver compiuta, con le armi, l’ epurazione necessaria, la proprietà di alcune ditte appartenenti a fascisti venne immediatamente trasferita ai lavoratori che l’avevano difesa con il loro sangue e conservata con il proprio lavoro.  Essi costituirono immediatamente cooperative e ripresero subito il lavoro a gestione propria. Così pure è avvenuto con le terre degli agricoltori fascisti e collaborazionisti . …”(  Intervista a Nino Malara, L’insurrezione del Nord)

Bibliografia: Nino Malara, Antifascismo anarchico 1919-1945. A quelli che rimasero, Sapere 2000, 1995, p. 141

Nel 1968 svolse un importante ruolo nelle lotte operaie e studentesche in  Calabria divenendo un punto di riferimento importante per  i compagni più giovani. Pur non condividendo completamente le idee del padre il rapporto tra il figlio Empio  e Nino Malara  si fece con il passare degli anni sempre più stretto. La sua morte gli lasciò un grande vuoto , ma , al tempo stesso, il ricordo del caloroso funerale del padre gli dette un nuovo slancio socialmente creativo. (cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “ Con mio padre , discutevamo accanitamente per capire cosa stesse succedendo, entrambi sedotti dall’ondata giovanile. Più convinto di me della rivoluzione culturale, Nino sembrava ringiovanito, e nonostante le mie raccomandazioni di non farsi troppe illusioni, aveva ripreso in pieno il suo attivismo, era diventato un punto di  riferimento per i giovani cosentini , aderenti alla Fai. […] Qualche anno dopo mio padre si ammalò, io mi trovavo in difficoltà, mi sembrava di avere concluso la mia missione di architetto. Ero in piena crisi esistenziale. La sua malattia mi aveva privato della sua guida. Quando lui morì, al suo funerale tutti i giovani del circolo anarchico lo accompagnarono nel suo ultimo percorso. La bara, avvolta nella sua bandiera rossonera, portata a spalle dai suoi allievi… Non lo potevo immaginare un funerale così partecipato: Addio Lugano Bella … la canzone degli anarchici durante il percorso mi ricordava il compagno Bruno Misefari e la sua Pia, la sua fedele moglie svizzera, poetessa della verità. Quel giorno mi è rimasto impresso nella memoria, tanto era inaspettata la calda accoglienza di gioventù riservata a Nino. Era finita un’epoca ? Mi rifugiai nell’arte sociale. […] Insieme  all’architetto Gianni Drago e al grafico Vittorio Gobbi rappresentammo a Ferrara una provocazione urbana, un omaggio all’antifascismo di mio padre. Un’azione per reclamare una società che consentisse a ciascuno di essere se stesso. Mio padre sarebbe stato felice di sapere che suo figlio era riuscito a svolgere un grande evento civile […] La mostra di Ferrara è stata,  per me,  una specie di catarsi, un modo per rinascere e per affrontare i nuovi temi ambientali e del paesaggio suggeriti da mio padre negli ultimi anni della sua vita. …“ ( testimonianza di Empio, figlio di Nino Malara, 30 agosto 2018)

Bibliografia: Empio Malara,   La testimonianza di Empio, figlio di Nino Malara in Storie di lotta e anarchia in Calabria a cura di Piero Bevilacqua con una ricerca musicale di Francesca Prestia,  Donzelli virgola, 2021 p.  170

 

ANTONIO CERUTTI (1902-1943) , operaio manovale, anarchico. Condannato per diserzione nel 1924, fuggì in Francia nel 1925. Fu arrestato a Parigi nel 1933 . Uscito dal carcere, dopo tre anni, riuscì a raggiungere la Spagna, dove intanto era scoppiata la rivoluzione sociale. Combatté nella "Columna de Hierro" sino all'aprile del 1937. Tornato a Parigi e più volte arrestato fu infine rinchiuso nel campo di Vernet. Nel 1940 fu consegnato dai francesi agli italiani, che lo inviarono al confino nell' isola di Ustica. Morì nel 1943 in seguito a gravi sofferenze fisiche e psichiche ( cfr. primo brano). Non disponendo, per il momento, di notizie più particolareggiate sui disagi sofferti da Cerutti, mi limito a ricordare le drammatiche condizioni della vita dei confinati divenute , durante gli anni della seconda guerra mondiale, persino peggiori  ( cfr.secondo  brano)

Brani da commentare: 1) " Le ultime notizie su di lui dalla "villegiatura" di Ustica  sono drammatiche. Il 24 marzo '43 il direttore segnala che il confinato non dispone " di vestito, camicia e mutande" e circola praticamente nudo per la colonna.  Il 17 aprile 1943 il direttore comunica al Ministero che " il confinato in oggetto è deceduto in questa infermeria della Colonia per esaurimento" ; 2) “ Con l’entrata in guerra dell’Italia  le isole del Confino si vengono affollando in maniera inverosimile. […]  Il numero dei confinati è considerevolmente aumentato, ma sono aumentati, in proporzione, i disagi e le continue difficoltà. Il trasporto dalla terra ferma dei viveri e delle provviste d’acqua è irregolarissimo. Sono frequenti i giorni nei quali i confinati rimangono senza pane e nulla da mangiare. Numerosi sono gli ammalati. La situazione va aggravandosi sempre più e diventa, in ultimo, disperata “  ( Anonimi compagni, 1914- 1945 un trentennio di attività anarchica)

Bibliografia: Primo brano in Abel Paz, Cronaca appassionata della Columna de Hierro, autoproduzioni fenix,  2006, p. 203 . Secondo brano in   Anonimi compagni, 1914- 1945 un trentennio di attività anarchica , Samizdat  p. 127

Per la tenace resistenza di EMILIA BUONACOSA ai sorprusi e alle disumane condizioni di vita  subite durante il confino di Ventottene, cfr. CFR. POST ANARCHICI/E ITALIANI VOLONTARI IN SPAGNA


 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 
 

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