venerdì 29 aprile 2011

ANARCHICINI: ILLEGALISMO ANARCHICO :RAVACHOL (1859-1892) , ALEXANDER MARIUS JACOB (1879-1954), CLEMENT DUVAL ( 1850-1935), LA BANDA BONNOT E VICTOR SERGE (1890-1940); DIBATTITO GAVILLI- MALATESTA; ALTRI INTERVENTI SUL TEMA: LUIGI GALLEANI E LUIGI FABBRI


  RAVACHOL , pseudonimo di  Francois Claudius  Koehingstein , fu autore di parecchi reati comuni e di due attentati contro il giudice e il procuratore generale che avevano condannato i tre anarchici,  arrestati durante  i gravi scontri avvenuti nel 1891 durante una manifestazione del primo maggio a  Clichy. Arrestato  non moltempo dopo , Ravachol , durante il processo in cui fu condannato a morte, tenne un atteggiamento molto fiero, che lo rese famoso.   (cfr. brano)

Brano da commentare: “  PRES. – Siete rimasto a Chambles, fin verso le due del mattino poi siete rientrato a Saint Etienne in vettura. Ma voi siete stato ancora un’altra volta a Chambles    . RAVACHOL – Sicuro. Sospettavo che il cocchiere ci avesse denunziati, ed in tal caso ero deciso a spacciarlo.  PRES.  - Avreste ucciso anche il cocchiere se qualche sospetto v’avesse tormentato? . Ravachol – Senza un indugio. Sarebbe molto meglio che la vita non avesse né  beniamini né bastardi, e che tutti lavorando potessero campare. Ma quando la fame bussa alla porta e non si ha né la faccia né il groppone per mendicare, e si riprende colla violenza  quel che c’è stato tolto colla frode, la ripresa ha troppi rischi perché non si debbano ovviare mettendo da parte scrupoli ingombranti ed ipocrite pietà. Avrei soppresso il cocchiere per non lasciarmi sopprimere dalle sue denunzie.  Il  Presidente  ricorda ai giurati con quale audacia Ravachol arrestato sia riuscito, malgrado le manette e la catena, a sfuggire alle cinque persone che l’avevano in custodia; e nota quale uso abbia fatto della libertà riconquistata. RAVACHOL- Ne ho fatto il solo uso che sia concesso a chi muore di fame e geme schiavo di tutte le oppressioni. Voi non vi ricordate dei senza pane che il giorno in cui  disperati sfondano  la porta di un forno, la vetrina di un beccaio, la cassaforte di un monaco, e ve ne  risovvenite allora per mandarli in galera.  PRES. -  Non parlate per i lavoratori, parlate in nome degli assassini. RAVACHOL  - E voi parlate di corda e di mannaia, non parlate di giustizia e di morale  di cui è  negazione ed ironia la società borghese, a cui servite . PRES.  La giustizia borghese? Aspettate a maledirla, voi non ne  avete a tutt’oggi  esperimentato che l’indulgenza. RAVACHOL  - Sta bene, siete l’araldo del boia. Saprò guardarlo senza tremare.   ……..
Bibliografia:  Luigi Galleani,  Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001  p. 277

 E, in Francia,  è ancora  diffusa la nota canzone  " La Ravachole", composta in suo onore, sulla musica della "Carmagnole", (cfr. brano )
 Canzone  da commentare: 1)  Dans la grand’ville de Paris (bis) / Il y a  des bourgeois  bien nourris (bis) / Il y a  les misereux, qu’ont le ventre  creux/ Ceux- là on des dents longues Vive le son, vive le son / … vive le son de l’explosion  / Dansos  la Ravachole / Vive le son, vive le son/ Dansons la Ravachol vive le son de l’explosion / Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois goutron d’la bombe/ Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois on les saut'ra. Il ya le magistrats vendus (bis) Il y a les financier ventrus (bis) Il y a  les argousins/ Mais pour tous ces coquins / Il y a la dynamite / Vive le son , vive le son/ ……… vive le son de l’explosion / Il y a les senateur gateux (bis)/ Il ya les deputes vereux (bis) Il ya les generaux/ Assasins et bourreaux/ Bouchers en uniforme, Vive le son, vive le son/ ………, Vive le son de l’explosion / Il y a les hotel des richards (bis) Tandis que le pauvres déchards (bis) A demi-morts de froid/ Et soufflant dans leurs doigts / Refilent la comète, / Vive le son, vive le son/ …… Vive le son de l’explosion / Ah nom de dieu faut en finir (bis) Assez longtemps geindre et souffrir (bis) Pas de guerre a moitié  / Plus de lache pitié / Mort à la bourgeoisie, vive le son , vive le son /……..  Dansons la Ravachole / Vive le son de l’eplosion;" 
Bibliografia:   in CIRA,  Un secolo di canzoni  p.  10  .
 Per alcuni anarchici egli fu "un eroe di rara nobiltà d'animo2, un "cavaliere della dinamite". Tra gli anarchici  che lo elogiarono per il suoomportamento che  egli tenne durante il processo, vi fu , tra i militanti più autorevoli,  LUIGI GALLEANI  (cfr. post  LUIGI GALEANI) che vide  in Ravachol, come in Sante Caserio e Gaetano Bresci, un  esemplare esecutore  della “propaganda  del fatto  avente lo scopo precipuo di preparare la strada  alla rivoluzione liberatrice. Al tempo stesso però Galleani  ammoniva di non far crescere in luogo dei “vecchi altari disfatti ” un culto di nuovi santi e martiri “ astraendo le  azioni di rivolta individuale  dal contesto storico e dai complessi motivi  che li  avevano prodotti ( cfr.  brano) 
Brano da commentare “ … Per revisionisti novissimi dell’anarchia fin di secolo, Ravachol non riappariva che un  degenerato abominevole, Caserio  un epilettico od un paranoico, Bresci un suicida disperato.  Un’applicazione lombrosiana così gretta, così contradditoria, così subdola, come si vede, che l’insorgere era salutare necessità del momento.  Giacché se è pacifico oramai in tutte le fazioni d’avanguardia che mal si serve all’avvenire indulgendo al sentimento religioso delle folle, le quali non domandano altro che di rialzare sui vecchi altari disfatti il culto dei nuovi santi, il nuovo martirologio, la devozione nuova agli annunziatori della liberazione; e che gli uomini, in fondo, a rimanere uomini colle loro debolezze e le loro audacie o i loro eroismi hanno tutto da guadagnare per sé e per gli altri; rimane non meno incontrastata  fra spiriti liberi e  coscienze moderne l’importanza enorme che hanno gli atti di rivolta individuale e come sintomo e come promessa. Per una parte essi denunziano il malessere collettivo, illuminano dei loro baleni il contrasto secolare tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressori ed oppressi come non saprebbe la più eloquente delle parole; sono,  per l’altra,  le pietre miliari della grande rivoluzione, le prime faville abrupte, singolari, fugaci nella fiamma e nell’eco, che le ceneri dell’indifferenza e dell’oblio soggiogano ed ammutoliscono rapidamente ; ma senza spegnerle, per custodirle anzi, per ravvivarle  liberarle avventarle colla  prima bufera più robuste e più tenaci al vasto incendio livellatore. E non vi è chi non vede quanto sia puerile costringerne cause ed effetti nell’arbitrio individuale, e quanto sia a un tempo necessario e sincero ritrovarne le scaturigini profonde,  i fattori complessi, il clima sociale e l’ora storica in cui sono esplosi, protesta d’irrequiete coscienze, ammonimento ai superbi, rampogna agli avviliti ai neghittosi …. “  Luigi Galleani, Faccia a faccia con il nemico  (1914)
Bibliografia: Luigi Galleani, Faccia a faccia con il nemico ,   Galzerano editore,  2001 p. 10 
Per altri anarchici, invece, a causa del suo passato di reati comuni,  Ravachol non era che , più o meno, un            delinquente .  Più profondo è il pensiero di Luigi Fabbri, che pur riconoscendo la sua,   e anche quella di altri  illegalisti,  sincera professione di fede anarchica  la collega  a quella  “propaganda anarchica a rovescio"  creata , alla fine del secolo, dalla stampa e dalla letteratura borghese. (cfr. brano)
  Brani da commentare:  1) Ravachol, che anche in mezzo agli anarchici è il tipo di ribelle violento che raccoglie meno simpatie, trovò tra i letterati apologisti innumeri; fra cui insieme al Mirbeau anche Paul Adam, divenuto ora un mistico e un militarista, e che osò parlare del tremendo dinamitardo, in quei tempi nel modo più paradossale: “ Finalmente , -egli diceva, all’incirca,- in questi tempi di scetticismo e di viltà ci è nato un  Santo! “[….] Il curioso è che i letterati eran proclivi ad approvare  di più quegli atti di ribellione, che invece gli anarchici militanti propriamente detti approvavano di meno, per il carattere soverchiamente antisociale. Chi non rammenta l’espressione antiumana, per quanto estetica, di Laurent Tailhade (ora passato al militarismo nazionalista) al banchetto della Plume, in piena epidemia di esplosioni di dinamite, nel 1893? [……..] “ Che importa la vittima, se il gesto è bello?” Inutile  il  dire che gli anarchici militanti sconfessarono in nome della filosofia loro e del loro partito questa  teoria estetica  della violenza- ma la frase era detta, e fece effetto!”  (da Luigi Fabbri,  La letteratura violenta nell’anarchismo” in  Il Pensiero luglio 1906;  2)  “Un’influenza straordinaria ha esercitato sull’anarchismo la borghesia, quando s’è assunta per suo conto la missione di fare la propaganda anarchica. Pare un paradosso, eppure è  una verità: molta della propaganda anarchica è stata fatta dalla borghesia. Disgraziatamente però l’ha fatta in un modo tutt’altro che utile all’idea veramente libertaria; ma è anche vero che sono gli effetti di questa propaganda spuria, che la borghesia ha poi con maggiore accanimento voluti attribuire a tutto il partito anarchico. Nei momenti di maggiore persecuzione contro gli anarchici è avvenuto che tutti gli spostati  dell’attuale società, e fra questi molti delinquenti, abbian creduto sul serio che  l’anarchia fosse ciò che i giornali borghesi andavano descrivendo, qualche cosa che si adattava  parecchio alle loro abitudini  extrasociali ed antisociali. […] E’ questa propaganda traditrice che spiega come in un certo periodo, specie dal 1889 al 1894, in più di un processo si siano sentiti dei ladri volgari e dei falsari comuni dichiararsi anarchici, e dare una vernice pseudo-politica ai loro atti. Essi leggevano che l’anarchia era l’idea dei ladri e degli assassini- e qualcuno di loro ha detto: “Io sono un ladro, dunque sono un anarchico” [...]  Rimase però  qualche cosa in mezzo agli anarchici veri e propri. Qualcuno ha preso sul serio i sofismi di qualche geniale delinquente ed ha finito per teorizzare sulla legittimità del furto e del falso in moneta. Altri hanno poi cercato l’attenuante parlando di “furto per la propaganda”; così s’è avuto il fenomeno di Pini e di Ravachol,- due sinceri, che furono un’eccezione, ma che non per questo furono meno vittime dei sofismi, generati dalla propaganda a rovescio del giornalismo e della calunnia borghese…” ( da Luigi Fabbri “ Influenze borghesi sull’anarchismo. ” in  Il Pensiero  ( agosto 1906)  
Bibliografia: Primo e secondo brano in Luigi Fabbri, Influenze borghesi sull’anarchismo. Saggi sulla violenza,   Zero in condotta 1998,  pp. 24-25 e  p. 36, p. 37, p. 38.  e cfr.  anche.  p. XVI-XVII , dove nell'introduzione  a questo scritto di Fabbri, Gaetano Manfredonia ricollega le azioni di Ravachol, Emile Henry e compagni a una "concezione insurrezionale ed operaista che si era  lentamente formata all'indomani della sconfitta della Comune di Parigi" e cfr. anche la postfazione di Jules Elysard (op. cit. pp. 71-77) dove, tra l'altro si pone in rilievo l'importante  contributo di Fabbri  nell' offrirci "  la possibilità di riflettere - ancora una volta - sulle caratteristiche principali dell'anarchismo di fronte soprattutto al mito della violenza soffermandosi sulle sue origini borghesi".
  Ovviamente non deve, comunque, essere sottovalutato, e certamente non era questa l' intenzione di Luigi Fabbri, il contesto storico e culturale (e quindi oltre alla letteratura, anche tutte le altre espressioni della cultura dominante: arte scienza, economia, religione, ecc.)  in cui queste azioni violente si sono propagate. Ed entro quest' ottica, lo stretto  legame  con le sofferenze  e lo sfruttamento a cui la classe operaia era quotidianamente sottoposta  durante la cosiddetta " Belle Epoque",  appare, a mio parere, in particolare,  nelle dichiarazioni fatte durante i processi a loro carico dai cosiddetti " espropriatori individuali " CLEMENT  DUVAL (1850-1935 ) E ALEXANDER MARIUS JACOB (1879-1954 ) 

                                                               
 CLEMENT DUVAL, operaio meccanico, a  vent’anni, già padre di un bambino, fu inviato, contro la sua volontà, a combattere nella guerra franco-prussiana. Di questa esperienza restò sempre in lui un forte odio per la disciplina militare e per “i patriottici carnai”. Condannato nel 1978 a un anno di prigione per avere commesso un furto al fine di sfamare la sua famiglia, diventò anarchico e, uscito dal carcere, entrò a far parte  del gruppo illegalista “ La Panthère des Battignoles”. Nel 1886 fu arrestato per avere commesso un furto e appiccicato un incendio nell’abitazione della signora Maddalena Lemaire, mentre essa era con i suoi parenti in villeggiatura. Al momento dell’arresto ferì con un coltello il brigadiere  Rossignol.  Durante il processo  Duval  si  autodifese denunciando le “ turpitudini sociali” (cfr. post su Camille Pissarro) del sistema capitalistico.. Venne condannato a morte, ma poi la sua pena fu convertita all’ergastolo nel bagno penale della Guayana , da dove, dopo 14 anni, riuscì a fuggire e  a raggiungere gli Stati Uniti,  Su sollecitazione di Luigi Galleani, nel 1907 scrisse le sue “Memorie  autobiografiche”. Morì a Brooklin nel 1935.
Brano da commentare: “  .. Ed in voi non accuso voi soli; accuso la società bastarda, matrigna, corrotta in cui l’orgia, l’ozio e la rapina trionfano impunite e venerate sulla miseria e sul dolore disprezzati e derisi. Voi cianciate di furti, voi mi chiamate ladro come se un lavoratore che  ha dato alla società trent’anni della sua dolorosa fatica  per non avere un pane da sfamarsi, un cencio di cui coprirsi, un canile in cui rifugiarsi, potesse essere un ladro. Voi sapete bene che mentite, voi sapete meglio di me che è furto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che se al mondo vi sono ladri; essi devono essere cercati tra coloro che oziando gavazzano a spese dei miserabili i quali producono tutto, soli. […] E lo sfruttamento dell’uomo non né il più feroce né il più cinico. Vi è quello della donna, verso cui la vostra  società civile è ben più spietata che non sia stata la natura. La natura ha fatto della donna un essere cronico che sui  30 giorni del mese ne ha 15 di malessere e di disagio, voi ne avete fatto la carne da profitto, la carne da piacere ….” (dichiarazione di Duval  al processo)
Bibliografia:  Luigi Galleani,  Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001  p. 209, 210, 211 


                      
    ALEXANDER  MARIUS JACOB (1879-1954)  Capo di una banda di “illegalisti” chiamata  “i  lavoratori della notte, che compì centinaia di furti , da lui definiti “ riprese individuali”. Versava il 10% deil suo bottino  per la propaganda anarchica. L’8 marzo 1915 fu condannato all’ergastolo per “furti aggravati e violenze a un agente al momento dell’arresto, , ma fu liberato 20 anni dopo grazie  a una mobilitazione popolare a suo favore. Raccontò le sue avventure in un libro, pubblicato nel 1948 col titolo Ricordi di mezzo secolo.  Morì nel 1954 a  Bois-Saint-Denis.  E’ stato da molti, sembra tuttavia che si tratti soltanto di una "leggenda", ritenuto la fonte d’ispirazione per l’ Arsenio Lupin , il famosissimo  "ladro gentiluomo”, personaggio avventuroso  dei romanzi  di Maurice Leblanc e poi celebrato anche dal cinema di tutto il mondo.
 Brano da commentare: “.. La società non mi accordava che tre vie di esistenza: il lavoro, la mendicità, il furto. Il lavoro lungi dal ripugnarmi mi piaceva. L’uomo non può nemmeno fare a meno di lavorare : i suoi muscoli, il suo cervello, hanno una somma di  energie da dispensare. Quel che mi ha fatto repugnare è sudare sangue e linfa per l’elemosina di un salario, è creare delle ricchezze di cui sarei stato depredato. Insomma m’ha fatto ripugnanza darmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento, la negazione di ogni dignità. “Ogni uomo ha il diritto al banchetto della vita” “Il diritto di vivere non si mendica, lo si prende” “ Il furto è la restituzione, la ripresa del possesso. Piuttosto che essere rinchiuso in un’ officina come in un penitenziario, piuttosto che mendicare ciò cui avevo diritto, ho preferito rivoltarmi e combattere palmo a palmo i miei nemici facendo la guerra ai ricchi, attaccando i loro beni… ( dichiarazione di Alexander Marius Jacob durante il processo alla  Corte di Assise della Somme nel marzo 1905)
Bibliografia:  Bernard Thomas, Jacob Alexandre Marius, detto Escande, detto Attila, detto   Georges, detto Bonnet, detto Duro a morire, detto il ladro. Edizioni Anarchismo 1985 pp. 187-188
                                                                           
In alto da sinistra:  JULES BONNOT,  OCTAVE GARNIER, RENE' VALET  e in basso da sinistra:  RAYMOND CALLEMIN, EUGENE DIODONNE', ELIE MONIER, ANDRE' SOUDY
La Banda Bonnot (chiamata così dal nome di colui che era ritenuto dalla polizia e dalla stampa il loro capo, Jules Bonnot o anche "i banditi tragici"). Fu attiva tra il 1911 e il 1912 e si caratterizzò  per essere stata la prima ( o una delle prime) banda a compiere rapine usando le macchine. Tra le numerose rapine  di banche  , che in quel breve arco di tempo, furono attribuite a loro, quelle sicuramente rapinate  da loro, furono la banca  " Sociéte Générale in rue Ordent a Parigi e la Banca Siéte Générale de Chantilly, nel quale non ci si fece scrupolo a sparare e ad uccidere chiunque avrebbe potuto ostaccolarli. In questo contesto mi limito a citare  solo alcuni componenti della  banda e fornire qualche loro breve  cenno biografico:
JULES BONNOT (1876-1912)    Non  mi soffermo sulle sue imprese criminali assai note,  (tra cui , se la  notizia  di fonte poliziesca è vera, l’uccisione del suo compagno Sorrentino, detto  Platano, per il dissacordo nato tra di loro per la spartizione del bottino, oppure secondo la versione data dallo stesso Bonnot per evitare che soffrisse  essendosi Platano ferito gravemente manipolando la sua browning), ma mi limito ad accennare alla sua morte  e a quella  del garagista DUBOIS, che l’ospitava a  Choisy –le -Roy,  dopo aver resistito per parecchie ore contro centinaia di poliziotti e soldati appartenenti alla fanteria coloniale.  Fu necessaria la dinamite per sconfiggerlo.  OCTAVE GARNIER (1889- 1912)  e RENE’ VALET  ( 1890-1912) che morirono  opponendo,  una strenua  e lunga resistenza, arroccati in  un padiglione  di Nogent. RAYMON D CALLEMIN, (detto "la Science "(1890-1913) amico d’infanzia e di adolescenza di Victor Serge, frequentatore di  milieux libres”, tra cui la comune di  Stokel in Belgio,   fu arrestato , condannato  a morte e ghigliottinato insieme a  ELIE ANTOINE MONNIER ,( 1889-1913) detto “Simenoff” , amico di LORULOT  e ANDRE’ SOUDY (1892-1913) .  Erano tutti e tre renitenti alla leva in quanto antimilitaristi.  DIEUDONNE’ EUGENE   (1884- 1944). Fu anche egli  condannato a morte, nonostante che vi fossero prove che dimostravano la sua innocenza.  All’ultimo momento , però, la sua pena fu commutata  in  lavori forzati a vita. Nel 1926 riuscì ad evadere e si nascose in Brasile sino a che non ottenne la grazia.  Tornato a Parigi ,  pubblicò nel 1930 il libro  La vie des  forçats “.  L' atteggiamento dei sopravissuti alla Banda Bonnot, durante il processo a cui furono sottoposti , fu , nel complesso beffardo e irriverente nei confronti dell'autorità,  ma essenziamente apolitico e non ideologico . (cfr. brano )
Brano da commentare:  “ …. I giorni seguenti, si procede agli interrogatori di coloro che sono presentatio come le  vere  “vedette “  del processo : Dieudonné, Callemin, Monnier e Soudy, accusati di avere preso parte alle azioni de la Rue  Ordener, di Montgeron e di Chantilly. Quelli che  nel pubblico, attendevano una difesa di rottura e dei  bei ritagli (morceaux) di eloquenza come Emile Henry o, più recentemente  Marius Jacob avevano saputo produrre, non nascondono la loro  delusione. Gli accusati lungi dal  rivendicare con  marzialità ( panache) le azioni di cui li si acccusa non  ammettono nulla, e impongono all’accusa la sfida di  fornire le prove materiali della loro colpevolezza. Callemin e Soudy, fedeli ai loro personaggi,  mirano ad essere canzonatori e lanciano qualche battuta.,  Elie Monnier resta sobrio e tranquillo nei suoi dinieghi e Dieudonné, patetico, reclama instancabilmente la sua innocenza …”  (estratto da  Anne Steiner, Les en-dehors……)
 Bibliografia:  in Anne Steiner, Les   en-dehors.  Anarchistes individualistes et illégalistes a la  “Belle Epoque” ,  Editions L' èchappée, 2008, p. 156 (traduzione italiana mia) l’ 
                                                                                 
 La frequentazione di alcuni dei componenti della banda negli ambienti  negli ambienti anarco-individualisti  e in più casi  anche vecchi rapporti di amicizia fecero  sì che anche  Victor Serge e Rirette Maitrejean  , allora direttori del giornale anarco-individualista " L' Anarchie " furono in qualche modo coinvolti  nelle gesta criminose della banda, nonostante  essi non condividessero quelle scelte.
 Nelle mie intenzioni, la scenetta ,  qui sopra, tutta inventata, vorrebbe  mettere in evidenza come VICTOR (SERGE) KIBALCICH (1890-1947)  e la sua compagna  RIRETTE MAITREJEAN (1887- 1968) cercassero di dissuadere , senza riuscirci, la banda di Jules Bonnot  , René Valet, Raymond "la science", Octave Garnier  dalle loro imprese sanguinose in nome dell’anarchia. Durante il processo  si cercò, invano, di dimostrare la complicità di Victor Serge con la banda e alla fine fu condannato a cinque anni  di  carcere   esclusivamente per le sue idee anarchiche.   Bonnot al volante è vestito, nelle mie intenzioni,  come Sherlock Holmes ( ai tempi in cui l’ho fatta  ritenevo che fosse stato  l’autista di Conan Doyle e volevo rimarcare la  relazione  tra questo “bandito” e il “ padre” di Sherlock Homes ) .  Da quanto invece scrive Marianne Enkell , Des histoires (presques) vraies  in  Refractions février 1998, egli  non è mai stato l’autista di Conan Doyle, ma del suo amico  Hanry Ashton, criminologo e scrittore.
La linea politica di difesa  di Victor Serge suscitò alcune critiche nei suoi confronti negli ambienti anarchici individualisti parigini in quanto  al tempo stesso che chiamava in causa i mali  generati dal capitalismo si dissociava nettamente dalle azioni compiute dai suoi coaccusati, il che venne interpretato da alcuni, come  un  implicito consenso alle norme e ai valori borghesi. 
Brano da commentare: “ L'accusa, volendo montare per l'opinione pubblica un buon romanzo-complotto, mi aveva attribuito la parte dell'ideologo, ma dovette abbandonare questo disegno fin dalla seconda udienza. Avevo creduto di ottenere l'assoluzione, capii che in quell'ambiente l'assoluzione di un  giovane russo che si batteva  non era possibile nonostante una posizione del tutto chiara, poiché nessuna responsabilità né diretta né indiretta mi incombeva in quei drammi.  Io non ero là (processo contro la banda Bonnot) che a causa  del mio rifiuto categorico di parlare, cioè  di  diventare un delatore. Io distruggevo l’accusa  sulle accuse specifiche ed era facile; io difendevo la dottrina – libero pensiero, solidarietà, rivolta – e qui era molto più difficile e scontentavo i colpevoli “innocenti” dimostrando che la società fabbrica i crimini e i criminali, le idee disperate, i suicidi, il denaro/veleno…..” ( da “Memorie di un rivoluzionario” di Victor Serge.)
 Bibliografia: Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario , e/o tascabili 2012, p. 47
 Bisogna  notare che Victor Serge  era perfettamente conscio della difficoltà della situazione in cui si trovava, come mostra una lettera da lui scritta a EMILE ARMAND, in cui cerca di spiegare   le motivazioni sul come si sarebbe comportato davanti  all’autorità giudiziaria.  (cfr. brano)

Brano da commentare. “… Già in dettagliate lettere precedenti, io ti ho esposto la nostra difesa, perché sinora io sono stato in perfetta sintonia con Rirette. Sicuramente, non sarà né il luogo né il momento di parlare contro l’illegalismo, alle Assisi.  Ascolta ( tiens) ! Noi non lo vogliamo . Io non lo voglio affatto: Ma se mi si  ritiene solidale  con atti che mi ripugnano (ho scritto la parola giusta) occorrerà bene che io mi spieghi. In questo caso , io lo farò, stanne sicuro, in termini abbastanza chiari perché non ci si possa servire  delle mie parole contro i coaccusati. Io non avrei preso la pena di pesare ogni mia parola durante l’istruttoria  per timore di  coinvolgere qualche disgraziato compagno, per fornire  all’avvocato generale armi contro di loro. Se d’altra parte ci si volesse servire di un lapsus sempre possibile, devo dirlo, saprei rettificare. Non è la difesa dei miei interessi che mi spinge a non volere a nessun prezzo una solidarietà imposta. E’ che io sono, noi siamo  disgustati,  addolorati di vedere che dei compagni, compagni , a cui io era affezionato al tempo del loro primo e  bell’entusiasmo, abbiano potuto commettere cose così pietose  come il macello di Thiais. …”  (  estratto da una lettera di  Victor Serge a  Emile Armand) . 
  Bibliografia:   in Anne Steiner, Les   En-dehors.  Anarchistes individualistes et illégalistes a la  “Belle Epoque” ,  l’ èchappée, 2008, p. 156 (traduzione italiana mia)

 Il comportamento invece di Rirette Maitrejean durante il processo,  ottenne,   come  si è già detto,  l'approvazione  degli stessi imputati o  (cfr. il post LES MILIEUX LIBRES 2)  . Più tardi essa in Souvenirs d'anarchie ricordò  quella giornata  in tribunale  con le seguenti parole : 
" Provai a spiegare al tribunale che se l'anarchia insegnava agli uomini il rifiuto della morale convenzionale, tuttavia non le incitava all'omicidio. Ciascuno rimaneva libero di determinarsi secondo la sua coscienza..."
Bibliografia: in  http://ita.anarchopedia.org/Rirette_Maitrejean . Mi piacerebbe  potere leggere un giorno questa sua frase per intero … Purtroppo come ho già  nel post su LES MILIEUX LIBRES 2 non ho il libro  Souvenirs d’ anarchie. “ Sarebbe bello che lo traducessero in italiano.
                                                                                     
   
 
All’interno  del movimento anarchico nacquero, in Francia,  già immediatamente dopo la loro tragica fine, opinioni nettamente opposte. Nel  libro di  Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en France sono raccolte in sintesi alcune  considerazioni apparse su  giornali anarchici in cui  ci si rifiutava drasticamente di considerarli anarchici. (cfr. brano)
Brano da commentare:  “ Cosa pensare di questi uomini e del posto che gli si può accordare nella storia del movimento anarchico ? I compagni furono severi a questo riguardo? I redattori di Temps nouveaux si rifiutarono di considerarli come degli anarchici. André Girard denunciò l’equivoco in questi termini.:  “ E’ possibile che gli aggressori di Caby abbiano professato o  professano opinioni anarchiche, è possibile che essi  pretendano – come d’ altronde , altri in ciò che riguarda per esempio  la moneta falsa,  il furto con scasso,, ecc. – collegare la loro azione all’ idea anarchica. Per noi una simile pretesa  si poggia su un sofisma, ma  noi diciamo , anche, (encore), che al momento in cui hanno commesso quest’azione essi hanno cessato di essere anarchici. Tali azioni non hanno nulla d’anarchico, sono delle azioni puramente e semplicemente borghesi …. La frode, il furto, l’assassinio  borghesi si  attuano con il favore delle leggi borghesi; la frode, il furto , l’assassinio pretesi anarchici si attuano al di fuori e  contro di esse. Non vi é altra differenza. E se i borghesi, nell’applicazione dei loro principi  di individualismo egoista, sono dei banditi, i sedicenti anarchici che seguono gli stessi principi divengono,  par se fait , dei borghesi e sono anche dei banditi. Banditi illegali, forse, ma  comunque banditi  e  ugualmente borghesi … (  André Girard in Les Temps   Nouveaux n. 36, gennaio 1912) Questo giudizio provenendo da un giornale  che da sempre si era  levato contro l’illegalismo, non contiene nulla che possa stupire. Le  Libertaire che aveva dato asilo alla prosa di Libertad e di tutti i padri spirituali dei Callemin e dei Bonnot , si mostrò più sfumato nei suoi apprezzamenti. Pur riconoscendo che il movente delle loro azioni – affrancarsi individualmente – era legittimo nella società attuale, si rifiutava di approvarlo ,  perché non costituiva “ un fattore di affrancamento sociale . I sindacalisti di origine anarchica e gli herveisti non riconobbero di più (davantage) i banditi come loro compagni. A. Rosmer nella Vie Ouvriére  , dichiara che le loro azioni “ provengono da una mentalità capitalista, che si prefiggeva come scopo l’accumulare denaro e condurre una vita parassitaria  …” Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en France)
Bibliografia: Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en France, Des origines à 1914,  vol. I, tel gallimard, 2007 pp. 435-436
Tra le opinioni invece contrarie e cioè il dichiarare autentica la matrice anarchica di Jules Bonnot , cito  la  veemente difesa del suo  "anarchismo" da parte di MAURICIUS ( il cui vero nome era  Maurice Vandamme) (1886-1974). (cfr. brano)
Brano da commentare:  Bonnot che va con  il revolver in pugno a riprendere l’oro dei borghesi dal portafoglio ( sachoche) della Società  Generale, era anarchico. Bonnot che si fa gioco per dei mesi dell’ autorità, rappresentata da tutti i Guichards della Sicurezza, era anarchico.  Bonnot che difende la propria libertà a colpi di browning, era anarchico. Bonnot che muore sulla breccia, faccia a faccia con tutta la genià sociale , solo contro la sbirraglia ( flicaille ), l’esercito, la magistratura e la folla della gente onesta, era anarchico. E quando questa vita, questa morte si accompagnano gesta, che non sarebbero stati respinti da uno spartano, quando Bonnot braccato da un reggimento, preso di mira da 500 Lebel , la sua  stanberga distrutta dalla dinamite, quando Bonnot ferito, forse morente, , prende una penna e scrive: Madame Thollon era innocente. Gauzy anche. Diodonné anche, Petit-Demange anche, Monsieur Thollon anche. Quando un uomo compie tali atti, egli raggiunge in quell’istante le cime della bellezza morale “ ( Lionel (pseudonimo di Mauricius)  in Anarchie, 9 maggio, 1912)
Bibliografia:  Anne Steiner, Les En-dehors. Anarchistes Individualistes et Illegalistes a  la “Belle Epoque, Editions L’ Echappée, 2008 p. 150.Cfr. anche Anne Steiner ,  Bonnot Jules in  Jean Maitron Les anarchistes. Dictionnaire biographique du mouvement libertaire franchophone, Les Edition de l’ Atelier/Les  Editions Ouvriéres, 2014 pp. 139-140

Anche in Italia alcuni gruppi, soprattutto quelli aventi tendenze  antiorganizzatrici e individualiste,  assunsero  una posizione, per quanto concerneva in generale l’illegalismo anarchico e in particolare la  cosiddetta “ banda  Bonnot” ,assai simile a quella  espressa da  Maurizius. Nacque su riviste di opposta tendenza un dibattito che, per quanto ne so,  ebbe come protagonisti principali Giovanni Gavilli ed Enrico Malatesta. Nel 1913 adistanza di appena un mese l'uno dall' altro apparvero due articoli di Gavilli ( che si firmò  nella prima " Il Galeotto" e nella seconda " Il reprobo",  apparsi nel n. 1  e nel n. 2 della  rivista Gli scamiciati , scritti nell’ aprile del 1913 ) sull'illegalismo anarchico e con riferimento, pur non menzionandoli, ai fatti tragici del 1912 in Francia ( tra cui  quelli aventi come protagonisti l'illegalista anarchico suicida, Lacombe e  i membri  della  "Banda Bonnot" ). Mi limito in questo post  a citare solo  alcuni frammenti, che più mi hanno colpito, di questi due articoli ( cfr. brani)
Brani da commentare: 1)    … Che ingiustizia! Ebbene, codesta ingiustizia è qualche volta la goccia che fa traboccare il vaso della disperazione in qualcuno degli oppressi che, più audaci e meno riflessivi, si battono corpo a corpo con i difensori del capitale o della proprietà privata.  Essi non vedono intorno che nemici, che gente sfruttatrice ed ingorda, che spoglia e uccide il prossimo suo, senza badare all’età, al sesso, alla condizione delle sue vittime, […] e si ribellano seguendo la politica del suicidio : occhio per occhio dente per dente: uno contro tutti. Ma il cimento è breve, la moltitudine dei preti, dei padroni, dei semplici e dei vili, è loro addosso e li consegna al carnefice ed hanno ragione; nessuno attenti all’ordine sociale o si aspetti la pena dovuta ai trasgressori. Sono questi i banditi, gli eroi della politica del suicidio …. ( Il Galeotto, La politica del suicidio in Gli  Scamiciati, anno I n. 1 , 15 aprile 1913 ” 2)  “ Erano un manipolo di giovani insofferenti di giogo e di miseria; là nella Babilonia moderna , nella elegante Parigi del nostro tempo, essi vedevano diguazzare nell’oro e nei piaceri i ladri più audaci, gli assassini più crudeli; e biechi guardando le annerite officine, i lavoratori scamiciati e smunti, forse avevano in  un impeto di ira, giurato di fare da soli la rivoluzione sociale, e si diedero alla caccia delle automobili, ai portafogli e alla pelle di chi, secondo essi, continuamente viveva di furto e d’omicidio. E solevano dire: “ … Che importa uccidere un uomo di pugnale o di rivoltella? E’ mille volte più atroce farlo morire di stenti nelle galere, nelle officine, in risaia o giù nella miniera- Ce l’hanno insegnato loro, non lo abbiamo inventato noi: la fame caccia il lupo dal bosco. Chi di ferro uccide, di ferro muoia!” . Ed essi rubarono, uccisero, in nome della rivoluzione sociale, perché dissero che “ se tutti i bisognosi facessero così, la rivoluzione trionferebbe presto”. […] La banda tragica è annientata : padroni e preti possono dormire tranquilli, ma non per sempre: essi nella loro stoltezza, non si accorgono che la loro stessa morale, la stessa loro legge suscitano i banditi rossi, la cui semenza è nelle dottrine e nelle opere dei gaudenti dominatori, più che nel coraggio e nella sapienza dei ribelli. Guai se gli oppressi si levassero in armi con quel coraggio, con quell’audacia, guai; sarebbe il finimondo ! …” ( Il reprobo, Cui gladio ferit, gladia perit (chi di ferro uccide, di ferro muoia  in Gli  Scamiciati  anno I n. 2, 26 aprile 1913. ).
Bibliografia: G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi,  Indesiderabili,  2014 (primo brano ) pp. 7 e  8 e (secondo brano) pp. 9 e 10


A questo punto, di fronte agli effetti che tali fatti di sangue compiuti in nome dell'anarchia stavano producendo in alcune frange del movimento anarchico, e forse  proprio dalla pubblicazione dei due articoli di Gavilli, che però non menziona,  Errico Malatesta espresse la sua opinione contraria certamente autorevole , ma per quanto mi risulta leggendola, non  autoritaria, come d’altronde era da sempre  nel suo carattere e nel suo modo di esprimersi. (cfr. brano)
 Brano da commentare: ..” Alcuni individui hanno rubato, e per rubare hanno ucciso;  ucciso a caso, senza discernimento, chiunque si trovava ad essere un inciampo tra loro e il denaro agognato, ucciso degli uomini a loro ignoti, dei proletari vittime quanto loro  e più di loro della cattiva organizzazione sociale.  In fondo niente di più che volgare: sono i frutti amari  che maturano normalmente sull’albero del privilegio. Quando tutta la vita sociale è maculata di violenza e di frode, quando chi nasce povero è condannato ad ogni sorta di sofferenze e di umiliazioni, quando il denaro è mezzo necessario per conseguire la soddisfazione dei propri bisogni ed il rispetto della propria personalità, e per tanta gente non è possibile procurarselo con un lavoro sorgono dei poveri insofferenti  di giogo, i quali s’ispirano alla morale dei signori, e non potendo rubare il lavoro altrui colla protezione dei gendarmi, e non potendo per  rubare, organizzare delle spedizioni militari o vendere veleni come sostanze alimentari, assassinano direttamente, a colpi di pugnale e di rivoltella . Ma  quei “banditi” si dicevano anarchici; e ciò ha dato ai loro attentati briganteschi un’importanza ed un significato simbolico che per sé stessi eran lungi dall’avere. [...] E d'altra parte molti dei nostri compagni, poiché si parlava di anarchia si sono creduti obbligati a non rinnegare chi anarchico si diceva: molti abbacinati dal pittoresco della faccenda, ammirati del coraggio dei protagonisti, non han più visto che il fatto nudo della ribellione alla legge,  dimenticando di esaminare il perché ed il come . [...] Noi ne conveniamo: tutti siamo egoisti, tutti cerchiamo la nostra soddisfazione. Ma è anarchico colui  che la massima sua soddisfazione trova nel lottare per il bene di tutti, per la realizzazione di una società, in cui egli possa trovarsi, fratello tra fratelli, in mezzo a uomini sani, intelligenti, istruiti, felici. Chi invece può adattarsi, contento, a vivere tra schiavi e trarre profitto dal lavoro di schiavi, non è, non può essere anarchico. Vi sono degli individui forti, intelligenti, passionati, con grandi bisogni materiali o intellettuali, che essendo stati dalla sorte messi tra gli oppressi, vogliono a qualunque costo emanciparsi e non ripugnano dal diventare oppressori: individui che trovandosi coattati  nella società attuale prendono a disprezzare ed odiare ogni società, e sentendo che sarebbe assurdo volere vivere fuori della collettività umana, vorrebbero sottoporre al loro volere, alla soddisfazione delle loro passioni, tutta la società, gli uomini tutti. Costoro, a volte, quando sanno di letteratura, sogliono chiamarsi superuomini . Essi non s’imbarazzano di scrupoli; essi “vogliono vivere la loro vita” ; irridono alla rivoluzione e ad ogni aspirazione avveniristica, vogliono godere oggi, a qualunque costo ed a costo di chiunque siasi; essi sacrificherebbero tutta l’umanità per un’ora (c’è chi ha detto proprio così)  di “vita intensa” . Essi sono dei ribelli; ma non sono anarchici. Essi hanno la mentalità, i sentimenti dei borghesi mancati e, quando riescono, diventano borghesi di fatto, e non di quelli meno cattivi. Noi possiamo qualche volta, nelle vicende della lotta, trovarceli a lato; ma non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo confonderci con loro. Ed essi lo sanno benissimo. Ma molti di essi amano dirsi anarchici. E’ vero – ed è deplorevole. Noi non possiamo impedire che uno prenda il nome che vuole, né possiamo d’altra parte abbandonare noi il nome che compendia le nostre idee e che logicamente e storicamente ci appartiene. Quel che possiamo fare è di vigilare perché non vi sia confusione, o ve ne sia il meno possibile”. ..." ( Errico Malatesta , I banditi rossi, ( da Volontà anno n. I, n. 2 del 15 giugno 1913)
Bibliografia in  Errico Malatesta , Scritti scelti, Collana Porro, Edizioni RL Napoli, a cura di Giovanna Berneri e  di Cesare Zaccaria, 1954 p. 131. Cfr.  anche G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi,  Indesiderabili,  2014 p. 12 ss.
Gavilli rispose a Malatesta,  in un articolo dal medesimo titolo  Banditi rossi, dove, tra l’altro, a differenza dei suoi due articoli precedenti,  rivendicò esplicitamente la qualifica di anarchici a Bonnot e ai suoi compagni.  (cfr. brano)
Brano da commentare : “ … Oh lo sappiamo, lo sappiamo, l’anarchico non solo non vuole la violenza ma da essa rifugge per educazione e per carattere, giacché aspira alla solidarietà umana, alla libertà e alla felicità per tutti; ma le aspirazioni , ma la vita, sono una cosa, e un’ altra ben diversa è la lotta a cui ci costringe non di rado l’ignobile ambiente nel quale nostro malgrado viviamo. All’anarchismo si viene per lo studio, per il sentimento o per la disperazione; e quando non tutte e tre queste cose concorrono a modellare e a maturare il carattere dell’anarchico, spesso o diventa una specie di asceta adoratore della propria idea, o un disperato che si butta allo sbaraglio, gittando nella lotta tutto ciò che gli rimane: la propria vita, per far tremare i potenti, ricordando loro a quel modo che la loro possanza vive tutta nella viltà degli oppressi; e per ammonire gli schiavi dimostrando coi fatti più che con le  parole, quale è la via della vittoria. Noi potremo ingannarci, ma codesti cavalieri della morte ci paiono rivoluzionari ed anarchici quant’altri mai; [...] Ed ora noi non riusciamo a comprendere - e qui la colpa sarà tutta nostra - che lo stesso (Malatesta) non riconosca a Bonnot e compagni la qualità di anarchici e di rivoluzionari. Chi quei caduti considera non come gente sospinta a quel genere di battaglia dalla disperazione, o dalla eccessiva tensione nervosa prodotta dalle  proprie impazienze non meno che dai propri dolori, non ha davvero il diritto di dirsi anarchico, giacché la legge gli tolse di dosso un tremendo incubo, consegnando al carnefice  quei vinti ; ....."  (  Il reprobo, in Gli Scamiciati, anno I n. 6, 28 giugno 1913)
Bibliografia:  G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi,  Indesiderabili,  2014  pp. 22-23
La polemica continuò con un  nuovo articolo di Malatesta , pubblicato su Volontà, anno I, n. 8 3 agosto 1913)  in cui spiegava  in che cosa, secondo lui, consisteva la differenza tra anarchismo e ribellione e una contro risposta di Gavilli, pubblicata su Gli Scamiciati, anno I, n.9 , 8 agosto 1913,  che, tra l’altro,  contestava appunto  tale distinzione.  Dopo di ciò Malatesta decise di troncare  tale polemica, divenuta, secondo lui,  ormai un vicolo senza uscita e che stava scadendo irrimediabilmente  di livello .  ( cfr. brano) 
Brano da commentare: " Dovrei una risposta alla risposta che mi han fatto Gli Scamiciati . Ma essi fraintendono e falsano talmente i miei concetti che occorrerebbe mezzo giornale per mettere le cose a posto. E poi si sarebbe da capo. Io vi rinuncio. D'altra parte la risposta è così scortese e velenosa che sarei costretto ad usare un linguaggio a cui io non saprei scendere. Chi volendo discutere con me, crede bene di insultare, può stare sicuro che non avrà risposta. Io ho il fegato sano ed ho cura di non guastarmelo " ( Errico Malatesta,  Volontà n. 10 agosto 1913)
Bibliografia:  G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi,  Indesiderabili, Aprile 2014  p. 36
Gavilli interpretò ciò come una fuga, da qui il suo articolo La fuga di Malatesta pubblicato su Gli Scamiciati, anno I, n. 10 , 22 agosto 1913 . (cfr. brano) 
Brano da commentare: " Malatesta, usando di un abusato gioco polemico, del quale sogliono abusare con noi gli uomini grandi autoritaristi discutendo di anarchismo, fugge [...] Quella replica egli la chiama scortese, velenosa ed il rispondere ad essa gli pare che debba compromettergli il fegato;  noi lo abbiamo insultato; e così offeso, tronca la discussione iniziata da lui e trova comoda la fuga: buon viaggio, [...] fugga pure sdegnoso da noi, così irriducibilmente maleducati; ma pensi che certe fughe riescono alle volte più pericolose della battaglia a cui si vuole sfuggire. ...." 
Bibliografia:  G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi,  Indesiderabili, 2014  pp. 36-37

 Chiunque conosca  la vita e il pensiero di  Malatesta  non può, credo,  seriamente, condividere il giudizio del Gavilli, scritto  nella foga di una polemica, che stava assumendo toni sempre più personalistici e che, d' altronde, or era, ormai,  destinata a un girare su se stessa senza fine,  su una pretesa fuga di Malatesta per mancanza di argomenti con cui ribattere ( cfr. per esempio il suo articolo La base morale dell'anarchismo, , pubblicato sempre su Volontà, il 18 ottobre 1913 ).   Piuttosto ritengo importante il sottolineare come piano piano tra questi  due “ avversari di taglia” (come li definisce Ugo Fedeli) si fosse passati dal parlare della banda Bonnot allo scontro di due opposte visioni dell’ anarchia che, come faceva notare Ugo Fedeli in una sua biografia su Gavilli, , erano davvero, almeno per quanto riguarda il piano teorico, inconciliabili. (cfr. brano)
Brano da commentare : “… Ormai in lui (Gavilli) si era formata la convinzione della esistenza nell’anarchismo di due anarchismi, ben differenziati e inconfondibili, ed uno essere piuttosto un sottoprodotto dell’altro; quello comunista e quello individualista, e che solo il secondo  dovesse essere, più del primo troppo legato al socialismo legalitario, la più chiara cittadinanza anarchica. [… ]    Per la verità il Malatesta fu sempre legato , ed uno degli ultimi a staccarsene, alla definizione di socialista-anarchico prima, in seguito con quella di comunista-anarchico. Per lui, il socialismo vero era sempre quello originale dei tempi della prima Internazionale, di quando esso era una promessa di civiltà superiore, e quindi per lui di vero socialismo non vi era  che quello anarchico. […] Così, se uno (Gavilli) affermava esservi due anarchismi, uno spurio e l’altro integro, l’altro , Malatesta, riteneva esservi due socialismi, e quello vero, il socialismo anarchico.  […] Dunque, più ed oltre al temperamento, più ed oltre le parole, vi era contrasto di fondo . …” ( Ugo Fedeli,  Biografia di Gavilli )
Bibliografia: Ugo fedeli,  Biografie di anarchici. Ciancabilla Damiani Gavilli , Samizdat , 1997 pp. 143-144 e p. 145 e 146
 
 Nota: anche questa volta la distinzione dei caratteri alcuni in grassetto e altri no non è voluta, ma frutto di un errore che ancora non ho capito quale sia, se non che esse sono state inserite in tempi diversi.






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