RAVACHOL , pseudonimo
di Francois Claudius Koehingstein , fu autore
di parecchi reati comuni e di due attentati contro il giudice e il procuratore
generale che avevano condannato i tre anarchici, arrestati durante i gravi scontri avvenuti nel 1891 durante una manifestazione del primo maggio a Clichy. Arrestato non moltempo dopo , Ravachol , durante il processo in cui fu condannato a morte, tenne un atteggiamento molto fiero, che lo rese famoso. (cfr. brano)
E, in Francia, è ancora diffusa la nota canzone " La Ravachole", composta in suo onore, sulla musica della "Carmagnole", (cfr. brano )
Canzone da commentare: 1) Dans la grand’ville de Paris (bis) / Il y a des bourgeois bien nourris (bis) / Il y a les misereux, qu’ont le ventre creux/ Ceux- là on des dents longues Vive le son, vive le son / … vive le son de l’explosion / Dansos la Ravachole / Vive le son, vive le son/ Dansons la Ravachol vive le son de l’explosion / Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois gout’ron d’la bombe/ Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois on les saut'ra. Il ya le magistrats vendus (bis) Il y a les financier ventrus (bis) Il y a les argousins/ Mais pour tous ces coquins / Il y a la dynamite / Vive le son , vive le son/ ……… vive le son de l’explosion / Il y a les senateur gateux (bis)/ Il ya les deputes vereux (bis) Il ya les generaux/ Assasins et bourreaux/ Bouchers en uniforme, Vive le son, vive le son/ ………, Vive le son de l’explosion / Il y a les hotel des richards (bis) Tandis que le pauvres déchards (bis) A demi-morts de froid/ Et soufflant dans leurs doigts / Refilent la comète, / Vive le son, vive le son/ …… Vive le son de l’explosion / Ah nom de dieu faut en finir (bis) Assez longtemps geindre et souffrir (bis) Pas de guerre a moitié / Plus de lache pitié / Mort à la bourgeoisie, vive le son , vive le son /…….. Dansons la Ravachole / Vive le son de l’eplosion;"
Bibliografia: in CIRA, Un secolo di canzoni p. 10 .
Brano da commentare: “ … PRES. – Siete rimasto a Chambles, fin verso le due del mattino poi siete rientrato a Saint Etienne in vettura. Ma voi siete stato ancora
un’altra volta a Chambles “
. RAVACHOL – Sicuro. Sospettavo che il cocchiere ci avesse denunziati,
ed in tal caso ero deciso a spacciarlo. PRES. - Avreste ucciso anche il cocchiere se
qualche sospetto v’avesse tormentato? . Ravachol – Senza un indugio. Sarebbe molto meglio
che la vita non avesse né beniamini né
bastardi, e che tutti lavorando potessero campare. Ma quando la fame bussa alla
porta e non si ha né la faccia né il groppone per mendicare, e si riprende
colla violenza quel che c’è stato tolto
colla frode, la ripresa ha troppi rischi perché non si debbano ovviare mettendo
da parte scrupoli ingombranti ed ipocrite pietà. Avrei soppresso il cocchiere
per non lasciarmi sopprimere dalle sue denunzie. Il
Presidente ricorda ai giurati con
quale audacia Ravachol arrestato sia riuscito, malgrado le
manette e la catena, a sfuggire alle cinque persone che l’avevano in custodia;
e nota quale uso abbia fatto della libertà riconquistata. RAVACHOL- Ne ho fatto
il solo uso che sia concesso a chi muore di fame e geme schiavo di tutte le
oppressioni. Voi non vi ricordate dei senza pane che il giorno in cui disperati sfondano la porta di un forno, la vetrina di un
beccaio, la cassaforte di un monaco, e ve ne
risovvenite allora per mandarli in galera. PRES. -
Non parlate per i lavoratori, parlate in nome degli assassini.
RAVACHOL - E voi parlate di corda e di
mannaia, non parlate di giustizia e di morale
di cui è negazione ed ironia la
società borghese, a cui servite . PRES.
La giustizia borghese? Aspettate a maledirla, voi non ne avete a tutt’oggi esperimentato che l’indulgenza. RAVACHOL - Sta bene, siete l’araldo del boia. Saprò
guardarlo senza tremare. ……..
Bibliografia: Luigi Galleani, Faccia a faccia
col nemico , Galzerano editore 2001 p.
277
E, in Francia, è ancora diffusa la nota canzone " La Ravachole", composta in suo onore, sulla musica della "Carmagnole", (cfr. brano )
Canzone da commentare: 1) Dans la grand’ville de Paris (bis) / Il y a des bourgeois bien nourris (bis) / Il y a les misereux, qu’ont le ventre creux/ Ceux- là on des dents longues Vive le son, vive le son / … vive le son de l’explosion / Dansos la Ravachole / Vive le son, vive le son/ Dansons la Ravachol vive le son de l’explosion / Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois gout’ron d’la bombe/ Ah ca ira ca ira ca ira/ Tous les bourgeois on les saut'ra. Il ya le magistrats vendus (bis) Il y a les financier ventrus (bis) Il y a les argousins/ Mais pour tous ces coquins / Il y a la dynamite / Vive le son , vive le son/ ……… vive le son de l’explosion / Il y a les senateur gateux (bis)/ Il ya les deputes vereux (bis) Il ya les generaux/ Assasins et bourreaux/ Bouchers en uniforme, Vive le son, vive le son/ ………, Vive le son de l’explosion / Il y a les hotel des richards (bis) Tandis que le pauvres déchards (bis) A demi-morts de froid/ Et soufflant dans leurs doigts / Refilent la comète, / Vive le son, vive le son/ …… Vive le son de l’explosion / Ah nom de dieu faut en finir (bis) Assez longtemps geindre et souffrir (bis) Pas de guerre a moitié / Plus de lache pitié / Mort à la bourgeoisie, vive le son , vive le son /…….. Dansons la Ravachole / Vive le son de l’eplosion;"
Bibliografia: in CIRA, Un secolo di canzoni p. 10 .
Per alcuni anarchici egli fu "un eroe di rara nobiltà d'animo2, un "cavaliere della dinamite". Tra gli anarchici che lo elogiarono per il suoomportamento che egli tenne durante il processo, vi fu , tra i militanti più autorevoli, LUIGI GALLEANI (cfr. post
LUIGI GALEANI) che vide in Ravachol, come in Sante Caserio e Gaetano Bresci, un esemplare esecutore della “propaganda
del fatto “ avente lo scopo precipuo
di preparare la strada alla rivoluzione
liberatrice. Al tempo stesso però Galleani
ammoniva di non far crescere in luogo dei “vecchi altari disfatti ” un
culto di nuovi santi
e martiri “ astraendo le azioni di rivolta individuale dal contesto storico e dai complessi motivi che li avevano prodotti (
cfr. brano)
Brano da commentare “ … Per revisionisti
novissimi dell’anarchia fin di secolo, Ravachol non riappariva che un degenerato abominevole, Caserio un epilettico od un paranoico, Bresci un
suicida disperato. Un’applicazione lombrosiana così gretta, così contradditoria, così subdola, come si vede, che
l’insorgere era salutare necessità del momento.
Giacché se è pacifico oramai in tutte le fazioni d’avanguardia che mal
si serve all’avvenire indulgendo al sentimento religioso delle folle, le quali
non domandano altro che di rialzare sui vecchi altari disfatti il culto dei
nuovi santi, il nuovo martirologio, la devozione nuova agli annunziatori della
liberazione; e che gli uomini, in fondo, a rimanere uomini colle loro debolezze
e le loro audacie o i loro eroismi hanno tutto da guadagnare per sé e per gli
altri; rimane non meno incontrastata fra
spiriti liberi e coscienze moderne
l’importanza enorme che hanno gli atti di rivolta individuale e come sintomo e
come promessa. Per una parte essi denunziano il malessere collettivo,
illuminano dei loro baleni il contrasto secolare tra sfruttati e sfruttatori,
tra oppressori ed oppressi come non saprebbe la più eloquente delle parole;
sono, per l’altra, le pietre miliari della grande rivoluzione,
le prime faville abrupte, singolari, fugaci nella fiamma e
nell’eco, che le ceneri dell’indifferenza e dell’oblio soggiogano ed
ammutoliscono rapidamente ; ma senza spegnerle, per custodirle anzi, per
ravvivarle liberarle avventarle colla prima bufera più robuste e più tenaci al
vasto incendio livellatore. E non vi è chi non vede quanto sia puerile
costringerne cause ed effetti nell’arbitrio individuale, e quanto sia a un
tempo necessario e sincero ritrovarne le scaturigini profonde, i fattori complessi, il clima sociale e l’ora
storica in cui sono esplosi, protesta d’irrequiete coscienze, ammonimento ai
superbi, rampogna agli avviliti ai neghittosi …. “ Luigi Galleani, Faccia a faccia con il nemico (1914)
Bibliografia: Luigi Galleani, Faccia a faccia con il
nemico , Galzerano editore, 2001 p. 10
Per altri anarchici, invece, a causa del suo
passato di reati comuni, Ravachol non era che , più o meno, un delinquente . Più profondo è il pensiero di Luigi Fabbri, che pur riconoscendo la sua, e anche quella di altri illegalisti,
sincera professione di fede anarchica la collega a quella “propaganda anarchica a
rovescio" creata , alla fine del secolo, dalla stampa e dalla letteratura borghese. (cfr. brano)
Brani da commentare: 1) “Ravachol, che anche in mezzo agli
anarchici è il tipo di ribelle violento che raccoglie meno simpatie, trovò tra
i letterati apologisti innumeri; fra cui insieme al Mirbeau anche Paul Adam, divenuto ora un mistico
e un militarista, e che osò parlare del tremendo dinamitardo, in quei tempi nel
modo più paradossale: “ Finalmente , -egli diceva, all’incirca,- in questi
tempi di scetticismo e di viltà ci è nato un
Santo! “[….] Il curioso è che i letterati eran proclivi ad approvare di più quegli atti di ribellione, che invece
gli anarchici militanti propriamente detti approvavano di meno, per il
carattere soverchiamente antisociale. Chi non rammenta l’espressione antiumana,
per quanto estetica, di Laurent Tailhade (ora passato al
militarismo nazionalista) al banchetto della Plume, in piena epidemia di esplosioni di
dinamite, nel 1893? [……..] “ Che importa la
vittima, se il gesto è bello?” Inutile
il dire che gli anarchici
militanti sconfessarono in nome della filosofia loro e del loro partito questa teoria estetica della violenza- ma la frase era detta, e fece
effetto!” (da Luigi Fabbri, “ La
letteratura violenta nell’anarchismo” in
Il Pensiero luglio 1906; 2) “Un’influenza
straordinaria ha esercitato sull’anarchismo la borghesia, quando s’è assunta
per suo conto la missione di fare la propaganda anarchica. Pare un paradosso,
eppure è una verità: molta della
propaganda anarchica è stata fatta dalla borghesia. Disgraziatamente però l’ha
fatta in un modo tutt’altro che utile all’idea veramente libertaria; ma è anche
vero che sono gli effetti di questa propaganda spuria, che la borghesia ha poi
con maggiore accanimento voluti attribuire a tutto il partito anarchico. Nei
momenti di maggiore persecuzione contro gli anarchici è avvenuto che tutti gli
spostati dell’attuale società, e fra
questi molti delinquenti, abbian creduto sul serio che l’anarchia fosse ciò che i giornali borghesi
andavano descrivendo, qualche cosa che si adattava parecchio alle loro abitudini extrasociali ed antisociali. […] E’ questa
propaganda traditrice che spiega come in un certo periodo, specie dal 1889 al
1894, in più di un processo si siano sentiti dei ladri volgari e dei falsari
comuni dichiararsi anarchici, e dare una vernice pseudo-politica ai loro atti. Essi
leggevano che l’anarchia era l’idea dei ladri e degli assassini- e qualcuno di
loro ha detto: “Io sono un ladro, dunque sono un anarchico” [...] Rimase però
qualche cosa in mezzo agli anarchici veri e propri. Qualcuno ha preso
sul serio i sofismi di qualche geniale delinquente ed ha finito per teorizzare
sulla legittimità del furto e del falso in moneta. Altri hanno poi cercato
l’attenuante parlando di “furto per la propaganda”; così s’è avuto il fenomeno
di Pini e di Ravachol,- due sinceri, che
furono un’eccezione, ma che non per questo furono meno vittime dei sofismi,
generati dalla propaganda a rovescio del giornalismo e della calunnia borghese…” ( da Luigi Fabbri “
Influenze borghesi
sull’anarchismo. ” in
Il
Pensiero ( agosto 1906)
Bibliografia: Primo e secondo brano in Luigi Fabbri,
Influenze
borghesi sull’anarchismo. Saggi sulla violenza,
Zero in condotta 1998, pp. 24-25 e p. 36, p. 37, p. 38. e cfr. anche. p. XVI-XVII , dove nell'introduzione a questo scritto di Fabbri, Gaetano Manfredonia ricollega le azioni di Ravachol, Emile Henry e compagni a una "concezione insurrezionale ed operaista che si era lentamente formata all'indomani della sconfitta della Comune di Parigi" e cfr. anche la postfazione di Jules Elysard (op. cit. pp. 71-77) dove, tra l'altro si pone in rilievo l'importante contributo di Fabbri nell' offrirci " la possibilità di riflettere - ancora una volta - sulle caratteristiche principali dell'anarchismo di fronte soprattutto al mito della violenza soffermandosi sulle sue origini borghesi".
Ovviamente non deve, comunque, essere sottovalutato, e certamente non era questa l' intenzione di Luigi Fabbri, il contesto storico e culturale (e quindi oltre alla letteratura, anche tutte le altre espressioni della cultura dominante: arte scienza, economia, religione, ecc.) in cui queste azioni violente si sono propagate. Ed entro quest' ottica, lo stretto legame con le sofferenze e lo sfruttamento a cui la classe operaia era quotidianamente sottoposta durante la cosiddetta " Belle Epoque", appare, a mio parere, in particolare, nelle dichiarazioni fatte durante i processi a loro carico dai cosiddetti " espropriatori individuali " CLEMENT DUVAL (1850-1935 ) E ALEXANDER MARIUS JACOB (1879-1954 )
Ovviamente non deve, comunque, essere sottovalutato, e certamente non era questa l' intenzione di Luigi Fabbri, il contesto storico e culturale (e quindi oltre alla letteratura, anche tutte le altre espressioni della cultura dominante: arte scienza, economia, religione, ecc.) in cui queste azioni violente si sono propagate. Ed entro quest' ottica, lo stretto legame con le sofferenze e lo sfruttamento a cui la classe operaia era quotidianamente sottoposta durante la cosiddetta " Belle Epoque", appare, a mio parere, in particolare, nelle dichiarazioni fatte durante i processi a loro carico dai cosiddetti " espropriatori individuali " CLEMENT DUVAL (1850-1935 ) E ALEXANDER MARIUS JACOB (1879-1954 )
CLEMENT DUVAL, operaio meccanico, a vent’anni, già padre di un bambino, fu
inviato, contro la sua volontà, a combattere nella guerra franco-prussiana. Di
questa esperienza restò sempre in lui un forte odio per la disciplina militare
e per “i patriottici carnai”. Condannato nel 1978 a un anno di prigione per
avere commesso un furto al fine di sfamare la sua famiglia, diventò anarchico
e, uscito dal carcere, entrò a far parte
del gruppo illegalista “ La Panthère des Battignoles”.
Nel 1886 fu arrestato per avere commesso un furto e appiccicato un incendio
nell’abitazione della signora Maddalena Lemaire,
mentre essa era con i suoi parenti in villeggiatura. Al momento dell’arresto
ferì con un coltello il brigadiere
Rossignol. Durante il
processo Duval si
autodifese denunciando le “ turpitudini sociali” (cfr. post su Camille Pissarro) del
sistema capitalistico.. Venne condannato a morte, ma poi la sua pena fu
convertita all’ergastolo nel bagno penale della Guayana , da
dove, dopo 14 anni, riuscì a fuggire e a
raggiungere gli Stati Uniti, Su
sollecitazione di Luigi Galleani, nel 1907 scrisse le
sue “Memorie autobiografiche”. Morì a Brooklin nel
1935.
Brano da commentare: “ .. Ed in voi non accuso voi soli; accuso la società bastarda, matrigna, corrotta in cui l’orgia, l’ozio e la rapina trionfano impunite e venerate sulla miseria e sul dolore disprezzati e derisi. Voi cianciate di furti, voi mi chiamate ladro come se un lavoratore che ha dato alla società trent’anni della sua dolorosa fatica per non avere un pane da sfamarsi, un cencio di cui coprirsi, un canile in cui rifugiarsi, potesse essere un ladro. Voi sapete bene che mentite, voi sapete meglio di me che è furto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che se al mondo vi sono ladri; essi devono essere cercati tra coloro che oziando gavazzano a spese dei miserabili i quali producono tutto, soli. […] E lo sfruttamento dell’uomo non né il più feroce né il più cinico. Vi è quello della donna, verso cui la vostra società civile è ben più spietata che non sia stata la natura. La natura ha fatto della donna un essere cronico che sui 30 giorni del mese ne ha 15 di malessere e di disagio, voi ne avete fatto la carne da profitto, la carne da piacere ….” (dichiarazione di Duval al processo)
Bibliografia: Luigi Galleani, Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001 p. 209, 210, 211
Brano da commentare: “ .. Ed in voi non accuso voi soli; accuso la società bastarda, matrigna, corrotta in cui l’orgia, l’ozio e la rapina trionfano impunite e venerate sulla miseria e sul dolore disprezzati e derisi. Voi cianciate di furti, voi mi chiamate ladro come se un lavoratore che ha dato alla società trent’anni della sua dolorosa fatica per non avere un pane da sfamarsi, un cencio di cui coprirsi, un canile in cui rifugiarsi, potesse essere un ladro. Voi sapete bene che mentite, voi sapete meglio di me che è furto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che se al mondo vi sono ladri; essi devono essere cercati tra coloro che oziando gavazzano a spese dei miserabili i quali producono tutto, soli. […] E lo sfruttamento dell’uomo non né il più feroce né il più cinico. Vi è quello della donna, verso cui la vostra società civile è ben più spietata che non sia stata la natura. La natura ha fatto della donna un essere cronico che sui 30 giorni del mese ne ha 15 di malessere e di disagio, voi ne avete fatto la carne da profitto, la carne da piacere ….” (dichiarazione di Duval al processo)
Bibliografia: Luigi Galleani, Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001 p. 209, 210, 211
ALEXANDER MARIUS JACOB (1879-1954) Capo di una banda di “illegalisti”
chiamata “i lavoratori della notte, che compì centinaia
di furti , da lui definiti “ riprese individuali”. Versava il 10% deil suo
bottino per la propaganda anarchica. L’8
marzo 1915 fu condannato all’ergastolo per “furti aggravati e violenze a un
agente al
momento dell’arresto, , ma fu liberato 20 anni dopo grazie
a una mobilitazione popolare a suo favore. Raccontò le sue avventure in
un libro, pubblicato nel
1948 col titolo Ricordi di mezzo secolo. Morì nel 1954 a Bois-Saint-Denis. E’ stato da molti, sembra tuttavia che si tratti soltanto di una "leggenda", ritenuto la fonte
d’ispirazione per l’ Arsenio Lupin , il famosissimo "ladro
gentiluomo”, personaggio avventuroso dei romanzi di
Maurice Leblanc e poi celebrato anche dal cinema di tutto il mondo.
Brano
da commentare: “.. La società non mi accordava
che tre vie di esistenza: il lavoro, la mendicità, il furto. Il lavoro lungi
dal ripugnarmi mi piaceva. L’uomo non può nemmeno fare a meno di lavorare : i
suoi muscoli, il suo cervello, hanno una somma di energie da dispensare. Quel che mi ha fatto repugnare è sudare sangue e linfa
per l’elemosina di un salario, è creare delle
ricchezze di cui sarei stato depredato. Insomma m’ha fatto ripugnanza darmi
alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento, la negazione di ogni
dignità. “Ogni uomo ha il diritto al banchetto della vita” “Il diritto di vivere non si
mendica, lo si prende” “ Il furto è la restituzione, la ripresa del possesso.
Piuttosto che essere rinchiuso in un’ officina come in un penitenziario,
piuttosto che mendicare ciò cui avevo diritto, ho preferito rivoltarmi e
combattere palmo a palmo i miei nemici
facendo la guerra ai ricchi, attaccando i loro beni… ( dichiarazione di Alexander Marius Jacob durante il
processo alla Corte di Assise della
Somme nel marzo 1905)
Bibliografia:
Bernard Thomas, Jacob Alexandre Marius,
detto Escande, detto Attila,
detto Georges, detto Bonnet,
detto Duro a morire, detto il ladro. Edizioni
Anarchismo 1985 pp. 187-188
In alto da sinistra: JULES BONNOT, OCTAVE GARNIER, RENE' VALET e in basso da sinistra: RAYMOND CALLEMIN, EUGENE DIODONNE', ELIE MONIER, ANDRE' SOUDY |
La
Banda Bonnot (chiamata così dal nome di colui che era ritenuto dalla
polizia e dalla stampa il loro capo, Jules Bonnot o anche "i banditi
tragici"). Fu attiva tra il 1911 e il 1912 e si caratterizzò per essere stata la prima
( o una delle prime) banda a compiere rapine usando le macchine. Tra le
numerose rapine di banche , che in quel breve arco di tempo, furono
attribuite a loro, quelle sicuramente rapinate da loro, furono la
banca " Sociéte Générale in rue Ordent a Parigi e la Banca Siéte Générale de Chantilly, nel quale non ci si fece scrupolo a sparare e ad uccidere chiunque avrebbe potuto ostaccolarli. In questo contesto mi limito a citare solo alcuni componenti della banda e fornire qualche loro breve cenno biografico:
JULES BONNOT (1876-1912)
Non mi soffermo sulle sue imprese criminali assai note, (tra cui , se
la notizia di fonte poliziesca è vera, l’uccisione del suo
compagno Sorrentino, detto Platano, per il dissacordo nato tra di loro per la spartizione del bottino, oppure secondo la versione data dallo stesso Bonnot per evitare che soffrisse essendosi Platano ferito gravemente manipolando la sua browning), ma mi limito ad accennare alla sua morte e a quella
del garagista DUBOIS, che l’ospitava a
Choisy –le -Roy, dopo aver resistito per parecchie ore contro
centinaia di poliziotti e soldati appartenenti alla fanteria coloniale. Fu necessaria la dinamite per sconfiggerlo.
OCTAVE GARNIER (1889- 1912) e
RENE’ VALET ( 1890-1912) che
morirono opponendo, una strenua
e lunga resistenza, arroccati in
un padiglione di Nogent. RAYMON D CALLEMIN, (detto "la Science "(1890-1913) amico d’infanzia e di
adolescenza di Victor Serge, frequentatore di “milieux libres”, tra cui la comune
di Stokel in Belgio, fu
arrestato , condannato a morte e
ghigliottinato insieme a ELIE ANTOINE
MONNIER ,( 1889-1913) detto “Simenoff” , amico di LORULOT
e ANDRE’ SOUDY (1892-1913) . Erano
tutti e tre renitenti alla leva in quanto
antimilitaristi. DIEUDONNE’ EUGENE (1884- 1944). Fu anche egli condannato a morte, nonostante che vi fossero
prove che dimostravano la sua innocenza.
All’ultimo momento , però, la sua pena fu commutata in
lavori forzati a vita. Nel 1926 riuscì ad evadere e si nascose in
Brasile sino a che non ottenne la grazia.
Tornato a Parigi , pubblicò nel
1930 il libro “ La
vie des forçats “. L'
atteggiamento dei sopravissuti alla Banda Bonnot, durante il processo a
cui furono sottoposti , fu , nel complesso beffardo e irriverente nei confronti dell'autorità, ma essenziamente apolitico e non ideologico .
(cfr. brano )
Brano da
commentare: “ …. I giorni seguenti, si
procede agli interrogatori di coloro che sono presentatio come le vere “vedette “
del processo : Dieudonné, Callemin, Monnier e Soudy, accusati di avere
preso parte alle azioni de la Rue Ordener, di Montgeron e di Chantilly. Quelli
che nel pubblico, attendevano una difesa
di rottura e dei bei ritagli (morceaux) di eloquenza come
Emile Henry o, più recentemente Marius Jacob avevano saputo
produrre, non nascondono la loro
delusione. Gli accusati lungi dal
rivendicare con marzialità (
panache) le azioni di cui li si acccusa non ammettono
nulla, e impongono all’accusa la sfida di
fornire le prove materiali della loro colpevolezza. Callemin e Soudy, fedeli ai loro
personaggi, mirano ad essere canzonatori
e lanciano qualche battuta., Elie Monnier resta sobrio e
tranquillo nei suoi dinieghi e Dieudonné, patetico, reclama instancabilmente la sua innocenza
…” (estratto da Anne Steiner, Les en-dehors……)
Bibliografia: in Anne Steiner, Les en-dehors.
Anarchistes individualistes et illégalistes a la “Belle Epoque” , Editions L' èchappée, 2008, p. 156 (traduzione italiana mia) l’
La frequentazione di alcuni dei componenti della banda negli ambienti negli ambienti anarco-individualisti e in più casi anche vecchi rapporti di amicizia fecero sì che anche Victor Serge e Rirette Maitrejean , allora direttori del giornale anarco-individualista " L' Anarchie " furono in qualche modo coinvolti nelle gesta criminose della banda, nonostante essi non condividessero quelle scelte.
Nelle mie intenzioni, la scenetta , qui sopra, tutta inventata, vorrebbe mettere in evidenza come VICTOR (SERGE) KIBALCICH (1890-1947) e la sua compagna RIRETTE MAITREJEAN (1887- 1968) cercassero di dissuadere , senza riuscirci, la banda di Jules Bonnot , René Valet, Raymond "la science", Octave Garnier dalle loro imprese sanguinose in nome dell’anarchia. Durante il processo si cercò, invano, di dimostrare la complicità di Victor Serge con la banda e alla fine fu condannato a cinque anni di carcere esclusivamente per le sue idee anarchiche. Bonnot al volante è vestito, nelle mie intenzioni, come Sherlock Holmes ( ai tempi in cui l’ho fatta ritenevo che fosse stato l’autista di Conan Doyle e volevo rimarcare la relazione tra questo “bandito” e il “ padre” di Sherlock Homes ) . Da quanto invece scrive Marianne Enkell , Des histoires (presques) vraies in Refractions février 1998, egli non è mai stato l’autista di Conan Doyle, ma del suo amico Hanry Ashton, criminologo e scrittore.
La linea politica di difesa di Victor Serge suscitò alcune critiche nei suoi confronti negli ambienti anarchici individualisti parigini in quanto al tempo stesso che chiamava in causa i mali generati dal capitalismo si dissociava nettamente dalle azioni compiute dai suoi coaccusati, il che venne interpretato da alcuni, come un implicito consenso alle norme e ai valori borghesi.
Nelle mie intenzioni, la scenetta , qui sopra, tutta inventata, vorrebbe mettere in evidenza come VICTOR (SERGE) KIBALCICH (1890-1947) e la sua compagna RIRETTE MAITREJEAN (1887- 1968) cercassero di dissuadere , senza riuscirci, la banda di Jules Bonnot , René Valet, Raymond "la science", Octave Garnier dalle loro imprese sanguinose in nome dell’anarchia. Durante il processo si cercò, invano, di dimostrare la complicità di Victor Serge con la banda e alla fine fu condannato a cinque anni di carcere esclusivamente per le sue idee anarchiche. Bonnot al volante è vestito, nelle mie intenzioni, come Sherlock Holmes ( ai tempi in cui l’ho fatta ritenevo che fosse stato l’autista di Conan Doyle e volevo rimarcare la relazione tra questo “bandito” e il “ padre” di Sherlock Homes ) . Da quanto invece scrive Marianne Enkell , Des histoires (presques) vraies in Refractions février 1998, egli non è mai stato l’autista di Conan Doyle, ma del suo amico Hanry Ashton, criminologo e scrittore.
La linea politica di difesa di Victor Serge suscitò alcune critiche nei suoi confronti negli ambienti anarchici individualisti parigini in quanto al tempo stesso che chiamava in causa i mali generati dal capitalismo si dissociava nettamente dalle azioni compiute dai suoi coaccusati, il che venne interpretato da alcuni, come un implicito consenso alle norme e ai valori borghesi.
Brano da commentare: “ L'accusa, volendo montare per l'opinione pubblica un buon romanzo-complotto, mi aveva attribuito la parte dell'ideologo, ma dovette abbandonare questo disegno fin dalla seconda udienza. Avevo creduto di ottenere l'assoluzione, capii che in quell'ambiente l'assoluzione di un giovane russo che si batteva non era possibile nonostante una posizione del tutto chiara, poiché nessuna responsabilità né diretta né indiretta mi incombeva in quei drammi. Io non ero là (processo contro la banda Bonnot) che a causa del mio rifiuto categorico di parlare, cioè di diventare un delatore. Io distruggevo l’accusa sulle accuse specifiche ed era facile; io difendevo la dottrina – libero pensiero, solidarietà, rivolta – e qui era molto più difficile e scontentavo i colpevoli “innocenti” dimostrando che la società fabbrica i crimini e i criminali, le idee disperate, i suicidi, il denaro/veleno…..” ( da “Memorie di un rivoluzionario” di Victor Serge.)
Bibliografia: Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario , e/o tascabili 2012, p. 47Bisogna notare che Victor Serge era perfettamente conscio della difficoltà della situazione in cui si trovava, come mostra una lettera da lui scritta a EMILE ARMAND, in cui cerca di spiegare le motivazioni sul come si sarebbe comportato davanti all’autorità giudiziaria. (cfr. brano)
Brano
da commentare. “… Già in dettagliate lettere precedenti, io ti ho esposto la
nostra difesa, perché sinora io sono stato in perfetta sintonia con Rirette.
Sicuramente, non sarà né il luogo né il momento di parlare contro
l’illegalismo, alle Assisi. Ascolta ( tiens) !
Noi non lo vogliamo . Io non lo voglio affatto: Ma se mi si ritiene solidale con atti che mi ripugnano (ho scritto la parola giusta) occorrerà bene che io mi spieghi. In
questo caso , io lo farò, stanne sicuro, in termini abbastanza chiari perché
non ci si possa servire delle mie parole
contro i coaccusati. Io non avrei preso la pena di pesare ogni mia parola
durante l’istruttoria per timore di coinvolgere qualche disgraziato compagno, per
fornire all’avvocato generale armi
contro di loro. Se d’altra parte ci si volesse servire di un lapsus sempre
possibile, devo dirlo, saprei rettificare. Non è la difesa dei miei interessi
che mi spinge a non volere a nessun prezzo una solidarietà imposta. E’ che io
sono, noi siamo disgustati, addolorati di vedere che dei compagni, compagni , a cui io era affezionato al tempo del loro primo e bell’entusiasmo, abbiano potuto commettere
cose così pietose come il macello di Thiais.
…” (
estratto da una lettera di Victor
Serge
a Emile Armand) .
Bibliografia: in Anne Steiner, Les En-dehors. Anarchistes individualistes et illégalistes a la “Belle Epoque” , l’ èchappée, 2008, p. 156 (traduzione italiana mia)
Il comportamento invece di Rirette Maitrejean durante il processo, ottenne, come si è già detto, l'approvazione degli stessi imputati o (cfr. il post LES MILIEUX LIBRES 2) . Più tardi essa in Souvenirs d'anarchie ricordò quella giornata in tribunale con le seguenti parole :
" Provai a spiegare al tribunale che se l'anarchia insegnava agli uomini il rifiuto della morale convenzionale, tuttavia non le incitava all'omicidio. Ciascuno rimaneva libero di determinarsi secondo la sua coscienza..."
Bibliografia: in Anne Steiner, Les En-dehors. Anarchistes individualistes et illégalistes a la “Belle Epoque” , l’ èchappée, 2008, p. 156 (traduzione italiana mia)
Il comportamento invece di Rirette Maitrejean durante il processo, ottenne, come si è già detto, l'approvazione degli stessi imputati o (cfr. il post LES MILIEUX LIBRES 2) . Più tardi essa in Souvenirs d'anarchie ricordò quella giornata in tribunale con le seguenti parole :
" Provai a spiegare al tribunale che se l'anarchia insegnava agli uomini il rifiuto della morale convenzionale, tuttavia non le incitava all'omicidio. Ciascuno rimaneva libero di determinarsi secondo la sua coscienza..."
Bibliografia: in
http://ita.anarchopedia.org/Rirette_Maitrejean . Mi piacerebbe potere leggere un giorno questa sua frase per
intero … Purtroppo come ho già nel post
su LES MILIEUX LIBRES 2 non ho il libro “ Souvenirs d’ anarchie. “ Sarebbe bello che lo traducessero in italiano.
All’interno del movimento anarchico nacquero, in
Francia, già immediatamente dopo la loro
tragica fine, opinioni nettamente opposte. Nel libro di Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en
France , sono raccolte in sintesi alcune considerazioni apparse su giornali anarchici in cui ci si rifiutava drasticamente di considerarli anarchici. (cfr. brano)
Brano da
commentare: “ Cosa pensare di questi
uomini e del posto che gli si può accordare nella storia del movimento
anarchico ? I compagni furono severi a questo riguardo? I redattori di Temps nouveaux si rifiutarono di
considerarli come degli anarchici. André Girard denunciò l’equivoco in questi termini.: “ E’ possibile che gli aggressori di Caby abbiano professato
o professano opinioni anarchiche, è
possibile che essi pretendano – come d’
altronde , altri in ciò che riguarda per esempio la moneta falsa, il furto con scasso,, ecc. – collegare la
loro azione all’ idea anarchica. Per noi una simile pretesa si poggia su un sofisma, ma noi diciamo , anche, (encore), che al momento in cui
hanno commesso quest’azione essi hanno cessato di essere anarchici. Tali azioni
non hanno nulla d’anarchico, sono delle azioni puramente e semplicemente
borghesi …. La frode, il furto, l’assassinio
borghesi si attuano con il favore
delle leggi borghesi; la frode, il furto , l’assassinio pretesi anarchici si
attuano al di fuori e contro di esse.
Non vi é altra differenza. E se i borghesi, nell’applicazione dei loro
principi di individualismo egoista, sono
dei banditi, i sedicenti anarchici che seguono gli stessi principi
divengono, par se fait , dei borghesi e sono
anche dei banditi. Banditi illegali, forse, ma comunque
banditi e ugualmente borghesi … (
André Girard in Les Temps Nouveaux n. 36, gennaio 1912) Questo giudizio provenendo da un
giornale che da sempre si era levato contro l’illegalismo, non contiene
nulla che possa stupire. Le Libertaire che aveva dato asilo
alla prosa di Libertad e di tutti i padri
spirituali dei Callemin e dei Bonnot , si mostrò più sfumato
nei suoi apprezzamenti. Pur riconoscendo che il movente delle loro azioni –
affrancarsi individualmente – era legittimo nella società attuale, si rifiutava
di approvarlo , perché non costituiva “
un fattore di affrancamento sociale . I sindacalisti di origine anarchica e gli
herveisti non riconobbero di più (davantage) i
banditi come loro compagni. A. Rosmer nella Vie Ouvriére , dichiara che le
loro azioni “ provengono da una mentalità capitalista, che si prefiggeva come scopo l’accumulare denaro e
condurre una vita parassitaria …” Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en
France)
Bibliografia: Jean Maitron, Le mouvement anarchiste en
France, Des origines à
1914, vol. I, tel gallimard, 2007 pp. 435-436
Tra le opinioni invece
contrarie e cioè il dichiarare autentica la matrice anarchica di Jules Bonnot , cito la veemente difesa del suo "anarchismo" da parte di MAURICIUS
( il cui vero nome era Maurice Vandamme) (1886-1974). (cfr.
brano)
Brano da
commentare: “ Bonnot che va con il revolver in pugno a riprendere l’oro dei
borghesi dal portafoglio ( sachoche) della Società
Generale, era anarchico. Bonnot che si fa gioco per dei mesi dell’ autorità, rappresentata
da tutti i Guichards della Sicurezza, era
anarchico. Bonnot che difende la propria
libertà a colpi di browning, era anarchico. Bonnot che muore sulla breccia, faccia a faccia con tutta la genià sociale , solo contro
la sbirraglia ( flicaille ), l’esercito, la magistratura e la folla della gente onesta,
era anarchico. E quando questa vita, questa morte si accompagnano gesta, che
non sarebbero stati respinti da uno spartano, quando Bonnot braccato da un
reggimento, preso di mira da 500 Lebel , la
sua stanberga distrutta dalla dinamite, quando Bonnot ferito, forse morente,
, prende una penna e scrive: Madame Thollon era innocente. Gauzy
anche. Diodonné anche, Petit-Demange anche, Monsieur Thollon anche. Quando un uomo
compie tali atti, egli raggiunge in quell’istante le cime della bellezza morale
“ ( Lionel (pseudonimo di Mauricius) in
Anarchie, 9
maggio, 1912)
Bibliografia: Anne
Steiner, Les En-dehors. Anarchistes Individualistes et Illegalistes
a la “Belle Epoque, Editions L’ Echappée, 2008 p. 150.Cfr. anche
Anne Steiner , Bonnot
Jules in Jean Maitron Les anarchistes. Dictionnaire biographique du mouvement libertaire franchophone, Les Edition de l’ Atelier/Les Editions Ouvriéres, 2014 pp. 139-140
Anche in Italia alcuni gruppi, soprattutto quelli aventi
tendenze antiorganizzatrici e
individualiste, assunsero una posizione, per quanto concerneva in
generale l’illegalismo anarchico e in particolare la cosiddetta “ banda Bonnot” ,assai simile a quella
espressa da Maurizius. Nacque su riviste di
opposta tendenza un dibattito che, per quanto ne so, ebbe come protagonisti principali Giovanni Gavilli ed Enrico
Malatesta. Nel 1913 adistanza di appena un mese l'uno dall' altro apparvero due articoli di Gavilli ( che si firmò nella prima " Il Galeotto" e nella seconda " Il reprobo", apparsi nel n.
1 e nel n. 2 della rivista Gli scamiciati , scritti nell’ aprile
del 1913 ) sull'illegalismo anarchico e con riferimento, pur non menzionandoli, ai fatti tragici del 1912 in Francia ( tra cui quelli aventi come protagonisti l'illegalista anarchico suicida, Lacombe e i membri della "Banda Bonnot" ). Mi limito in questo post a
citare solo alcuni frammenti, che più mi
hanno colpito, di questi due articoli ( cfr. brani)
Brani
da commentare: 1) “ … Che
ingiustizia! Ebbene, codesta ingiustizia è qualche volta la goccia che fa
traboccare il vaso della disperazione in qualcuno degli oppressi che, più
audaci e meno riflessivi, si battono corpo a corpo con i difensori del capitale
o della proprietà privata. Essi non
vedono intorno che nemici, che gente sfruttatrice
ed ingorda, che spoglia e uccide il
prossimo suo, senza badare all’età, al sesso, alla condizione delle sue
vittime, […] e si ribellano seguendo la politica del suicidio : occhio per
occhio dente per dente: uno contro tutti. Ma il cimento è breve, la moltitudine
dei preti, dei padroni, dei semplici e dei vili, è loro addosso e li consegna
al carnefice ed hanno ragione; nessuno attenti all’ordine sociale o si aspetti
la pena dovuta ai trasgressori. Sono questi i banditi, gli eroi della politica
del suicidio …. ( Il Galeotto, La politica del suicidio in Gli
Scamiciati, anno I n. 1 , 15 aprile
1913 ” 2) “
Erano un manipolo di giovani insofferenti di giogo e di miseria; là nella
Babilonia moderna , nella elegante Parigi del nostro
tempo, essi vedevano diguazzare nell’oro e nei piaceri i ladri più audaci, gli
assassini più crudeli; e biechi guardando le annerite officine, i lavoratori
scamiciati e smunti, forse avevano in un
impeto di ira, giurato di fare da soli la rivoluzione sociale, e si diedero
alla caccia delle automobili, ai portafogli e alla pelle di chi, secondo essi,
continuamente viveva di furto e d’omicidio. E solevano dire: “ … Che importa
uccidere un uomo di pugnale o di rivoltella? E’ mille volte più atroce farlo
morire di stenti nelle galere, nelle officine, in risaia o giù nella miniera-
Ce l’hanno insegnato loro, non lo abbiamo inventato noi: la fame caccia il lupo
dal bosco. Chi di ferro uccide, di ferro muoia!” . Ed essi rubarono, uccisero,
in nome della rivoluzione sociale, perché dissero che “ se tutti i bisognosi
facessero così, la rivoluzione trionferebbe presto”. […] La banda tragica è
annientata : padroni e preti possono dormire tranquilli, ma non per sempre:
essi nella loro stoltezza, non si accorgono che la loro stessa morale, la
stessa loro legge suscitano i banditi rossi, la cui semenza è nelle dottrine e
nelle opere dei gaudenti dominatori, più che nel coraggio e nella sapienza dei
ribelli. Guai se gli oppressi si levassero in armi con quel coraggio, con
quell’audacia, guai; sarebbe il finimondo ! …” ( Il reprobo, Cui gladio ferit, gladia perit (chi di ferro uccide, di
ferro muoia in Gli
Scamiciati anno I n. 2, 26 aprile 1913. ).
Bibliografia: G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi, Indesiderabili, 2014 (primo brano )
pp. 7 e 8 e (secondo
brano) pp. 9 e 10
A questo punto, di fronte agli effetti che tali fatti di sangue compiuti in nome dell'anarchia stavano producendo in alcune frange del movimento anarchico, e forse proprio dalla pubblicazione dei due articoli di Gavilli, che però non menziona, Errico
Malatesta espresse la sua opinione contraria certamente autorevole , ma per
quanto mi risulta leggendola, non autoritaria, come d’altronde era da
sempre nel suo carattere e nel suo modo di esprimersi. (cfr. brano)
Brano da commentare: ..” Alcuni individui
hanno rubato, e per rubare hanno ucciso;
ucciso a
caso, senza discernimento, chiunque si trovava ad essere un inciampo tra loro e
il denaro agognato, ucciso degli uomini a loro ignoti, dei proletari vittime
quanto loro e più di loro della cattiva
organizzazione sociale. In fondo niente
di più che volgare: sono i frutti amari
che maturano normalmente sull’albero del privilegio. Quando tutta la
vita sociale è maculata di violenza e di frode, quando chi nasce povero è
condannato ad ogni sorta di sofferenze e di umiliazioni, quando il denaro è
mezzo necessario per conseguire la soddisfazione dei propri bisogni ed il
rispetto della propria personalità, e per tanta gente non è possibile procurarselo
con un lavoro sorgono dei poveri insofferenti
di giogo, i quali s’ispirano alla morale dei signori, e non potendo
rubare il lavoro altrui colla protezione dei gendarmi, e non potendo per rubare, organizzare delle spedizioni militari
o vendere veleni come sostanze alimentari, assassinano direttamente, a colpi di
pugnale e di rivoltella . Ma quei
“banditi” si dicevano anarchici; e ciò ha dato ai loro attentati briganteschi
un’importanza ed un significato simbolico che per sé stessi eran
lungi dall’avere. [...] E d'altra parte molti dei nostri compagni, poiché si parlava di anarchia si sono creduti obbligati a non rinnegare chi anarchico si diceva: molti abbacinati dal pittoresco della faccenda, ammirati del coraggio dei protagonisti, non han più visto che il fatto nudo della ribellione alla legge, dimenticando di esaminare il perché ed il come . [...] Noi
ne conveniamo: tutti siamo egoisti, tutti cerchiamo la nostra soddisfazione. Ma
è anarchico colui che la massima sua
soddisfazione trova nel lottare per il bene di tutti, per la realizzazione di
una società, in cui egli possa trovarsi, fratello tra fratelli, in mezzo a
uomini sani, intelligenti, istruiti, felici. Chi invece può adattarsi,
contento, a vivere tra schiavi e trarre profitto dal lavoro di schiavi, non è,
non può essere anarchico. Vi sono degli individui forti, intelligenti, passionati, con grandi bisogni materiali o intellettuali, che essendo stati
dalla sorte messi tra gli oppressi, vogliono a qualunque costo emanciparsi e
non ripugnano dal diventare oppressori: individui che trovandosi coattati nella società attuale
prendono a disprezzare ed odiare ogni società, e sentendo che sarebbe assurdo
volere vivere fuori della collettività umana, vorrebbero sottoporre al loro
volere, alla soddisfazione delle loro passioni, tutta la società, gli uomini
tutti. Costoro, a volte, quando sanno di letteratura, sogliono chiamarsi
superuomini .
Essi non s’imbarazzano di scrupoli; essi “vogliono vivere la loro vita” ;
irridono alla rivoluzione e ad ogni aspirazione avveniristica, vogliono godere
oggi, a qualunque costo ed a costo di chiunque siasi; essi sacrificherebbero
tutta l’umanità per un’ora (c’è chi ha detto proprio così) di “vita intensa” . Essi sono dei ribelli; ma
non sono anarchici. Essi hanno la mentalità, i sentimenti dei borghesi mancati
e, quando riescono, diventano borghesi di fatto, e non di quelli meno cattivi.
Noi possiamo qualche volta, nelle vicende della lotta, trovarceli a lato; ma
non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo confonderci con loro. Ed essi lo sanno
benissimo. Ma molti di essi amano dirsi anarchici. E’ vero – ed è deplorevole.
Noi non possiamo impedire che uno prenda il nome che vuole, né possiamo d’altra
parte abbandonare noi il nome che compendia le nostre idee e che logicamente e
storicamente ci appartiene. Quel che possiamo fare è di vigilare perché non vi
sia confusione, o ve ne sia il meno possibile”. ..." ( Errico Malatesta , I banditi rossi, ( da Volontà anno n. I, n. 2 del 15 giugno 1913)
Bibliografia in
Errico Malatesta , Scritti scelti, Collana Porro, Edizioni
RL Napoli, a cura di Giovanna Berneri e di Cesare
Zaccaria, 1954 p. 131. Cfr. anche G. Gavilli – E. Malatesta, I banditi rossi, Indesiderabili, 2014 p. 12 ss.
Gavilli rispose a
Malatesta, in un articolo dal medesimo
titolo Banditi rossi, dove, tra
l’altro, a differenza dei suoi due articoli precedenti, rivendicò esplicitamente la qualifica di anarchici
a Bonnot e ai suoi
compagni. (cfr. brano)
Brano da commentare : “ … Oh lo sappiamo,
lo sappiamo, l’anarchico non solo non vuole la violenza ma da essa rifugge per
educazione e per carattere, giacché aspira alla solidarietà umana, alla libertà
e alla felicità per tutti; ma le aspirazioni , ma la vita, sono una cosa, e un’
altra ben diversa è la lotta a cui ci costringe non di rado l’ignobile ambiente
nel quale nostro malgrado viviamo. All’anarchismo si viene per lo studio, per
il sentimento o per la disperazione; e quando non tutte e tre queste cose
concorrono a modellare e a maturare il carattere dell’anarchico, spesso o
diventa una specie di asceta adoratore della propria idea, o un disperato che
si butta allo sbaraglio, gittando nella lotta tutto ciò che gli rimane: la
propria vita, per far tremare i potenti, ricordando loro a quel modo che la
loro possanza vive tutta nella viltà degli oppressi; e per ammonire gli schiavi
dimostrando coi fatti più che con le
parole, quale è la via della vittoria. Noi potremo ingannarci, ma
codesti cavalieri della morte ci paiono rivoluzionari ed anarchici quant’altri
mai; [...] Ed ora noi non riusciamo a comprendere - e qui la colpa sarà tutta nostra - che lo stesso (Malatesta) non riconosca a Bonnot e compagni la qualità di anarchici e di rivoluzionari. Chi quei caduti considera non come gente sospinta a quel genere di battaglia dalla disperazione, o dalla eccessiva tensione nervosa prodotta dalle proprie impazienze non meno che dai propri dolori, non ha davvero il diritto di dirsi anarchico, giacché la legge gli tolse di dosso un tremendo incubo, consegnando al carnefice quei vinti ; ....." (
Il reprobo, in Gli Scamiciati, anno I n. 6, 28 giugno 1913)
Bibliografia: G. Gavilli – E. Malatesta, I
banditi rossi, Indesiderabili, 2014 pp. 22-23
La polemica continuò con
un nuovo articolo di Malatesta ,
pubblicato su Volontà, anno I, n. 8 3 agosto 1913) in cui spiegava in che cosa, secondo lui, consisteva la
differenza tra anarchismo e ribellione e una contro risposta di Gavilli, pubblicata su Gli
Scamiciati, anno I, n.9 , 8 agosto 1913,
che, tra l’altro, contestava
appunto tale distinzione. Dopo di ciò Malatesta decise di troncare tale polemica, divenuta, secondo lui, ormai un vicolo senza uscita e che stava
scadendo irrimediabilmente di livello . ( cfr. brano)
Brano da commentare: " Dovrei una risposta alla risposta che mi han fatto Gli Scamiciati . Ma essi fraintendono e falsano talmente i miei concetti che occorrerebbe mezzo giornale per mettere le cose a posto. E poi si sarebbe da capo. Io vi rinuncio. D'altra parte la risposta è così scortese e velenosa che sarei costretto ad usare un linguaggio a cui io non saprei scendere. Chi volendo discutere con me, crede bene di insultare, può stare sicuro che non avrà risposta. Io ho il fegato sano ed ho cura di non guastarmelo " ( Errico Malatesta, Volontà n. 10 agosto 1913)
Brano da commentare: " Malatesta, usando di un abusato gioco polemico, del quale sogliono abusare con noi gli uomini grandi autoritaristi discutendo di anarchismo, fugge [...] Quella replica egli la chiama scortese, velenosa ed il rispondere ad essa gli pare che debba compromettergli il fegato; noi lo abbiamo insultato; e così offeso, tronca la discussione iniziata da lui e trova comoda la fuga: buon viaggio, [...] fugga pure sdegnoso da noi, così irriducibilmente maleducati; ma pensi che certe fughe riescono alle volte più pericolose della battaglia a cui si vuole sfuggire. ...."
Chiunque conosca la vita e il pensiero di Malatesta non può, credo, seriamente, condividere il giudizio del Gavilli, scritto nella foga di una polemica, che stava assumendo toni sempre più personalistici e che, d' altronde, or era, ormai, destinata a un girare su se stessa senza fine, su una pretesa fuga di Malatesta per mancanza di argomenti con cui ribattere ( cfr. per esempio il suo articolo La base morale dell'anarchismo, , pubblicato sempre su Volontà, il 18 ottobre 1913 ). Piuttosto ritengo importante il sottolineare come piano piano tra questi due “ avversari di taglia” (come li definisce Ugo Fedeli) si fosse passati dal parlare della banda Bonnot allo scontro di due opposte visioni dell’ anarchia che, come faceva notare Ugo Fedeli in una sua biografia su Gavilli, , erano davvero, almeno per quanto riguarda il piano teorico, inconciliabili. (cfr. brano)
Brano da commentare: " Dovrei una risposta alla risposta che mi han fatto Gli Scamiciati . Ma essi fraintendono e falsano talmente i miei concetti che occorrerebbe mezzo giornale per mettere le cose a posto. E poi si sarebbe da capo. Io vi rinuncio. D'altra parte la risposta è così scortese e velenosa che sarei costretto ad usare un linguaggio a cui io non saprei scendere. Chi volendo discutere con me, crede bene di insultare, può stare sicuro che non avrà risposta. Io ho il fegato sano ed ho cura di non guastarmelo " ( Errico Malatesta, Volontà n. 10 agosto 1913)
Bibliografia: G. Gavilli – E. Malatesta, I
banditi rossi, Indesiderabili, Aprile 2014 p. 36
Gavilli interpretò ciò come una
fuga, da qui il suo articolo La fuga di Malatesta pubblicato su Gli
Scamiciati,
anno I, n. 10 , 22 agosto 1913 . (cfr. brano) Brano da commentare: " Malatesta, usando di un abusato gioco polemico, del quale sogliono abusare con noi gli uomini grandi autoritaristi discutendo di anarchismo, fugge [...] Quella replica egli la chiama scortese, velenosa ed il rispondere ad essa gli pare che debba compromettergli il fegato; noi lo abbiamo insultato; e così offeso, tronca la discussione iniziata da lui e trova comoda la fuga: buon viaggio, [...] fugga pure sdegnoso da noi, così irriducibilmente maleducati; ma pensi che certe fughe riescono alle volte più pericolose della battaglia a cui si vuole sfuggire. ...."
Bibliografia: G. Gavilli – E. Malatesta, I
banditi rossi, Indesiderabili, 2014 pp. 36-37
Chiunque conosca la vita e il pensiero di Malatesta non può, credo, seriamente, condividere il giudizio del Gavilli, scritto nella foga di una polemica, che stava assumendo toni sempre più personalistici e che, d' altronde, or era, ormai, destinata a un girare su se stessa senza fine, su una pretesa fuga di Malatesta per mancanza di argomenti con cui ribattere ( cfr. per esempio il suo articolo La base morale dell'anarchismo, , pubblicato sempre su Volontà, il 18 ottobre 1913 ). Piuttosto ritengo importante il sottolineare come piano piano tra questi due “ avversari di taglia” (come li definisce Ugo Fedeli) si fosse passati dal parlare della banda Bonnot allo scontro di due opposte visioni dell’ anarchia che, come faceva notare Ugo Fedeli in una sua biografia su Gavilli, , erano davvero, almeno per quanto riguarda il piano teorico, inconciliabili. (cfr. brano)
Brano da commentare : “… Ormai in lui (Gavilli) si era formata la convinzione della
esistenza nell’anarchismo di due anarchismi, ben differenziati e
inconfondibili, ed uno essere piuttosto un sottoprodotto dell’altro; quello
comunista e quello individualista, e che solo il secondo dovesse essere, più del primo troppo legato
al socialismo legalitario, la più chiara cittadinanza anarchica. [… ] Per la verità il Malatesta fu sempre legato
, ed uno degli ultimi a staccarsene, alla definizione di socialista-anarchico
prima, in seguito con quella di comunista-anarchico. Per lui, il socialismo
vero era sempre quello originale dei tempi della prima Internazionale, di
quando esso era una promessa di civiltà superiore, e quindi per lui di vero
socialismo non vi era che quello
anarchico. […] Così, se uno (Gavilli) affermava esservi due anarchismi, uno spurio e
l’altro integro, l’altro , Malatesta, riteneva esservi due socialismi, e quello
vero, il socialismo anarchico. […]
Dunque, più ed oltre al temperamento, più ed oltre le parole, vi era contrasto
di fondo . …” ( Ugo Fedeli,
Biografia
di Gavilli )
Bibliografia: Ugo
fedeli, Biografie di anarchici. Ciancabilla Damiani Gavilli , Samizdat , 1997 pp. 143-144 e p. 145 e 146
Nota: anche questa volta la distinzione dei caratteri alcuni in grassetto e altri no non è voluta, ma frutto di un errore che ancora non ho capito quale sia, se non che esse sono state inserite in tempi diversi.
Nessun commento:
Posta un commento