ITALO CRISTOFOLI , nome da partigiano, ASO ( 1901-1944).
Muratore, aderì ben presto al movimento anarchico. Renitente alla leva, emigrò in Francia e poi
in Belgio , dove svolse attività anarco-sindacalista. Nel 1930 fu
arrestato e tradotto in Italia dove gli
fu inferta una condanna due anni di prigione
per diserzione. Nel 1933 fu uno
dei principali organizzatori , nel paese dove erano, Prato Carsico, di una
manifestazione antifascista in occasione del funerale dell’ anarchico GIOVANNI CASALI. Arrestato fu condannato per questa sua iniziativa a cinque anni di confino nell’isola di Ponza. Nel 1941 fu nuovamente
rimandato al confino. Nel 1943, dopo l’8
settembre, Cristofoli organizzò, in Carnia,di
organizzare una formazione partigiana libertaria., e, con l’intensificarsi del
conflitto, si unì, per ragioni
soprattutto logistiche, alla divisione comunista “Garibaldi”, dove gli fu
assegnato il ruolo di comandante. Morì
nel luglio 1944 durante un impari assalto al presidio tedesco di Sappada- La sua popolarità e
fama di valoroso combattente fu, tra l’altro ricordata, dal suo compagno di
lotta, il comunista, Osvaldo Fabian “Elio”. Mi sembra
interessante sottolineare come in quel commovente elogio funebre si tenti
comunque di porre in grande evidenza un preteso
progressivo avvicinamento al Partito comunista di Dario Cristofoli, tanto dovette essere
forte l’imbarazzo del Partito ad ammettere che una formazione “garibaldina
“, fosse comandata da un anarchico, in
un territorio, oltrettutto, in cui, come nota Italino Rossi, ( op. cit p.
35) “il contributo degli anarchici” all’
autogoverno della zona libera della
Carnia dal luglio all’ottobre del 1944 “, fu
“determinante per la riuscita dell’esperimento“. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Con il compaesano Aso
(Italo Cristofoli) di Prato Carnico, avevo trascorso l’intera giovinezza,
successivamente avevamo provato assieme l’amarezza della forzata emigrazione in
Francia; avevamo infine sopportato sempre insieme fraternamente con Nembo , le soffertenze del confino fascista nell’isola assolata di ponza. Assieme a lui
i primi nuovi contatti con gli altri antifascisti della Zona, le prime
riunioni, le infinite discussioni, le corse per i boschi e le valli ad
intessere contatti, a diffondere l’idea della lotta e del rinnovamento sociale,
talvolta tra noi accaniti contendenti su
un argomento o sulla impostazione politica di un problema ma sempre poi uniti nel perseguimento dei fini
superiori della lotta per la liberazione della lebbra fascista. Aso
aveva animo generoso, carattere esuberante, grandissimo coraggio, fede
incrollabile nel perseguire le sue e le nostre idee: in passato era stato un
fervente anarchico ma una idea incrollabile l’aveva sempre animato, quella
della lotta al fascismo e quella della redenzione sociale dei popoli e ciò lo
aveva avvicinato a chi questa lotta aveva portato e portava avanti con la
massima decisione, ai comunisti, gli unici che ovunque si battessero a fondo
contro il regime dittatoriale di destra, soffrendo carceri e persecuzioni
ed ora
affrontandolo in una lotta. Ciò lo
aveva alla fine naturalmente ed indissolubilmente legato alla politica del PCI
attraverso la sua convinta accettazione dei criteri unitari della lotta. Il 26
luglio si trovava di stanza ad Ovaro, comandante
del Battaglione Garibaldi “Carnico”
intrepida anche se allora piccola formazione di una cinquantina di uomini
forgiata in tanti combattimenti da lui e dal commissario Nembo. Ebbi la ventura
di essere presenta a Ovaro in
quel giorno e di salutarlo per l’ultima volta proprio quando a metà mattino
partì alla testa del suo battaglione per Sappada che era fuori dalla nostra Zona L, con
l’intento di assalirla e catturare il
presidio tedesco ivi acquartierato che aveva provocato in precedenza
grossi guai al nostro movimento, azione
che aveva anche lo scopo tattico di
tenere in rispetto i tedeschi particolarmente attivi nel Cadorino ed in quel centro che confinava con il nostro schieramento
….” ( Osvaldo Fabian
“Elio, La
morte di Aso” )
Bibliografia: Osvaldo Fabian “Elio, La morte di Aso” in
http://w.w.w.carnialibera1944.it/partigiani/aso.htm
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ILIO BARONI |
ILIO BARONI , nome di
battaglia “Moro delle Ferriere” (1902-1945).
Nato a Massa Marittima nel 1902 si trasferì con la famigli a a <piombino dove aderì
al movimento anarchico e combatté il fascismo negli “ Arditi deil Popolo”. Preso di mira
dal fascismo locale , ormai vittorioso, si trasferì, nel 1925, a Torino dove fu
assunto alla FIAT Ferriere, dove ben
presto fu a campo di una rete clandestina
antifascista e diventò un importante punto di riferimento per gli altri operai e nel quartiere proletario “ Barriera di Milano”. Nel
1936 passò clandestinamente il confine
francese per recarsi in Spagna e
partecipare alla rivoluzione sociale spagnola, ma fu fermato dalla polizia
francese e rispedito in Italia. Ci riprovò un anno dopo, ma giunto in
Francia ebbe notizia di quanto stava
avvenendo in Barcellona durante il maggio 1937 e fu la
dissuaso dai compagni al
proseguire il viaggio e invitato tornare
in Italia per continuare la sua
rinomata, anche all’estero sua attività di propaganda anarchica e antifascista.
Nel dicembre 1937 fu arrestato e
condannato a cinque anni di confino nell’isola di Tremiti. Quando ebbe fine la sua detenzione in quell’isola, la
situazione in Italia era totalmente cambiata e tornato a lavorare nella FIAT
Ferriere fu nominato membro del Comitato
di agitazione e svolgendo
tale incarico contribuì , in gran parte, al successo degli scioperi
operai del 1943. Dopo l’occupazione dei tedeschi di Torino fu tra i primi ad
organizzare la lotta armata e divenne comandante della Settima Brigata SWAP (
Squadre di azione patriottica). La sua
attività di capo partigiano era ben nota
ad alcuni dirigenti della FIAT Ferriere, che al fine di preservare con l’aiuto
dei partigiani e degli operai alle mira di conquiste dei tedeschi, non solo non
lo contrastarono, ma anzi gliene erano assai grati. Come si deduce dalla testimonianza del cognato di Ilio,
ALDO DEMI, volontario nelle Internazionali in Spagna
. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ …. Alle Ferriere c’erano parecchi
antifascisti, tant’è vero che quando nel’35 volevano farci iscrivere al
sindacato fascista noi dicemmo di no. In tutto il reparto laminatoi, dove
lavorava Ilio, vi furono soltanto pochissimi- si contavano sulle dita- che si
iscrissero. C’erano diversi anarchici. Ilio era conosciuto come anarchico: ci
sapeva fare … Alle Ferriere c’erano dentro i tedeschi. Però il direttore era
molto “legato” a mio cognato, perché la FIAT teneva il piede in due staffe.
Erano stati minati i treni e Ilio- non
so se da solo o con altri, li sminò, mettendo a rischio la propria esistenza
perché potevano saltare da un momento all’altro. Ed è per quello che la FIAT in
seguito … erano sicuramente a conoscenza della squadra SAP attiva nelle
Ferriere: uscivano ed entravano dalle Ferriere quando volevano, il dirigente
sapeva tutto …” ( Testimonianza di Aldo Demi )
Bibliografia: Tobia Imperato, Il “Moro” delle Ferriere in Bollettino Archivio G. Pinelli, n. 5- luglio 1995, p. 40
Nell’ultimo giorno
dell’insurrezione, 26 aprile 1945, ILIO BARONI fu ucciso mentre soccorreva un compagno
ferito. Anche in questo caso come per Cristofoli si cercò, elogiandone
l’eroismo, di porre sotto silenzio la
sua militanza anarchica (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Nella biografia di
Baroni, tracciata da un biografo di quarta mano per conto del Comando 7°
Brigata SAP, apprendiamo: “Ilio Baroni…
prese parte attiva al movimento politico e sindacale facente capo ai Partiti
più rivoluzionari (sic, per non dire “Federazione Anarchica Elbano
Maremmana) … lo vediamo nel 1922 appena ventenne reagire , con le squadre
antifasciste in Toscana (sic, per non dire “Arditi del Popolo) contro le
violenze fasciste. Decise di andare a Parigi, ed infatti vi si recò il 15
agosto del 1937 per prendere contatto con gli antifascisti, colà espatriati
(antifascisti per non dire anarchici)…. Egli a capo della sua squadra compì delle azioni che sono state di
una audacia senza pari e di una utilità immensa agli operai ed alla
Nazione ….. “ (relazione del Comando 7°
brigata SAP, Torino)
Bibliografia in Pietro Bianconi, Gli
anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Edizioni Archivio
Famiglia Berneri, Pistoia 1988, pp.
166-167 e Tobia Imperato, Il “Moro” delle Ferriere in Bollettino Archivio G. Pinelli, n. 5- luglio 1995, p. 40
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ATEO GAREMI E DARIO CAGNO |
Tra le prime imprese
audaci compiute dai partigiani a Torino si deve, inoltre, ricordare l’uccisione
di un importante gerarca fascista
compiuta due gappisti : il giovane partigiano ATEO TOMMASO GAREMI ( 1921-1943) e l’anarchico DARIO CAGNO (1899-1943) . DARIO
CAGNO , aveva, nel 1943, già un’esperienza di lotta rivoluzionaria di
lunga data. Sin da quando aveva quattordicianni aveva
vagabondato come marittimo in diversi paesi europei e nord-americani. Costretto
a rimpatriare nel 1918 per il servizio militare, Dario Cagno
disertò, ma, arrestato fu
condannato, a più riprese, per diserzione e furto. Nel 1925 raggiunse
clandestinamente la Francia dove venne a
contatto con diversi esuli anarchici e
socialisti ( tra cui Sandro Pertini e Alceste De Ambris) . Incaricato di
fungere da fungere da collegamento clandestino tra Francia e Italia fu pern questa sua
attività più volte fermato e arrestato
sempre con l’accusa di essere trovato
sprovvisto di passaporto . Appena era
libero riprendeva il suo ruolo di “corriere sovversivo” , espatriando e
rientrando in Italia sempre con nuovi incarichi. Nel 1933 un suo ennesimo
arresto fu aggravato dalla accusa ( non suffragata da prove) di un suo compagno di cella (spia) di essere
giunto in Italia per organizzare un attentato al Duce. Condannato al confino
per tre anni a Ponza, la pena fu poi, prolungata di altri cinque anni. Liberato nel 1942, fu tra primi ad organizzare e a partecipare, a Torino, alla lotta partigiana. Fu fucilato insieme a
Ateo Garemi per l’uccisione del
seniore della milizia fascista Domenico Giardina. Qualcuno sostenne
che il vero obiettivo fosse il fascista
Piero Brandimarte assassino di molti
altri compagni operai torinesi., tra cui
PIETRO FERRERO (cfr. infra
post.. ) .
ATEO GAREMI , aveva da bambino seguito la famiglia in Francia e appena diciasettenne era andato a combattere
con le brigate internazionali in Spagna. All’inizio della lotta partigiana
accorse in Italia e con un gruppo anarco-comunista iniziò a compiere
azioni, che lo resero ben presto assai noto all’interno del movimento
resistenziale torinese, prima ancora di fare parte dei GAP torinesi. Arrestato dopo il riuscito attentato a Giardina fu fucilato,
insieme a Cagno il 22 dicembre 1943. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Ricordo la
prima circolare per la
costituzione dei GAP, i giovani che dovevano lavorare in città. Un giorno è
arrivata la Picolata e mi ha detto : “ “ Guarda che ti porto
giù dei ragazzi”. Tra loro c’era anche Ateo
Garemi,
che è stato il primo gappista torinese. Era un ragazzo bruno,
intelligentissimo. Un ragazzo straordinario, davvero gentilissimo. Mi dice:
“Tè, tienimi la cravatta” Io prendo il pacco. Vengo a casa . Guardo. Era una
rivoltella. L’ho nascosta epoi, quando Ateo è riuscito a sistemarsi in
una casa, gliel’ho portata e lui mi ha detto: “ Ma guarda, è tutta arrugginita!” Eh, ma io non me ne
intendevo di armi, non sapevo che dovevo darci l’olio. Il 24 ottobre , con un
altro, Ateo ha ucciso il seniore Giardina a
Porta Nuova. Il colpo ha fatto impressione: in piena Porta Nuova un gerarca
ucciso! Però lui è stato subito preso, perché
si vede che l’organizzazione era ancora all’inizio, non era ancora forte;
tra gli arrestati forse qualcuno ha parlato. Garemi è stato fucilato.
Un ragazzo proprio meraviglioso. Mi
aveva dato anche una busta con i suoi documenti e qualche cosa mi è rimasta;
l’ho tenuta , per ricordo ….” ( testimonianza di Teresa Cirio , nome di
partigiana, Roberto. Comunista aveva
l’incarico di tenere i collegamenti con la
direzione del PCI a Milano )
Bibliografia: testimonianza di Teresa Cirio in Anna Maria Bruzzone – Rachele Farina, La
resistenza taciuta. 12 vite di partigiane
piemontesi. Prefazione di Anna Bravo,
Bollati Boringhieri 20016 p. 84
E’ da notare come in questa appassionato resoconto
dell’attentato gappista non si fa il nome del complice di Ateo Garemi, che pur doveva
essere noto negli ambienti antifascisti. (si pensi , per esempio,
alle lunghe permanenze in carcere e al confino di Dario Cagno e alla sua conoscenza,
in Francia, di Sandro Pertini e di
tanti altri autorevoli antifascisti). Sarà probabilmente una semplice coincidenza, ma un po’, a mio parere, dà da
pensare il fatto che il non nominare Cagno si riscontra, come
ha notato Pietro Bianconi, , anche in altre versioni dell’attentato, per
esempio in Storia dell’Italia partigiana di Giorgio Bocca :
Brano da commentare: “ “ UN GAPPISTA SCONOSCIUTO”. In una pagina della sua Storia dell’Italia partigiana
Giorgio Bocca narra la nascita del gappismo torinese e scrive : “ Comandava i primi
gappisti Ateo Garemi: giovane, coraggioso, rivoluzionario
dalla nascita, dal nome. Le prime due azioni, quasi contemporanee, sono del 22 novembre: due gappisti in bicicletta aprono il
fuoco sui soldati tedeschi di guardia alla stazione di Porta Nuova, senza
colpirli; pochi minuti dopo esplode con morti e feriti nemici, una bomba
lanciata da Garemi in un locale di Via Nizza. Cadono sotto i
colpi dei gappisti il fascista Vassallo e il seniore della Milizia Domenico Giardina. Giardina è
ucciso il 29ottobre, il 30 Garemi è catturato…” Qui lo scrittore, lo storico non si cura
nemmeno di controllare le “sue “ date: le prime azioni del gappismo torinese,
scrive, sono del 22
novembre, poi avverte che i nazisti catturarono il
giovane Garemi il 30 ottobre … eppure il fascista Giardina fu ucciso il 29 ottobre! Non solo: Giorgio Bocca ed altri
illustri scrittori e storici, mentre giustamente ricordano Ateo Garemi,
omettono il nome dell’anarchico Dario Cagno. Solo Pietro Secchia se ne ricorda
incidentalmente, collocando però il nome di Dario Cagno fra
i comandanti e i commissari comunisti caduti per mano fascista” ( Pietro
Bianconi, Gli
anarchici italiani nella lotta contro il fascismo)
Bibliografia in Pietro Bianconi, Gli
anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Edizioni Archivio
Famiglia Berneri, Pistoia 1988, pp.
164-165
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ATTILIO DIOLAITI- EDERA DE GIOVANNI, EGON BRASS |
ATTILIO DIOLAITI
(1898-1944) . Nato a Baricella , presso Bologna) sin
da giovanissimo, aderì all’anarchismo e fondò, nel 1915, il gruppo EMILIO
COVELLI. Convinto antinterventista quando fu richiamato alle armi nel 1916 disertò. Arrestato
fu condannato a tre anni di prigione. Fu tra gli organizzatori dello sciopero
per il caro-vita a Bologna nel 1919 . Dal 1927
al 1930 fu confinato nell’isola di Lipari. Liberato , gli fu imposta una carta
d’identità con sovra scritto “pericoloso in linea politica. La vigilanza
speciale a cui quotidianamente fu sottoposto non gli impedì un’attività
clandestina a largo raggio. Rappresentò i compagni bolognesi al Congresso
anarchico clandestino di Firenze nel 1943.
Fu tra i primi ad organizzare formazioni partigiane in Emilia-Romagna :
la “Biaconcini” a Imola, la “fratelli
Bandiera” e la “ 7° GAP a Bologna, che
confluì successivamente nella 37ma Brigata “Garibaldi”..Epicentro delle azioni
partigiane attività era il mulino di
Alfredo De Giovanni a Monterenzio. Il 30 marzo 1944, cadde con il suo gruppo in
una trappola ordita dall’infiltrato Remo
Naldi. Nella notte tra il 31
marzo e il 1 aprile 1944 fu fucilato
dietro le mura della Certosa di Bologna, insieme ad altri sei compagni, tra cui la partigiana,
prima donna che subì la pena della fucilazione,
EDERA DE GIOVANNI (1923-1944), figlia del mugnaio di Monterenzio, ed il suo compagno
EGON BRASS ( 1925- 1944) nato in
Slovenia e che prima del suo arrivo in Italia
aveva già partecipato alla resistenza
jugoslava contro i nazi-fascisti. Gli
altri componenti del gruppo, anche essi fucilati , furono ETTORE ZANIBONI
(1908-1944), ENRICO FOSCARDI (1905- 1944), FERDINANDO GRILLINI (o GRILLI)
(1882-1944). (cfr. brano)
Brano da commentare: “ In una lapide ,
apposta sul muro della Certosa di Bologna, è scritto: PERSEGUITATI IN VITA
UNITI NELLA MORTE IL PRIMO APRILE TRUCIDATI DAL PIOMBO FASCISTA QUI CADDERO
FIERI DEL LORO SACRIFICIO ATTILIO DIOLAITI E COMPAGNI. […] Nel settembre
Attilio Diolaiti costituì la SAP di Saravezza. Le azioni di sabotaggio e di guerriglia
compiute da questo gruppo di compagni furono numerose. Iniziarono nel novembre
del ‘43 contro le spogliazioni e le razzie delle autorità fasciste che col
pretesto degli ammassi e della guerra, sequestravano grano , olio e viveri ai
contadini, alla popolazione. La “squadra Diolaiti” attaccò i depositi e i magazzini dei
fascisti e distribuì il grano e gli altri viveri sequestrati alla popolazione.
Seguirono sabotaggi alle linee di comunicazione, attacchi alle caserme
nazifasciste per procurare armi alle formazioni partigiane che andavano
stentatamente organizzandosi sulle colline bolognesi e sull’ Appenino tosco-emiliano. […] Il 29 marzo 1944, a seguito di una delazione,
tutti i componenti del gruppo Diolaiti furono catturati e, dopo due giorni di
sevizie, fucilati al muro della Certosa di Bologna “dalla squadra del bandito
fascista Tartarotti” ( Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani contro il fascismo…)
Bibliografia in Pietro Bianconi, Gli
anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Edizioni Archivio
Famiglia Berneri, Pistoia 1988, pp.
164-165
Anche nel caso di Diolaiti, così come per altri comandanti non comunisti inquadrati
nelle Brigate Garibaldi, dipendenti dal Partito Comunista Italiano si denota
nel riferirne le eroiche imprese a una ostentata superiorità mista ad un forte
senso di imbarazzo e stando, inoltre, bene attenti a non menzionarne la fede politica,
soprattutto se anarchici. Ciò mi sembra confermato dai rapporti
delle brigate “garibaldine” ,
comuniste, sulle attività svolte, durante la resistenza. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ … La ragione
dell’inquadramento nei GAP comunisti di rivoluzionari non appartenenti a quel Partito (“non compagni” dice il rapporto) è così
spiegata: “ Negli uomini che attualmente compongono i nostri GAP riscontriamo
ancora una debolezza fondamentale che è il residuo di un falso sentimentalismo e cioè l’incertezza,
anzi l’avversione per le azioni di espropriazione.” Le azioni compiute dai GAP
in un primo tempo a Imola e Bologna
furono quattro e fra queste l’attentato al ristorante Diana, contro la sede dell’ufficio
cartografico del comando tedesco a Villa Spada era comandata dall’anarchico Diolaiti. “ Così dice il rapporto: “ Questo elemento non è membro del
partito, ha però dimostrato di possedere una delle qualità indispensabili per
un gappista: il coraggio e la decisione. Se questo gappista non avesse avuto in
sommo grado queste qualità, l’azione di Villa Spada non avrebbe avuto luogo”
Naturalmente nel rapporto si tace il nome di queso gappista.” ( Pietro
Bianconi, Gli
anarchici italiani contro il fascismo…)
Bibliografia in Pietro Bianconi, Gli
anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Edizioni Archivio
Famiglia Berneri, Pistoia 1988, p.
147 nota: 11
Edera de Giovanni fu la prima partigiana ad essere fucilata , e mostrò
tutto il suo coraggio durante l’esecuzione, quando guardandoli in faccia gridò “ Tremate. Anche
una ragazza vi fa paura!”. Il suo carattere impetuoso l’aveva già imostrato alcuni anni prima, quando nel gennaio 1943,
in un locale pubblico , disse
a un funzionario fascista, che indossava la camicia nera : “ Queste camicie nere… fra
qualche anno dovranno scomparire.” . Per quella sua previsione subì 15 giorni di carcere. Nella prima immagine di Edera De Giovanni, che ho qui
inserito, il commento offre, a mio parere, definendola “giovane
anticonformista e libera” rispetto alle convenzioni e alla morale dell’epoca, uno
spunto per una riflessione sulla condizione della donna ai tempi della
resistenza italiana contro
il nazifascismo.
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RIBELLE DUE VOLTE |
Una definizione questa che accomunava, per quanto ne so, tutte le giovani donne che parteciparono alla
resistenza e che è stato recentemente ed efficacemente sintetizzato con l'attribuzione alle partigiane della qualifica di "doppie ribelli "(cfr.
brani )
Brani da
commentare: 1) “ Tale partecipazione (femminile) viene
tutt’ al più descritta ed enfatizzata per quelle “mansioni” che sono
generalmente ritenute femminili: l’assistenza infermieristica, la sussistenza
alimentare, la protezione dei fuggiaschi, la solidarietà verso le famiglie e i
figli dei caduti. Tutti compiti sicuramente svolti e affatto secondari, ma
certo in un’ ottica assai diversa da quella di “casalinghe alla macchia” che si
vorrebbe imporre a donne, giovani e meno giovani, che avevano compiuto scelte
radicali. Infatti, a differenza dei coetanei maschi costretti a decidere di
fronte ai bandi di arruolamento forzato della Repubblica di Salò, “ a noi
ragazze nessuno chiedeva niente e se decidemmo fu del tutto autonomamente” Per
questo la definizione di “ribelli due volte” appare pertinente e fondata,
perché non solo si trovavano in conflitto con l’ordine fascista, ma dovevano
liberarsi anche dall’ideologia sessista che il fascismo – maschio per
antonomasia - aveva ulteriormente
rafforzato in una società patriarcale come quella italiana nella quale, anche
per l’ influenza del cattolicesimo, la donna era inchiodata ai ruoli di figlia
sorella, moglie e madre, sempre ben dentro l’assetto familista tradizionale.
Ruoli così oppressivi che gli anni 1924, 1926 e 1928 avevano fatto registrare,
non causalmente, il più alto numero di suicidi femminili dell’Italia
contemporanea. D’ altra parte la rivolta contro il potere dei pregiudizi
sessisti e la conseguente divisione dei ruoli, le donne antifasciste dovettero
sicuramente condurla anche all’interno del movimento resistenziale, proprio tra
gli stessi compagni di lotta e le forze politiche che l’animavano, e di questa
contraddizione3 non mancano le testimonianze relative soprattutto ai momenti in
cui la presenza delle donne nelle formazioni partigiane diventava un fatto
pubblico .[…] è noto che, generalmente, nelle repubbliche partigiane al m
omento di costituire le rispettive strutture di
autogoverno, le donne si videro
precluso il diritto di voto, riconosciuto soltanto ai capifamiglia, e la
possibilità di far parte degli organi democratici, ad eccezione di Gisella Floreanini della Repubblica dell’Ossola. Secondo tale logica discriminante,
è noto come le partigiane delle brigate Garibaldi, a direzione comunista, a
Torino, si videro negato all’indomani della liberazione il diritto di sfilare
armate assieme ai “garibaldini” e alle
donne delle altre formazioni ( Matteotti, Giustizia e Libertà, autonome),
nonostante che avessero avuto ben 99 compagne cadute; mentre a Milano furono
costrette a mettere al braccio una fascia che le qualificava come
“crocerossine”. [….] a dimostrazione di
quanto il Partito comunista “togliattiano” fosse succube del perbenismo borghese e
di come nelle sue formazioni venisse perpetuata la morale legata al modello
patriarcale della famiglia cattolica . Peraltro la cultura maschilista affiora
persino nella retorica delle motivazioni della medaglia d’oro “alla memoria” delle partigiane Livia Bianchi
caduta “ virilmente impugnando le armi” in Valsolda, e Gina Borellini che nel modenese aveva
“impugnato le armi dando frequenti e luminose prove di virile coraggio”. ( Martina Guerrini, Donne contro , ribelli…….) ;
2) “… Poi siamo andati a Torino. Io non ho
potuto partecipare alla sfilata, i compagni non mi hanno lasciata andare .
Nessuna partigiana garibaldina ha sfilato, ma avevano ragione loro. Mi ricordo
che strillavo :” Io vengo a ficcarmi in mezzo a voi, nel bello della
manifestazione: Voglio un po’ vedere se mi sbattete fuori. “ Tu non vieni, se
no ti pigliamo a calci in culo! La gente non sa cos’hai fatto in mezzo a noi, e
noi dobbiamo qualificarci con estrema serietà!” E alla sfilata non ho
partecipato: ero fuori ad applaudire. Ho visto passare il mio comandante, poi
ho visto Mauri, poi tutti i distaccamenti di Mauri con le donne che avevano
insieme. Loro sì che c’erano. Mamma mia, per fortuna non ero andata anch’io! La
genete
diceva che erano delle puttane. Io non ho più nessun pregiudizio adesso, ma
allora ne avevo. Ed i compagni hanno fatto bene a non farci sfilare: hanno
avuto ragione. “ ( testimonianza di Tersiglia Fenoglio Oppedisano ( nome da partigiana :
Trottolina) Staffetta del Comando del
Raggruppamento Garibaldino delle Langhe., aveva l’incarico di tenere in
collegamenti con il CLN di Torino) ; 3) “
Avrei dovuto avere i gradi di tenente o da capitano, alla fine della guerra,
invece non ho neanche fatto la richiesta del riconoscimento partigiano. Un
ragazzo, Petrini, che io avevo messo a lavorare nella Resistenza e a cui avevo
dato il comando militare di rione –
negli ultimi mesi io avevo anche il comando militare del settore, perché
dovevamo organizzare quadri militari, formazioni per il momento
dell’insurrezione -, un giorno mi dice “
Nellia,
hai fatto la domanda per il diploma?” “ No, neanche per sogno” . E allora me la fa lui e mi mette
“ come soldato semplice della sua formazione, l’8° Brigata SAP “ Osvaldo Alasonatti”. E io gli avevo dato il comando. Cesare Bordone, che comandava
tutto il settore, un giorno m’incontra e mi dice: “ Ciau, Tenente!” “ Macché tenente, sun mac partigiana, sono soltanto partigiana”. “ Come! “ “
Lascia stare così, va bene così!” E
conosco tante persone che sono uscite fuori il giorno della liberazione e hanno
la medaglia d’oro! …. “ ( testimonianza di Nelia Benissone Costa
, nome da partigiana :Vittoria.. Comunista dal 1938, è tra gli
organizzatori dei GAP e delle SAP torinesi. Successivamente fu responsabile organizzativa e militare
del I settore del PCI e dei Gruppi di difesa della donna di Torino)
Bibliografia:
Primo brano in Martina Guerrini, Donne contro ribelli, sovversive,
antifasciste,
e prefazione di Mario Rossi, Zero in condotta, 2013 pp. 15-17 ; Secondo e terzo
brano in
Anna Maria Bruzzone – Rachele Farina, La
resistenza taciuta. 12 vite di partigiane piemontesi. Prefazione di Anna Bravo,
Bollati Boringhieri 20016 pp. 172-173 e pp. 59-60
NOTA: Tra gli anarchici, già citati in altri post di questo blog, che parteciparono, con la loro autorevolezza di "vecchi" rivoluzionari, non nel senso anagrafico del termine, alla Resistenza mi limito a citare GIOVANNI DOMASCHI (cfr. post ALFONSO FAILLA, UGO FEDELI .....) ed ENRICO ZAMBONINI ( cfr. post VOLONTARI ITALIANI ANARCHICI IN SPAGNA 2 )
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