giovedì 28 aprile 2011

ANARCHICINI: VILLAGGI COMUNITARI EBRAICI IN PALESTINA : KWUZA ,KIBBUTZ, MOSHAW,

                                                                            
 MARTIN BUBER VECCHIO

  In Sentieri  in  Utopia,  Martin Buber  definisce cosa egli intenda per  "socialismo utopistico"  contrapponendolo, tra l'altro,   a quello statalista e autoritario di Marx, Engels e  Lenin. (cfr. brani da commentare )
Brani da commentare:  "... Victor Hugo ha definito l'utopia "la verità di domani" Quello sforzo dello spirito apparentemente condannato all'anacronismo che si usa chiamare socialismo utopistico prepara forse ( non c'è un corso della storia in sé necessario, indipendente dal potere della decisione umana) la futura struttura della società. [...] Ho messo in rilievo che nel socialismo  “utopistico” è contenuto un elemento di edificazione e progettazione organica che mira a una ristrutturazione della società, una ristrutturazione destinata non a compiersi in un futuro imprecisato, dopo l’”estinzione” dello stato della dittatura proletaria, bensì a cominciare qui ed ora, nelle condizioni qui e ora esistenti. Se  ciò è vero, si deve potere rintracciare una linea di sviluppo di tale elemento. Nella storia del socialismo “utopistico” fanno spicco tre coppie di pensatori attivi , di cui ciascuna è in sé unita, in modo singolare, per  generazione: Saint-Simon e Fourier, Owen e Proudhon, Kropotkin e Landauer.  […] Il passo avanti compiuto da Landauer rispetto a Kropotkin consiste anzitutto in una schietta intuizione dell’essenza dello stato. Lo stato non è come ritiene Kropotkin, un’istituzione che si distrugge con un’azione rivoluzionaria. “ Lo stato è un rapporto, è una relazione fra gli uomini, è un modo in cui gli uomini si comportano fra loro; e lo si distrugge adottando altre relazioni, comportandosi l’uno con l’altro in maniera diversa”. Gli uomini si trovano attualmente fra loro in un rapporto “statale”, cioè in un rapporto che rende necessario l’ordinamento coercitivo dello stato e si estrinseca in esso; dunque tale ordinamento può essere superato soltanto nella misura in cui il tradizionale rapporto fra gli uomini viene sostituito da uno nuovo. […] Abbiamo visto che il fine del socialismo utopistico è quello di sostituire nella più ampia misura possibile lo stato con la società, ma una società “genuina”  che non sia uno stato camuffato. Essa non può essere un aggregato di individui senza coesione interna, perché anche in tal caso sarebbe tenuta insieme soltanto da un principio “politico” di dominio e di coercizione, ma deve organizzarsi in piccole società di vita comunitaria e nei loro raggruppamenti; e le relazioni reciproche, sia fra i membri sia fra le società  e i raggruppamenti, devono essere determinate il più possibile dal principio sociale, quello dell’intima coesione, della cooperazione, del mutuo aiuto a progredire ….” ( Martin Buber, Sentieri in  Utopia )
Bibliografia:  Martin Buber Sentieri in Utopia, Edizioni di Comunità, 1967 ,p. 24,  26, 59, 97

 E fu proprio sotto l’influenza, in particolare, del socialismo  utopistico e comunitario di Piotr Kropotkin e di Gustave Landauer, che Martin Buber  valutò  assai positivamente  l’esperimento antistatalista dei  villaggi comunitari ebraici in Palestina  (kwuzot,  kibbuzim,  moschawim ) in  Palestina  realizzati ben  prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948 (cfr. primo brano)  e che secondo lui , contenevano  potenzialmente  l’idea di “ una nuova  comunità organica, “e cioè di  una “comunità delle comunità”,davvero alternativa a  uno stato centralista e autocratico. . (cfr.  secondo brano)  
Brani da commentare:  1) “…. Nello spirito dei membri delle prime comuni palestinesi motivi ideali si univano a quanto era imposto dall’ora, motivi in cui si mescolavano stranamente  talvolta il ricordo dell’ artel russa , le impressioni suscitate dalla lettura dei cosiddetti socialisti utopisti e la seminconscia eco tardiva degli insegnamenti biblici sulla giustizia sociale. Il fatto decisivo è che questo motivo ideale conservava quasi completamente un carattere sciolto, plastico. C’erano molti sogni, di vario genere, sull’avvenire: si aveva in mente una nuova, più ampia forma di famiglia, ci si sentiva l’avanguardia del movimento operaio, anzi l’immediata realizzazione del socialismo, il prototipo della nuova società, ci si prefiggeva la creazione di un uomo nuovo e di un mondo nuovo come obiettivo. Ma niente di tutto questo si irrigidiva in un programma completo e fisso. Non ci si portava dietro, come dappertutto nella storia delle colonie cooperative, uno schema che i fatti concreti potevano soltanto riempire, ma non modificare; l’ideale generava impulsi   ma non dogmi, incitava, ma non imponeva;  2 )   Già nel suo primo aspetto indifferenziato la kwuza   racchiudeva in sé un impulso alla confederazione, a una fusione delle kwuzot in una superiore unità sociale ; un impulso estremamente importante perché con esso la kwuza mostrava di considerarsi implicitamente , se non esplicitamente, il nucleo di una società ristrutturata. Con la separazione e lo sviluppo di forme diverse, dalla semindividualità, che nell’economia familiare, nell’ordinamento della vita, nell’educazione dei figli, garantiva l’autonomia personale, alla comunistica, è subentrata all’unica unione una serie di riunioni, ognuna delle quali ha dato vita federativamente a una determinata forma d’insediamento, e, con essa , più o meno a un determinato tipo umano, sempre comunque nel rispetto del presupposto che i gruppi locali si unissero fra loro in conformità alla stessa legge dello spirito comunitario e del reciproco aiuto che vigeva all’interno del singolo gruppo. Ma con ciò non è affatto venuta meno la tendenza all’unificazione comprensiva. Essa si manifesta in ogni caso con maggiore forza e chiarezza nel movimento dei kibuzzim, a orientamento collettivistico; vuole riconoscere i kibbuzim territoriali, le unioni in cui sono associati i gruppi locali a seconda del tipo e delle aspirazioni, solo come strutture provvisorie, o, per usare l’espressione di un noto esponente di questo movimento, solo come surrogati di una comune delle comuni. Ma a prescindere dal fatto che singole forme, in particolare quella dei moschawim, le colonie operaie semindividualistiche (che tuttavia non sono seconde a nessun’altra per conduzione economica  solidale e assistenza reciproca), si sono già scostate molto  dalla forma fondamentale, troppo perché si possa includerle nel piano unificatore, anche nel movimento dei kibbuzim le organizzazioni parziali sono d’ostacolo alla tendenza unificatrice che vorrebbe abbracciarle o collegarle in un tutto.   Nel suo gruppo ognuna ha formato e consolidato un suo particolare carattere, ed è naturale che ognuna tenda a raffigurarsi l’unificazione come un’estensione di se stessa. A ciò si è però aggiunto qualcosa che ha enormemente accentuato tale atteggiamento dei gruppi particolari: la politicizzazione .  Vent’anni fa il capo di un grande gruppo poteva ancora affermare con enfasi: “ Noi siamo una comunità, e non un partito.” La situazione è radicalmente cambiata da allora, e le condizioni per l’unificazione sono corrispondentemente diventate molto più difficili. […] L’unificazione sarà presumibilmente creata soltanto da una nuova situazione che la renderà indispensabile. Ma nella storia degli sforzi per un rinnovamento dell’umanità non si dimenticherà quanto gli uomini del villaggio ebraico hanno faticosamente compiuto, concordi ed insieme rivali fra loro, per il sorgere di una  Communitas communitatum, di una società ristrutturata. Ho detto che nello svolgimento di questa temeraria impresa del popolo ebraico vedo  un esemplare non naufragio. Non posso dire: un successo esemplare. Perché essa diventi tale, ci sarà ancora molto da fare.  Ma così, proprio così, con un simile ritmo, con simili rovesci, delusioni e nuove audacie, si compiono gli effettivi mutamenti nel mondo dell’uomo” (Martin Buber, Sentieri in utopia) 
Bibliografia:  Martin Buber Sentieri in Utopia, Edizioni di Comunità, 1967 ,  Primo brano a  p. 155 e il  secondo brano a pp. 159-160. Nota: Per quanto riguarda la distinzione tra "Kwuza" e "kibbutz" , che in questi brani di Martin Buber non è chiara, io ho fatto riferimento,, sino a che qualcuno non mi dica che sbaglio, a quanto afferma Augustin Souchy in Attention  anarchistes! Une vie pour la liberté, Editions  du Monde Libertaire, Graine d’ Ananar, p. 172 p. 168, in cui scrive: " La Kwuza non si occupa che di agricoltura, un kibbutz, d'agricoltura e di industria. I kibbutz e le kwuza sono simili nella loro organizzazione interna." (traduzione italiana mia). Da ora in poi userò generalmente  il termine "kibbutz" anche per intendere la "kwuza".

                                                                             
DAVID AARON GORDON

 L’ ammirazione  di Martin Buber  per il movimento kibbutziano si mosse, per quanto ne so, soltanto sul piano della teoria, al contrario la partecipazione al movimento dei kibbutz fu  vissuta  in prima persona e con grande entusiasmo  dal pioniere (chalutz), AARON DAVID  GORDON (1856-1922) . Nato in Ucraina,  in una famiglia  di origine ebraica  religiosa  e benestante  ,  Gordon lavorò per vent’anni alle dipendenze di un suo ricco parente , Orazio  Günsburg, ricco proprietario terriero e sposò una cugina, Feiga Tartakov da cui ebbe sette figli, di cui  però cinque morirono molto giovani.   Preoccupato dell’antisemitismo crescente  e dei pogrom del 1881 -1882, che furono, come è noto, la causa princpipale della prima " Aliyah " (immigrazione ebraica in Palestina), aderì al movimento sionista socialista, anche se non marxista. Il materialismo storico era da lui considerato un  mero prodotto “dell’economia meccanicizzata e del capitalismo”.  Al marxismo anteponeva invece una fusione di un socialismo agricolo , cooperativo,  libertario e di nazionalismo ebraico, intendendo questo concetto come il primo stadio di un internazionalismo , in cui ogni nazione avrebbe contribuito con il proprio lavoro e la propria spiritualità  alla  creazione di una  nuova umanità  . (cfr. brano)
Brano da commentare:  “ Il socialismo (nota mia: : marxista)  è un prodotto della scienza e della tecnica, da un lato, del regime capitalistico, dall’altro. E’ l’antitesi assoluto del nazionalismo, si basa interamente sulla tecnica e sulla produzione, mentre il nazionalismo si basa sulla vita e sulla creazione. E’ perché il socialismo è chiaro e netto, è lieto dell’analisi in tutti i suoi dettagli. E’ fatto per servirsene, spiega tutto negli affari umani, meravigliosamente adatto alla sua funzione, cioè una macchina.”  […] Non  si tratta di una battaglia tra lavoro e capitale in senso marxista, ma tra popolo e parassiti, tra vita e pigrizia . […] Il lavoro è la forza del popolo, è la vera unità, ciò che crea la sua vita e lo spirito […] è il movimento nazionale, l’interesse più alto da anteporre a quelli concreti e diretti per l’unità del popolo”.  ( Aaron David Gordon, Nazionalismo e socialismo)
Bibliografia:  Vincenzo Pinto, I sionisti, Storia del sionismo attraverso i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 p. 204


Nel 1904 , a 48 anni, quando iniziò la seconda  Aliyah in seguito ai pogrom del 1903-1906)  Gordon, lasciata la famiglia, partì  per la Palestina convinto, tra l’altro,  della necessità, per gli ebrei,  di un rinnovamento spirituale possibile solo  con la ricomposizione del rapporto  fra ebrei e natura, smarrito dopo tanti anni di segregazione nei ghetti cittadini,  attraverso  il “ lavoro”, al tempo stesso manuale ed intellettuale. In Palestina  trovò facilmente lavoro, spostandosi in continuazione, a seconda delle stagioni, da un villaggio a un altro , grazie alla sua esperienza lavorativa agricola alquanto inconsueta per gli ebrei  giunti di recente in Palestina. Al tempo stesso  fondò il partito Hapoel Hatzaïr ( Il giovane lavoratore) e scrisse numerosi saggi, in cui esponeva, con ricchezza di dettagli,  la sua “religione” del lavoro” . (cfr. brani)  .
Brani da commentare: 1) Il popolo ebreo è stato completamente tagliato fuori dalla natura e imprigionato nei muri della città  durante duemila anni. Noi siamo stati abituati a tutte le forme di vita, eccetto che a una vita di  lavoro - un lavoro fatto in nostro nome e nel nostro proprio interesse.  Sarà necessario il  massimo sforzo della volontà di un tale popolo per poter tornare normale. Ci manca il principale ingrediente della vita nazionale . Ci manca l’abitudine del lavoro […] Noi dobbiamo creare un nuovo popolo, un popolo umano  il cui atteggiamento verso gli altri popoli sia  pieno del senso della fratellanza umana “  ( Aaron David Gordon, I nostri compiti del futuro 1920) ; 2) “ Noi “ pionieri” dobbiamo essere i trovatori del sentimento […] dobbiamo concentrare tutte le forze in questo luogo, prendere ispirazione da essa, dalla vita sul suo suolo, dal lavoro “ (Aaron David Gordon, I nostri compiti del futuro 1920); 3)  [Il nostro obiettivo] è quello di fare con le nostre forze tutte quelle cose che servono alla vita, di fare proprio colle nostre mani tutti i lavori, tutti i mestieri, tutte le opere, dalle più  intelligenti, dalle più pulite, dalle più facili, alle più grossolane, alle più umili, alle più difficili, e sentire quello che sente l’operaio che compie tutti quei lavori, di pensare quello che pensa, di vivere quello che vive, secondo la nostra strada. Allora noi avremo una cultura, perché avremo una vita reale ( Aaron David Gordon,  Cultura e lavoro “ ) ;   4)  In Palestina, l’uomo ebreo può dare una svolta al senso e alla realizzazione della sua ebraicità: qui è prima di tutto un uomo e un essere singolo, ha libertà e spazio per vivere, pensare sentire “  ( Aaron David Gordon, Uomo e Popolo ); 5)  " Voi ( chalutzim) siete figli di una generazione che ha sofferto, ma si odono voci di un vostro fallimento [...] ciò può accadere nel vostro lavoro, questo è il principio dei nostri princìpi, è ciò che ci redime [...] noi ne abbiamo fatta una specie di religione [...] Coltivando il suolo, piantando gli alberi, voi diventate simili a aiutanti di Dio nella creazione "; 6)“ Solo se noi faremo del lavoro in  sé e per sé l’ideale; anzi, meglio, soltanto se riscopriremo l’ideale del lavoro, solo allora potremo guarirci dalla malattia da cui siamo affetti e potremo riparare lo hiatus che ci ha separati violentemente dalla natura “ ( Aaron David Gordon, Il lavoro )
Bibliografia. Il primo brano è in https://fr.wikipedia.org/wiki/Aharon_David_Gordon. tutti i seguenti brani si trovano in Vincenzo Pinto, I sionisti, Storia del sionismo attraverso i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 pp.206, 208, 210

La famiglia  lo raggiunse in Palestina, ma , purtroppo, la moglie morì pochi mesi dopo e lui si trasferì nel Kibbutz di Degania , dove morì nel nel 1922.  In quella comunità Gordon fu molto benvoluto e ammirato per il suo “sionismo” socialista antiautoritario, per il suo carisma personale , e anche per il suo contagioso entusiasmo vitalistico per la vita del kibbutz. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Se vi interessa la vita nei kibbutz, o in qualsiasi altra struttura, non consideratela come una sorta di barile in cui le persone devono essere ficcate a viva forza, pigiate come sardine, per poi esserne estratte singolarmente …  Gli esseri umani sono fatti di vita e di movimento, hanno dentro un intero universo. Iniettate questa vita e questo universo nella vostra struttura, poi adattate a forza la struttura a tutti gli aspetti della vita e a ciascun universo. Così la struttura durerà quanto la vita, quanto l’universo stesso” (   Brano di Aaron David Gordon in Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i Kibbutz  1989)
Bibliografia : Brano di Aaron David Gordon in  Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i Kibbutz  in L’Utopia comunitaria, Volontà 3/89) p. 75
Anche dopo la sua morte il ricordo di Gordon sopravvisse  in quella comunità e che come racconta Augustin Souchy,   gli erano stati dedicati vari istituti di ricerca naturalistica .(cfr.brano)
Brano da commentare : “ Degania A, il kibbutz che io visitai, possedeva oltre la sua agricoltura e il suo allevamento bovino, una fabbrica di  legno  compensato. Dopo la morte di Gordon, i suoi ammiratori costruirono la Gordonia, un istituto di ricerche di scienze naturali con la sua biblioteca e un museo di storia naturale, comprendente una collezione di piante e di minerali della regione. Studenti stranieri venivano a passare le loro vacanze  nel kibbutz di Degania, dove partecipavano  alle mietiture. …. “ ( Augustin Souchy Attention anarchiste! Une vie pour la liberté )
Bibliografia:  Augustin Souchy Attention anarchiste! Une vie pour la liberté, Editions  du Monde Libertaire , Graine d’ Ananar, p.172 , che visitò i kibbutz ebraici  in Palestina in due viaggi : il primo nel 1951 e il secondo nel 1962 .

Nonostante alcuni momenti di tensione  con la popolazione araba  Gordon  non venne mai meno alla sua  visione  di di nazionalismo aperto e non conflittuale con le altre nazioni e in particolare con gli arabi. (cfr. brano)
Brano da commentare:  “ Le nostre relazioni con loro (nota mia: gli arabi) devono essere umanissime, anche se dall’altra parte non sono sempre soddisfacenti. Meglio che imparino loro da noi piuttosto che noi da loro. E’ una cosa che meriterebbe di essere discussa nelle nostre assemblee, molto più che non valga di discutere di politica. E’una cosa che ci riguarda in modo immediato. Qui abbiamo davanti a noi da un lato delle questioni concrete, politiche e sociali, e dall’altro abbiamo davanti una gran norma di vita, anzi un gran momento di vita, abbiamo dinanzi  la prima misura, il primo esercizio immediato di una fraterna convivenza di due popoli. Ma anche qui la  cosa principale è daccapo la vita e noi, ciascuno di noi, da noi medesimi. Se noi aspireremo a essere più umani, più vivi, troveremo il giusto rapporto coll’uomo e coi popoli in generale e cogli arabi in particolare” ( Aaron David Gordon, Ebrei e  Arabi)
Bibliografia:  in Vincenzo Pinto, I sionisti, Storia del sionismo attraverso i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 p. 212
                                                                                     
CHALUZIM (Pionieri) DELLA PRIMA GENERAZIONE
Cosi come si è già accennato  , trattando di Gordon,  il primo kibbutz fu quello di Degania e in occasione del centenario del movimento kibbutzistico nel 2011 Corrado Israel De Benedetti ha ricordato la sua formazione e le  sue finalità.  (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Il giorno 28 ottobre 2010 due donne e dieci uomini firmavano il contratto con il dottor Ruppin che dirigeva a Giaffa il dipartimento colonizzazione della Organizzazione sionistica mondiale, per lavorare in comune il terreno comprato a Umm Juni dalla stessa organizzazione. Il dottor Ruppin era un uomo di larghe idee e aveva accettato la proposta senza alcuna condizione. Quel gruppo di giovani, ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni, aveva ben poca esperienza nei lavori agricoli: come altri giovani della loro età avevano partecipato direttamente o indirettamente alla rivoluzione russa fallita nel 1905. Erano stati influenzati dalle teorie del nascente socialismo da una parte, e dal sionismo di Herzl dall’altra, e avevano deciso di salire in Palestina per realizzare il sionismo a mezzo del lavoro agricolo. Quel piccolo gruppo di dieci ragazzi era stato in modo particolare influenzato dalle teorie di A. D. Gordon, per un socialismo basato sul lavoro fisico e la realizzazione del sionismo a mezzo della redenzione del suolo con il lavoro. […] Così si forma Degania, sulle rive del lago Tiberiade e il gruppo fissa due principi basilari sui quali basare il comportamento della comunità.  1) La proprietà dei mezzi di produzione e dei beni mobili e immobili (che verranno solo in futuro!) appartiene alla comunità. 2) Ogni singolo deve dare alla comunità secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri bisogni, nei limiti delle possibilità della comunità stessa. Sulla base di questi due principi nasce il primo kibbutz e a distanza di cento anni possiamo affermare che il primo  principio è tuttora valido nella quasi totalità dei kibbutzim, mentre il secondo specialmente in questi ultimi  trent’anni, si è notevolmente modificato con il passaggio a una privatizzazione più o meno spinta  del fabbisogno del singolo.. …”  ( Relazione di Corrado Israel De Benedetti in occasione del centenario del movimento kibbutzzistico , 2011)
Bibliografia:  Corrado Israel De Benedetti, Il Kibbutz compie cent’anni in  http://www.gli scritti.it/blog/entry/3101 oppure http://www.keshet.it. Cfr. anche Corrado Israel De Benedetti, Quella vita comune alla base di un popolo tratto da Diario di Repubblica, 3 aprile 2004


Quella che è stata l’evoluzione o  l’involuzione del movimento dei kibbutz nel corso di cento anni, pur essendo oltremodo interessante, esula dai fini di questo  blog. Mi soffermo, invece,  brevemente  sul rapporto tra anarchismo e kibbutz. E’ generalmente riconosciuto che l’influenza dell’anarchismo  ( e in particolare della dottrina comunista-anarchica di Piotr Kropotkin e di Gustave Landauer)  sul movimento dei kibbutz abbia raggiunto il suo apice  tra il 1910 al 1925 circa, senza, tuttavia, che tale movimento  abbia mai assunto una identità politica  specificatamente anarchica . Bisogna comunque dire che alcuni elementi fondamentali anarchici ( autogestione,   federalismo, libere assemblee, accettazione volontaria delle decisioni e dei regolamenti  comunitari, proprietà comunitaria dei mezzi della produzione, ecc. )   hanno   continuato  ad essere praticati , all’interno del movimento dei kibbutz,  anche se, spesso, con scarsa consapevolezza  delle loro origini come è stato notato in tempi relativamente recenti, da Giora Manor, membro  del kibbutz Mishmar Ha-Emek  e  critico teatrale  (cfr. primo brano) e  Yaacov Oved , membro del kibbutz Palmachin e storico   (cfr. secondo brano)
Brani da commentare: 1)  Spiegare la vita d’un kibbutz a chi non l’ha vissuta è già una cosa difficile, ma parlarne a ospiti occasionali o addirittura a immigranti dei  Paesi dell’Est dell’area  ex-socialista è quasi impossibile. Non è facile chiarire che l’unica connessione tra kibbutz e  kolchoz è la kappa di entrambi i nomi. L’idea errata che il kibbutz sia un fenomeno socialista o comunista (nel corrente  significato dei termini) è largamente diffusa. L’errore deriva dalla definizione di kibbutz come collettività, cosa che effettivamente è. Ma lì finisce la connessione  con marxismo, socialismo e comunismo. Se si esaminano i principi fondamentali che reggono la vita del kibbutz, non si può non giungere alle conclusioni che le regole basilari e, cosa ancor più importante, la realtà kibbutziana sono basate sul pensiero anarchico e non sul marxismo. […] Storicamente parlando, i fondatori ed i primi teorici del movimento kibbutziano furono influenzati – e consapevolmente – dall’anarchismo. Ma ben presto si ebbe  un forte emergere di tendenze marxiste, fin dal primo stadio di sviluppo dei kibbutz negli anni ‘20, e il conseguente gergo quasi-comunista prese il posto delle idee anarchiche. Il che tuttavia non cambiò la realtà della vita nel kibbutz. Ne risultò un crescente baratro tra la realtà  e l’ideologia espressa negli slogan e nei proclami. […] Fino agli anni ‘50 quasi nessuno si accorse dell’assurdità di esaltare il marxismo mentre si viveva secondo i principi dell’anarchismo […] Diventò fuori moda formulare una qualunque  teoria sui principi basilari del kibbutz in un più ampio quadro ideologico. […] E pertanto, la crisi del kibbutz che ci troviamo oggi di fronte è resa ancor più grave e pericolosa proprio dall’assenza di puntelli teorici di base: un vuoto creato dal disprezzo per i principi anarchici, che vengono applicati nella vita del kibbutz ma non menzionati. E’ dunque importante, ora più che mai, rivedere la teoria anarchica in riferimento ai kibbutz” ( Giora Manor,  La natura anarchica del kibbutz in Kibbutz Trends n. 10, 1993 );  2)  Il movimento kibbutziano non rientra nell’ambito dell’anarchismo e delle sue varie correnti. Diversi suoi elementi cardine, quali il legame integrale con lo Stato ebraico e il sionismo, la quantità dei suoi appartenenti presenti nelle forze di sicurezza e nell’esercito israeliano, nonché le sue attività e il coinvolgimento nei partiti politici, lo distinguono nettamente da un qualsiasi contesto anarchico passato o  presente.  […] Ciononostante, quel che vi è di peculiare nel movimento dei kibbutz è il fatto che in diverse fasi della sua storia hanno fatto la loro comparsa elementi e fonti di ispirazione anarchica, alcune dei quali esistono ancor oggi. […]  Tre incontri nell’ambito di workschop sull’anarchismo e il kibbutz, tenutisi allo Yad Tabenkin nell’inverno 1997-1998, testimoniano la tendenza, in atto nei circoli intellettuali preoccupati dalla superficiaslità del pensiero sociale all’interno del movimento dei kibbutz, a cercare nuove fonti di ispirzione, anche in ambito anarchico. […] In quell’occasione ho presentato una  rassegna storica sui diversi stadi nelle relazioni tra anarchismo e movimento kibbutziano: Primo stadio: fino al 1925. E’ lo stadio iniziale, sperimentale in cui le influenze anarchiche sono prevalenti. Seconda stadio: tra il 1925 e il 1965. E’ lo stadio dell’istituzionalizzazione del movimento, in cui vi è una completa negazione dell’anarchismo. Terzo stadio: a partire dal 1960. E’ lo stadio in cui si osserva una ripresa dei legami con Buber, Landauer  e con l’anarchismo comunitario. […] In tale  contesto bisognerebbe tener presente che nell’odierno movimento kibbutziano vi è un’aspra lotta tra i pragmatisti, che non nutrono più fede nell’ideologia comunitaria, e coloro che continuano a credere nella via cooperativa del kibbutz. Personalmente, ritengo che una società a base comunitaria volontaria priva di ideologia sia destinata a scomparire. Perciò credo sia tanto  probabile quanto necessario approfondire il legame con una ideologia che esalti i vantaggi del modello cooperativo di vita, e in tal modo vi potrà essere una possibilità per l’anarchismo sociale e l’anarco-comunismo” ( Yaacov  Oved,  L’anarchismo nel movimento dei kibbutz)
Bibliografia: Primo brano in Goria Manor, La natura anarchica del kibbutz, in Archivio Pinelli,  Bollettino n. 15, aprile 2000, pp. 19- 20- 21 e secondo brano in Yaacov Oved, L'anarchismo nel movimento dei kibbutz, in L' anarchico e l'ebreo. Storia di un incontro, éleuthera, 2001, pp. 201-210-211-212. Come è noto questo articolo, insieme ad altri, raccolti  in questo libro, nascono " da relazioni e comunicazioni presentate al Convegno Internazionale di Studi, " Anarchici ed ebrei", organizzato dal Centro Studi Libertari/Archivio "G. Pinelli" di Milano in collaborazione con il Centre International de Recherches sur l'anarchisme (CIRA) di Lausanne e con il " Patrocinio di Studi Storici dell'Università di Venezia" tenuto a Venezia tra il 5 e il / maggio 2000.
 
In conclusione ritengo ancora valide , almeno come inizio  per quella riflessione  auspicata sia  da Goria Manor che da Yaacov Oved per la consapevole riaffermazione nei kibbutz  dei principi anarchici originari  quanto Avraham Yassur,  professore di scienze politiche all’Università di Haifa,  aveva affermato nel 1989 nella sua indagine  I Kibbutz analizzano i kibbutz a proposito della democrazia dei kibbutz.

Brano da commentare: “ … La democrazia non è nella natura dell’uomo e non è certo che sia una necessità vitale. Ci sono persone aggressive e persone docili, e tutte hanno bisogno  e meritano di essere educate alla democrazia, ovvero all’assunzione di responsabilità, alla responsabilità diretta, all’assenza (o alla rinuncia) dell’autorità, ai rapporti con il prossimo e all’aiuto reciproco, al considerare ciascun individuo come un mondo speciale (in contrasto con la concezione computerizzata, che sarebbe catastrofica per la vita del kibbutz, secondo la quale  l’individuo non è altro che un numero.) L’ideale è ancora lontano: che possiamo gioire del partecipare e sentire la necessità dei processi decisionali.  […] L’alternativa è ciò che esiste nella società esterna: l’alienazione in un ambiente istituzionalizzato. Io non accetto l’idea oggi molto diffusa, secondo la quale la democrazia sarebbe una competizione tra élite, e la cosa importante sarebbe soltanto garantire un fair play fondato su norme accettate da tutti. La democrazia come mezzo di scambio per raggiungere un compromesso e conservare  l’establishment, questo, per noi del kibbutz, significa soltanto mercanteggiare, ungere. La democrazia che la nostra vita richiede è una democrazia socio-comunitaria (fondata sull’uguaglianza e sulla comunità) cioè necessariamente partecipatoria e diretta. Le decisioni democratiche sono decisioni prese da amici uniti in una comunità, autosufficienti, determinati e liberi di decidere.  Una comunità come questa, cementata dalla cultura e dagli interessi comuni di membri che condividono egualitariamente beni, valori e amicizia, è un kibbutz” ( Avraham Yassur, I kibbutz analizzano i kibbutz )
 Bibliografia :   Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i Kibbutz  in L’Utopia comunitaria, Volontà 3/89
pp. 88-89. 

La  democrazia  diretta e partecipatoria considerata da Avraham Yassour   come  la condizione imprescindibile per un kibbutz, deve tuttavia,  come lui stesso precisa in un altro suo scritto,  collocarsi entro  il modello originario esplicitamente socialista libertario. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ A mio avviso, dovremmo tornare a uno “spirito più anarchico”. Dovremmo limitare  al minimo l’autorità. Dovremmo eliminare ogni gerarchia istituendo la rotazione perenne delle mansioni e così facendo impedire il formarsi della burocrazia. Dovremmo creare un tipo di formazione professionale più varia e informale ( nello spirito di Marx e Fourier), contrapposta all’istruzione specialistica tradizionale. Dovremmo cercare di sacrificare un po’ di efficienza a vantaggio dei nostri ideali. Dovremmo, in altre parole, De-economizzare la nostra vita e la nostra cultura. Questa è la vera base su cui dovrebbe fondarsi l’etica socialista, contrapposta all’etica capitalistica dell’individualismo competitivo e al suo feticcio, la proprietà privata. Per concludere, ricordiamo ciò che disse Gustav Landauer: che tutti coloro che si sono resi conto dell’impossibilità di continuare a vivere da borghesi si uniscano  e lavorino per soddisfare i propri bisogni, secondo un modello di vita basato sulla giustizia e sulla cooperazione reciproca. Chi vuole creare la vita deve “vivere di nuovo, e rinascere interiormente”. Perciò  dipende solo dalla nostra volontà se questa prospettiva potrà divenire realtà e non solo  Utopia” ( Avraham Yassour, Un'utopia imperfetta 2003 )
Bibliografia: Avraham Yassour, Un'utopia imperfetta  in A Rivista Anarchica n. 292, 2003, p.
 

 
 
 
 
 
 
 







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