MARTIN BUBER VECCHIO |
In Sentieri in Utopia, Martin Buber definisce cosa egli intenda per "socialismo utopistico" contrapponendolo, tra l'altro, a quello statalista e autoritario di Marx, Engels e Lenin. (cfr. brani da commentare )
Brani da commentare: "... Victor Hugo ha definito l'utopia "la verità di domani" Quello sforzo dello spirito apparentemente condannato all'anacronismo che si usa chiamare socialismo utopistico prepara forse ( non c'è un corso della storia in sé necessario, indipendente dal potere della decisione umana) la futura struttura della società. [...] Ho messo in rilievo che nel
socialismo “utopistico” è contenuto un
elemento di edificazione e progettazione organica che mira a una
ristrutturazione della società, una ristrutturazione destinata non a compiersi
in un futuro imprecisato, dopo l’”estinzione” dello stato della dittatura
proletaria, bensì a cominciare qui ed ora, nelle condizioni qui e ora
esistenti. Se ciò è vero, si deve potere
rintracciare una linea di sviluppo di tale elemento. Nella storia del
socialismo “utopistico” fanno spicco tre coppie di pensatori attivi , di cui
ciascuna è in sé unita, in modo singolare, per
generazione: Saint-Simon e Fourier, Owen e Proudhon, Kropotkin e Landauer.
[…] Il passo avanti compiuto da Landauer rispetto a Kropotkin consiste anzitutto in
una schietta intuizione dell’essenza dello stato. Lo stato non è come ritiene Kropotkin, un’istituzione che si distrugge con un’azione rivoluzionaria. “
Lo stato è un rapporto, è una relazione fra gli uomini, è un modo in cui gli
uomini si comportano fra loro; e lo si distrugge adottando altre relazioni,
comportandosi l’uno con l’altro in maniera diversa”. Gli uomini si trovano
attualmente fra loro in un rapporto “statale”, cioè in un rapporto che rende
necessario l’ordinamento coercitivo dello stato e si estrinseca in esso; dunque
tale ordinamento può essere superato soltanto nella misura in cui il
tradizionale rapporto fra gli uomini viene sostituito da uno nuovo. […] Abbiamo
visto che il fine del socialismo utopistico è quello di sostituire nella più
ampia misura possibile lo stato con la società, ma una società “genuina” che non sia uno stato camuffato. Essa non può
essere un aggregato di individui senza coesione interna, perché anche in tal
caso sarebbe tenuta insieme soltanto da un principio “politico” di dominio e di
coercizione, ma deve organizzarsi in piccole società di vita comunitaria e nei
loro raggruppamenti; e le relazioni reciproche, sia fra i membri sia fra le
società e i raggruppamenti, devono
essere determinate il più possibile dal principio sociale, quello dell’intima
coesione, della cooperazione, del mutuo aiuto a progredire ….” ( Martin Buber, Sentieri in Utopia )
Bibliografia: Martin
Buber Sentieri
in Utopia,
Edizioni di Comunità, 1967 ,p. 24, 26, 59, 97
E fu proprio sotto l’influenza, in particolare, del socialismo utopistico e comunitario di Piotr Kropotkin e di Gustave Landauer, che Martin Buber valutò assai positivamente l’esperimento antistatalista dei villaggi comunitari ebraici in Palestina (kwuzot, kibbuzim, moschawim ) in Palestina realizzati ben prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948 (cfr. primo brano) e che secondo lui , contenevano potenzialmente l’idea di “ una nuova comunità organica, “e cioè di una “comunità delle comunità”,davvero alternativa a uno stato centralista e autocratico. . (cfr. secondo brano)
Brani da commentare: 1) “….
Nello spirito dei membri delle prime comuni palestinesi motivi ideali si
univano a quanto era imposto dall’ora, motivi in cui si mescolavano
stranamente talvolta il ricordo dell’ artel russa , le impressioni suscitate dalla
lettura dei cosiddetti socialisti utopisti e la seminconscia eco tardiva degli
insegnamenti biblici sulla giustizia sociale. Il fatto decisivo è che questo
motivo ideale conservava quasi completamente un carattere sciolto, plastico.
C’erano molti sogni, di vario genere, sull’avvenire: si aveva in mente una
nuova, più ampia forma di famiglia, ci si sentiva l’avanguardia del movimento
operaio, anzi l’immediata realizzazione del socialismo, il prototipo della
nuova società, ci si prefiggeva la creazione di un uomo nuovo e di un mondo
nuovo come obiettivo. Ma niente di tutto questo si irrigidiva in un programma
completo e fisso. Non ci si portava dietro, come dappertutto nella storia delle
colonie cooperative, uno schema che i fatti concreti potevano soltanto
riempire, ma non modificare; l’ideale generava impulsi ma non dogmi, incitava, ma non imponeva; 2 ) Già
nel suo primo aspetto indifferenziato la kwuza racchiudeva in sé un impulso alla
confederazione, a una fusione delle kwuzot in una superiore unità
sociale ; un impulso estremamente importante perché con esso la kwuza mostrava di considerarsi implicitamente ,
se non esplicitamente, il nucleo di una società ristrutturata. Con la
separazione e lo sviluppo di forme diverse, dalla semindividualità, che nell’economia familiare,
nell’ordinamento della vita, nell’educazione dei figli, garantiva l’autonomia
personale, alla comunistica, è subentrata all’unica unione una serie di
riunioni, ognuna delle quali ha dato vita federativamente a una determinata forma d’insediamento,
e, con essa , più o meno a un determinato tipo umano, sempre comunque nel
rispetto del presupposto che i gruppi locali si unissero fra loro in conformità
alla stessa legge dello spirito comunitario e del reciproco aiuto che vigeva
all’interno del singolo gruppo. Ma con ciò non è affatto venuta meno la
tendenza all’unificazione comprensiva. Essa si manifesta in ogni caso con
maggiore forza e chiarezza nel movimento dei kibuzzim, a
orientamento collettivistico; vuole riconoscere i kibbuzim territoriali, le unioni in cui sono
associati i gruppi locali a seconda del tipo e delle aspirazioni, solo come
strutture provvisorie, o, per usare l’espressione di un noto esponente di
questo movimento, solo come surrogati di una comune delle comuni. Ma a
prescindere dal fatto che singole forme, in particolare quella dei moschawim, le colonie operaie semindividualistiche (che tuttavia non sono seconde a
nessun’altra per conduzione economica
solidale e assistenza reciproca), si sono già scostate molto dalla forma fondamentale, troppo perché si possa
includerle nel piano unificatore, anche nel movimento dei kibbuzim le organizzazioni parziali sono d’ostacolo alla tendenza
unificatrice che vorrebbe abbracciarle o collegarle in un tutto. Nel suo gruppo ognuna ha formato e
consolidato un suo particolare carattere, ed è naturale che ognuna tenda a
raffigurarsi l’unificazione come un’estensione di se stessa. A ciò si è però
aggiunto qualcosa che ha enormemente accentuato tale atteggiamento dei gruppi
particolari: la politicizzazione .
Vent’anni fa il capo di un grande gruppo poteva ancora affermare con
enfasi: “ Noi siamo una comunità, e non un partito.” La situazione è
radicalmente cambiata da allora, e le condizioni per l’unificazione sono
corrispondentemente diventate molto più difficili. […] L’unificazione sarà
presumibilmente creata soltanto da una nuova situazione che la renderà
indispensabile. Ma nella storia degli sforzi per un rinnovamento dell’umanità
non si dimenticherà quanto gli uomini del villaggio ebraico hanno faticosamente
compiuto, concordi ed insieme rivali fra loro, per il sorgere di una Communitas communitatum, di una società ristrutturata. Ho detto
che nello svolgimento di questa temeraria impresa del popolo ebraico vedo un esemplare non naufragio. Non posso dire:
un successo esemplare. Perché essa diventi tale, ci sarà ancora molto da
fare. Ma così, proprio così, con un
simile ritmo, con simili rovesci, delusioni e nuove audacie, si compiono gli
effettivi mutamenti nel mondo dell’uomo” (Martin Buber, Sentieri in utopia)
Bibliografia: Martin
Buber Sentieri
in Utopia,
Edizioni di Comunità, 1967 , Primo brano
a p. 155 e il secondo brano a pp. 159-160. Nota: Per quanto riguarda la distinzione tra "Kwuza" e "kibbutz" , che in questi brani di Martin Buber non è chiara, io ho fatto riferimento,, sino a che qualcuno non mi dica che sbaglio, a quanto afferma Augustin Souchy in Attention anarchistes! Une vie pour la liberté, Editions du Monde Libertaire, Graine d’ Ananar, p. 172 p. 168, in cui scrive: " La Kwuza non si occupa che di agricoltura, un kibbutz, d'agricoltura e di industria. I kibbutz e le kwuza sono simili nella loro organizzazione interna." (traduzione italiana mia). Da ora in poi userò generalmente il termine "kibbutz" anche per intendere la "kwuza".
DAVID AARON GORDON |
L’ ammirazione di Martin Buber per il movimento kibbutziano si mosse, per quanto ne
so, soltanto sul piano della teoria, al contrario la partecipazione al
movimento dei kibbutz fu vissuta in prima persona e con grande entusiasmo dal pioniere (chalutz), AARON DAVID GORDON (1856-1922) . Nato in Ucraina, in una famiglia di origine ebraica religiosa
e benestante , Gordon lavorò per vent’anni alle dipendenze di un suo ricco
parente , Orazio Günsburg, ricco proprietario
terriero e sposò una cugina, Feiga Tartakov da cui ebbe sette
figli, di cui però cinque morirono molto
giovani. Preoccupato dell’antisemitismo
crescente e dei pogrom del 1881 -1882, che furono, come è noto, la causa princpipale della prima " Aliyah " (immigrazione ebraica in Palestina), aderì al
movimento sionista socialista, anche se non
marxista. Il materialismo storico era da lui considerato un mero prodotto “dell’economia meccanicizzata e del
capitalismo”. Al marxismo anteponeva
invece una fusione di un socialismo agricolo , cooperativo, libertario e di nazionalismo ebraico, intendendo questo
concetto come il primo stadio di un
internazionalismo , in cui ogni nazione avrebbe contribuito con il proprio lavoro e la propria
spiritualità alla creazione di una nuova umanità
. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Il socialismo (nota mia: : marxista) è
un prodotto della scienza e della tecnica, da un lato, del regime
capitalistico, dall’altro. E’ l’antitesi assoluto del nazionalismo, si basa
interamente sulla tecnica e sulla produzione, mentre il nazionalismo si basa
sulla vita e sulla creazione. E’ perché il socialismo è chiaro e netto, è lieto
dell’analisi in tutti i suoi dettagli. E’ fatto per servirsene, spiega tutto
negli affari umani, meravigliosamente adatto alla sua funzione, cioè una
macchina.” […] Non si tratta di una battaglia tra lavoro e
capitale in senso marxista, ma tra popolo e parassiti, tra vita e pigrizia .
[…] Il lavoro è la forza del popolo, è la vera unità, ciò che crea la sua vita
e lo spirito […] è il movimento nazionale, l’interesse più alto da anteporre a
quelli concreti e diretti per l’unità del popolo”. ( Aaron David Gordon, Nazionalismo e socialismo)
Bibliografia:
Vincenzo Pinto, I
sionisti, Storia del sionismo attraverso
i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 p. 204
Nel 1904 , a 48 anni, quando iniziò la
seconda Aliyah in seguito ai pogrom del 1903-1906) Gordon, lasciata la famiglia, partì
per la Palestina convinto,
tra l’altro, della necessità, per gli
ebrei, di un rinnovamento spirituale
possibile solo con la ricomposizione del
rapporto fra ebrei e natura, smarrito
dopo tanti anni di segregazione nei ghetti cittadini, attraverso
il “ lavoro”, al tempo stesso manuale ed intellettuale. In
Palestina trovò facilmente lavoro,
spostandosi in continuazione, a seconda delle stagioni, da un villaggio a un altro , grazie alla sua
esperienza lavorativa agricola alquanto inconsueta per gli ebrei giunti di recente in Palestina. Al tempo
stesso fondò il partito Hapoel Hatzaïr ( Il giovane
lavoratore) e scrisse numerosi
saggi, in cui esponeva, con ricchezza di dettagli, la sua “religione” del lavoro” . (cfr.
brani) .
Brani da commentare: 1) Il popolo ebreo è stato completamente
tagliato fuori dalla natura e imprigionato nei muri della città durante duemila anni. Noi siamo stati
abituati a tutte le forme di vita, eccetto che a una vita di lavoro - un lavoro fatto in nostro nome e nel
nostro proprio interesse. Sarà
necessario il massimo sforzo della
volontà di un tale popolo per poter tornare normale. Ci manca il principale
ingrediente della vita nazionale . Ci manca l’abitudine del lavoro […] Noi
dobbiamo creare un nuovo popolo, un popolo umano il cui atteggiamento verso gli altri popoli
sia pieno del senso della fratellanza
umana “ ( Aaron David Gordon, I nostri compiti del
futuro 1920) ; 2) “ Noi “ pionieri”
dobbiamo essere i trovatori del sentimento […] dobbiamo concentrare tutte le
forze in questo luogo, prendere ispirazione da essa, dalla vita sul suo suolo,
dal lavoro “ (Aaron David Gordon, I nostri compiti del futuro 1920); 3) [Il
nostro obiettivo] è quello di fare con le nostre forze tutte quelle cose che
servono alla vita, di fare proprio colle nostre mani tutti i lavori, tutti i
mestieri, tutte le opere, dalle più
intelligenti, dalle più pulite, dalle più facili, alle più grossolane,
alle più umili, alle più difficili, e sentire quello che sente l’operaio che
compie tutti quei lavori, di pensare quello che pensa, di vivere quello che
vive, secondo la nostra strada. Allora noi avremo una cultura, perché avremo
una vita reale ( Aaron David Gordon, Cultura e lavoro “ ) ;
4)
“ In Palestina, l’uomo ebreo può dare
una svolta al senso e alla realizzazione della sua ebraicità: qui è prima di tutto un uomo e un essere singolo, ha libertà e
spazio per vivere, pensare sentire “ (
Aaron David Gordon, Uomo e Popolo ); 5) " Voi ( chalutzim) siete figli di una generazione che ha sofferto, ma si odono voci di un vostro fallimento [...] ciò può accadere nel vostro lavoro, questo è il principio dei nostri princìpi, è ciò che ci redime [...] noi ne abbiamo fatta una specie di religione [...] Coltivando il suolo, piantando gli alberi, voi diventate simili a aiutanti di Dio nella creazione "; 6)“ Solo se noi faremo del lavoro in sé e per sé l’ideale; anzi, meglio, soltanto
se riscopriremo l’ideale del lavoro, solo allora potremo guarirci dalla
malattia da cui siamo affetti e potremo riparare lo hiatus che
ci ha separati violentemente dalla natura “ ( Aaron David
Gordon, Il lavoro )
Bibliografia. Il primo brano è in
https://fr.wikipedia.org/wiki/Aharon_David_Gordon. tutti i seguenti brani si
trovano in
Vincenzo Pinto, I
sionisti, Storia del sionismo attraverso
i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 pp.206, 208, 210
La famiglia lo raggiunse in Palestina, ma , purtroppo, la moglie morì pochi mesi dopo e lui si trasferì nel Kibbutz di Degania , dove morì nel nel 1922. In quella comunità Gordon fu molto benvoluto e ammirato per il suo “sionismo” socialista antiautoritario, per il suo carisma personale , e anche per il suo contagioso entusiasmo vitalistico per la vita del kibbutz. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Se vi interessa la
vita nei kibbutz, o in qualsiasi altra struttura, non consideratela come una
sorta di barile in cui le persone devono essere ficcate a viva forza, pigiate
come sardine, per poi esserne estratte singolarmente … Gli esseri umani sono fatti di vita e di
movimento, hanno dentro un intero universo. Iniettate questa vita e questo
universo nella vostra struttura, poi adattate a forza la struttura a tutti gli
aspetti della vita e a ciascun universo. Così la struttura durerà quanto la
vita, quanto l’universo stesso” (
Brano di Aaron David Gordon in Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i Kibbutz 1989)
Bibliografia : Brano
di Aaron David Gordon in Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i
Kibbutz in
L’Utopia
comunitaria, Volontà 3/89) p. 75
Anche dopo la sua morte
il ricordo di Gordon sopravvisse in quella comunità e che come racconta Augustin Souchy, gli erano stati dedicati vari istituti di ricerca naturalistica .(cfr.brano)
Brano
da commentare
: “ Degania A,
il kibbutz che io visitai, possedeva oltre la sua agricoltura e il suo
allevamento bovino, una fabbrica di
legno compensato. Dopo la morte
di Gordon, i suoi ammiratori costruirono la Gordonia, un istituto di ricerche di scienze
naturali con la sua biblioteca e un museo di storia naturale, comprendente una
collezione di piante e di minerali della regione. Studenti stranieri venivano a
passare le loro vacanze nel kibbutz di Degania,
dove partecipavano alle mietiture. …. “
( Augustin Souchy Attention anarchiste! Une vie pour la liberté )
Bibliografia:
Augustin Souchy Attention anarchiste! Une vie pour la liberté, Editions du Monde Libertaire , Graine d’ Ananar, p.172 , che visitò i kibbutz ebraici in Palestina in due viaggi : il primo nel 1951 e il secondo nel 1962 .
Nonostante alcuni momenti di tensione con la popolazione araba Gordon non venne mai meno alla sua visione di di nazionalismo aperto e non conflittuale con le altre nazioni e in particolare con gli arabi. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Le nostre relazioni con loro (nota mia: gli arabi) devono essere umanissime, anche se
dall’altra parte non sono sempre soddisfacenti. Meglio che imparino loro da noi
piuttosto che noi da loro. E’ una cosa che meriterebbe di essere discussa nelle
nostre assemblee, molto più che non valga di discutere di politica. E’una cosa
che ci riguarda in modo immediato. Qui abbiamo davanti a noi da un lato delle
questioni concrete, politiche e sociali, e dall’altro abbiamo davanti una gran
norma di vita, anzi un gran momento di vita, abbiamo dinanzi la prima misura, il primo esercizio immediato
di una fraterna convivenza di due popoli. Ma anche qui la cosa principale è daccapo la vita e noi,
ciascuno di noi, da noi medesimi. Se noi aspireremo a essere più umani, più
vivi, troveremo il giusto rapporto coll’uomo e coi popoli in generale e cogli
arabi in particolare” ( Aaron David Gordon, Ebrei e Arabi)
Bibliografia:
in Vincenzo Pinto, I
sionisti, Storia del sionismo attraverso i suoi protagonisti, MB Publishing, 2001 p. 212
Cosi come si è già
accennato , trattando di Gordon, il primo
kibbutz fu quello di Degania e in occasione del centenario del movimento
kibbutzistico nel 2011 Corrado Israel De Benedetti ha ricordato la sua
formazione e le sue finalità. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Il giorno 28
ottobre 2010 due donne e dieci uomini firmavano il contratto con il dottor Ruppin che
dirigeva a Giaffa il
dipartimento colonizzazione della Organizzazione sionistica mondiale, per
lavorare in comune il terreno comprato a Umm Juni dalla stessa organizzazione. Il dottor Ruppin era
un uomo di larghe idee e aveva accettato la proposta senza alcuna condizione.
Quel gruppo di giovani, ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni, aveva ben
poca esperienza nei lavori agricoli: come altri giovani della loro età avevano
partecipato direttamente o indirettamente alla rivoluzione russa fallita nel
1905. Erano stati influenzati dalle teorie del nascente socialismo da una
parte, e dal sionismo di Herzl dall’altra, e avevano deciso di salire in
Palestina per realizzare il sionismo a mezzo del lavoro agricolo. Quel piccolo
gruppo di dieci ragazzi era stato in modo particolare influenzato dalle teorie
di A. D. Gordon, per un socialismo basato sul lavoro fisico e la realizzazione
del sionismo a mezzo della redenzione del suolo con il lavoro. […] Così si
forma Degania,
sulle rive del lago Tiberiade e il gruppo fissa due principi basilari sui quali
basare il comportamento della comunità.
1) La proprietà dei mezzi di produzione e dei beni mobili e immobili
(che verranno solo in futuro!) appartiene alla comunità. 2) Ogni singolo deve
dare alla comunità secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri
bisogni, nei limiti delle possibilità della comunità stessa. Sulla base di
questi due principi nasce il primo kibbutz e a distanza di cento anni possiamo
affermare che il primo principio è
tuttora valido nella quasi totalità dei kibbutzim, mentre il secondo specialmente in questi
ultimi trent’anni, si è notevolmente
modificato con il passaggio a una privatizzazione più o meno spinta del fabbisogno del singolo.. …” ( Relazione di Corrado Israel De Benedetti in occasione del centenario del
movimento kibbutzzistico ,
2011)
Bibliografia: Corrado Israel De Benedetti, Il Kibbutz compie
cent’anni in http://www.gli scritti.it/blog/entry/3101 oppure http://www.keshet.it. Cfr. anche Corrado Israel De Benedetti, Quella vita comune alla base di un popolo tratto da Diario di Repubblica, 3 aprile 2004
Quella che è stata l’evoluzione o l’involuzione del movimento dei kibbutz nel corso di cento anni, pur essendo oltremodo interessante, esula dai fini di questo blog. Mi soffermo, invece, brevemente sul rapporto tra anarchismo e kibbutz. E’ generalmente riconosciuto che l’influenza dell’anarchismo ( e in particolare della dottrina comunista-anarchica di Piotr Kropotkin e di Gustave Landauer) sul movimento dei kibbutz abbia raggiunto il suo apice tra il 1910 al 1925 circa, senza, tuttavia, che tale movimento abbia mai assunto una identità politica specificatamente anarchica . Bisogna comunque dire che alcuni elementi fondamentali anarchici ( autogestione, federalismo, libere assemblee, accettazione volontaria delle decisioni e dei regolamenti comunitari, proprietà comunitaria dei mezzi della produzione, ecc. ) hanno continuato ad essere praticati , all’interno del movimento dei kibbutz, anche se, spesso, con scarsa consapevolezza delle loro origini come è stato notato in tempi relativamente recenti, da Giora Manor, membro del kibbutz Mishmar Ha-Emek e critico teatrale (cfr. primo brano) e Yaacov Oved , membro del kibbutz Palmachin e storico (cfr. secondo brano)
Brani da commentare: 1) Spiegare la vita d’un kibbutz a chi non l’ha
vissuta è già una cosa difficile, ma parlarne a ospiti occasionali o
addirittura a immigranti dei Paesi
dell’Est dell’area ex-socialista è quasi
impossibile. Non è facile chiarire che l’unica connessione tra kibbutz e kolchoz è la kappa di entrambi i nomi. L’idea
errata che il kibbutz sia un fenomeno socialista o comunista (nel corrente significato dei termini) è largamente diffusa. L’errore deriva dalla definizione di kibbutz come collettività,
cosa che effettivamente è. Ma lì finisce la connessione con marxismo, socialismo e comunismo. Se si
esaminano i principi fondamentali che reggono la vita del kibbutz, non si può
non giungere alle conclusioni che le regole basilari e, cosa ancor più
importante, la realtà kibbutziana sono basate sul pensiero anarchico e non
sul marxismo. […] Storicamente parlando, i fondatori ed i primi teorici del
movimento kibbutziano furono influenzati – e consapevolmente – dall’anarchismo. Ma ben
presto si ebbe un forte emergere di
tendenze marxiste, fin dal primo stadio di sviluppo dei kibbutz negli anni ‘20,
e il conseguente gergo quasi-comunista prese il posto delle idee anarchiche. Il
che tuttavia non cambiò la realtà della vita nel kibbutz. Ne risultò un
crescente baratro tra la realtà e
l’ideologia espressa negli slogan e nei proclami. […] Fino agli anni ‘50 quasi
nessuno si accorse dell’assurdità di esaltare il marxismo mentre si viveva
secondo i principi dell’anarchismo […] Diventò fuori moda formulare una
qualunque teoria sui principi basilari
del kibbutz in un più ampio quadro ideologico. […] E pertanto, la crisi del
kibbutz che ci troviamo oggi di fronte è resa ancor più grave e pericolosa
proprio dall’assenza di puntelli teorici di base: un vuoto creato dal disprezzo
per i principi anarchici, che vengono applicati nella vita del kibbutz ma non
menzionati. E’ dunque importante, ora più che mai, rivedere la teoria anarchica
in riferimento ai kibbutz” ( Giora Manor, La natura anarchica del
kibbutz in Kibbutz Trends n. 10, 1993 ); 2)“ Il movimento kibbutziano non rientra nell’ambito
dell’anarchismo e delle sue varie correnti. Diversi suoi elementi cardine,
quali il legame integrale con lo Stato ebraico e il sionismo, la quantità dei
suoi appartenenti presenti nelle forze di sicurezza e nell’esercito israeliano,
nonché le sue attività e il coinvolgimento nei partiti politici, lo distinguono
nettamente da un qualsiasi contesto anarchico passato o presente.
[…] Ciononostante, quel che vi è di peculiare nel movimento dei kibbutz
è il fatto che in diverse fasi della sua storia hanno fatto la loro comparsa
elementi e fonti di ispirazione anarchica, alcune dei quali esistono ancor
oggi. […] Tre incontri nell’ambito di workschop sull’anarchismo e il kibbutz, tenutisi allo Yad Tabenkin nell’inverno 1997-1998, testimoniano la
tendenza, in atto nei circoli intellettuali preoccupati dalla superficiaslità del pensiero sociale all’interno del
movimento dei kibbutz, a cercare nuove fonti di ispirzione, anche in ambito
anarchico. […] In quell’occasione ho presentato una rassegna storica sui diversi stadi nelle
relazioni tra anarchismo e movimento kibbutziano: Primo stadio: fino al 1925. E’ lo stadio
iniziale, sperimentale in cui le influenze anarchiche sono prevalenti. Seconda
stadio: tra il 1925 e il 1965. E’ lo stadio dell’istituzionalizzazione del
movimento, in cui vi è una completa negazione dell’anarchismo. Terzo stadio: a
partire dal 1960. E’ lo stadio in cui si osserva una ripresa dei legami con Buber, Landauer e con l’anarchismo
comunitario. […] In tale contesto
bisognerebbe tener presente che nell’odierno movimento kibbutziano vi è un’aspra lotta tra i pragmatisti, che non nutrono più fede
nell’ideologia comunitaria, e coloro che continuano a credere nella via
cooperativa del kibbutz. Personalmente, ritengo che una società a base
comunitaria volontaria priva di ideologia sia destinata a scomparire. Perciò
credo sia tanto probabile quanto
necessario approfondire il legame con una ideologia che esalti i vantaggi del
modello cooperativo di vita, e in tal modo vi potrà essere una possibilità per
l’anarchismo sociale e l’anarco-comunismo” ( Yaacov Oved, L’anarchismo nel movimento dei kibbutz)
Bibliografia: Primo brano in Goria Manor, La natura anarchica del kibbutz, in Archivio Pinelli, Bollettino n. 15, aprile 2000, pp. 19- 20- 21 e secondo brano in Yaacov Oved, L'anarchismo nel movimento dei kibbutz, in L' anarchico e l'ebreo. Storia di un incontro, éleuthera, 2001, pp. 201-210-211-212. Come è noto questo articolo, insieme ad altri, raccolti in questo libro, nascono " da relazioni e comunicazioni presentate al Convegno Internazionale di Studi, " Anarchici ed ebrei", organizzato dal Centro Studi Libertari/Archivio "G. Pinelli" di Milano in collaborazione con il Centre International de Recherches sur l'anarchisme (CIRA) di Lausanne e con il " Patrocinio di Studi Storici dell'Università di Venezia" tenuto a Venezia tra il 5 e il / maggio 2000.
In conclusione ritengo
ancora valide , almeno come inizio per
quella riflessione auspicata sia da Goria Manor che
da Yaacov Oved per la consapevole riaffermazione nei kibbutz dei
principi anarchici originari quanto Avraham Yassur, professore di scienze politiche
all’Università di Haifa, aveva affermato nel 1989 nella sua indagine I Kibbutz analizzano i kibbutz a proposito della
democrazia dei kibbutz.
Brano da commentare: “ … La democrazia non
è nella natura dell’uomo e non è certo che sia una necessità vitale. Ci sono
persone aggressive e persone docili, e tutte hanno bisogno e meritano di essere educate alla democrazia,
ovvero all’assunzione di responsabilità, alla responsabilità diretta,
all’assenza (o alla rinuncia) dell’autorità, ai rapporti con il prossimo e
all’aiuto reciproco, al considerare ciascun individuo come un mondo speciale
(in contrasto con la concezione computerizzata, che sarebbe catastrofica per la
vita del kibbutz, secondo la quale
l’individuo non è altro che un numero.) L’ideale è ancora lontano: che
possiamo gioire del partecipare e sentire la necessità dei processi
decisionali. […] L’alternativa è ciò che
esiste nella società esterna: l’alienazione in un ambiente istituzionalizzato.
Io non accetto l’idea oggi molto diffusa, secondo la quale la democrazia sarebbe
una competizione tra élite, e la cosa importante sarebbe soltanto garantire un
fair play fondato su norme accettate da tutti. La democrazia come mezzo di
scambio per raggiungere un compromesso e conservare l’establishment, questo, per noi del kibbutz,
significa soltanto mercanteggiare, ungere. La democrazia che la nostra vita
richiede è una democrazia socio-comunitaria (fondata sull’uguaglianza e sulla
comunità) cioè necessariamente partecipatoria e diretta. Le decisioni
democratiche sono decisioni prese da amici uniti in una comunità,
autosufficienti, determinati e liberi di decidere. Una comunità come questa, cementata dalla
cultura e dagli interessi comuni di membri che condividono egualitariamente beni, valori e amicizia, è un kibbutz” ( Avraham Yassur, I kibbutz analizzano i
kibbutz )
Bibliografia : Auraham Yassur, I Kibbutz analizzano i
Kibbutz in
L’Utopia
comunitaria, Volontà 3/89pp. 88-89.
La democrazia
diretta e partecipatoria considerata da Avraham Yassour come
la condizione imprescindibile per un kibbutz, deve tuttavia, come lui stesso precisa in un altro suo
scritto, collocarsi entro il modello originario esplicitamente
socialista libertario. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ A mio avviso,
dovremmo tornare a uno “spirito più anarchico”. Dovremmo limitare al minimo l’autorità. Dovremmo eliminare ogni
gerarchia istituendo la rotazione perenne delle mansioni e così facendo
impedire il formarsi della burocrazia. Dovremmo creare un tipo di formazione
professionale più varia e informale ( nello spirito di Marx e
Fourier), contrapposta all’istruzione specialistica tradizionale. Dovremmo
cercare di sacrificare un po’ di efficienza a vantaggio dei nostri ideali.
Dovremmo, in altre parole, De-economizzare la nostra vita e la nostra cultura.
Questa è la vera base su cui dovrebbe fondarsi l’etica socialista, contrapposta
all’etica capitalistica dell’individualismo competitivo e al suo feticcio, la
proprietà privata. Per concludere, ricordiamo ciò che disse Gustav Landauer: che tutti coloro che si sono resi conto dell’impossibilità di
continuare a vivere da borghesi si uniscano
e lavorino per soddisfare i propri bisogni, secondo un modello di vita
basato sulla giustizia e sulla cooperazione reciproca. Chi vuole creare la vita
deve “vivere di nuovo, e rinascere interiormente”. Perciò dipende solo dalla nostra volontà se questa
prospettiva potrà divenire realtà e non solo
Utopia” ( Avraham Yassour, Un'utopia imperfetta 2003 )
Bibliografia: Avraham Yassour, Un'utopia
imperfetta
in A Rivista Anarchica n. 292, 2003, p.
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