giovedì 28 aprile 2011

ANARCHICINI: ANARCHICI/E A MILANO: LUIGI MOLINARI (1866-1918), L’UNIVERSITA’ POPOLARE (1901-1918) , ETTORE MOLINARI ( 1867-1926), NELLA GIACOMELLI (1873-1949) LEDA RAFANELLI (1880-1971)GIUSEPPE MONNANNI ( 1887-1952), CARLO MOLASCHI (1886-1953)

LUIGI MOLINARI (1886-1918) Avvocato ,  anarchico educazionista, fondatore di riviste e giornali ,  e  suadente divulgarizzatore di opere scientifiche . Noto, tra l'altro, come "il più colto degli anarchici", fondò nel 1893 a Mantova il giornale anarchico  La Favilla  che svolse un ruolo importante in un’ epoca in cui eccidi popolari da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito raggiunsero l’apice. In quel clima di forte tensione , Luigi Molinari  per avere tenuto nel  dicembre 1893 un giro di conferenze nella Lunigiana,  prima  dei   disordini del 1894 ( cfr. post LOTTE OPERAIE FINE SECOLO XIX E  INIZIO SECOLO XX) fu condannato dal Tribunale di guerra di Massa Carrara a 23 anni di reclusione. Amnistiato nel 1900 fondò a Mantova , influenzato dal nascente fenomeno  in Europa e in America delle Università Popolari e, in particolare , dai positivi  risultati della  “Escuela Moderna “ fondata in Spagna da FRANCISCO FERRER ,   la rivista quindicinale  Università popolare , che già dal primo numero dichiarava le finalità che con  essa ci si proponeva. (cfr. brano)
Brano da commentare: ”   “Fra i miei ricordi giovanili più graditi  sta quello di una conferenza tenuta in una  frazione dello storico Comune di San Benedetto  Po . Il mio pubblico composto di contadini e portolani (lavoratori addetti al trasbordo primitivo che congiungeva le due rive del Po) ascoltava trasognato, meravigliato di sentire per la prima volta la storia di popoli sconosciuti […] Quanta gratitudine e quanto amore io scorsi nello sguardo affettuoso di quei poveri lavoratori e quanto mi fu cara la stretta di mano colla quale mi salutarono al momento della partenza. ! Più tardi, sempre nella buona e avversa  fortuna ricordai quella dolce emozione e, convinto che nel nostro popolo esistesse latente il desiderio di apprendere, cercai in ogni modo di compiere il dovere impostomi dal vincolo dell’umana solidarietà. Ed oggi credo mi si presenti l’occasione favorevolissima. Una legione di volenterosi sente, come io sento, il dovere della solidarietà che a voi lavoratori ci lega, ed una crociata si sta intraprendendo perché la verità scientifica penetri anche nelle menti vostre . In quasi tutte le città d’Italia sorgono come se una segreta parola d’ordine fosse corsa, degli Istituti  Popolari coll’unico scopo di diffondere fra la classe lavoratrice l’istruzione e la scienza […] A questi volenterosi io mi associo e […] aggiungo modestamente la mia fatica di semplice coordinatore e distributore, nell’intento di fare arrivare ai lavoratori, puranco della città, impossibilitati a frequentare i corsi popolari, la voce  consolatrice e redentrice della scienza e della verità … “ ( Luigi Molinari,  L’Università Popolare febbraio 1901)

Bibliografia : Learco  Zanardi, Luigi Molinari. La parola- L’azione – Il pensiero,  Editoriale  Sometti, 2003  p. 78 e p. 43 nota n.  34

LUIGI MOLINARI VECCHIO
Dal 1906  Luigi Molinari si trasferì a Milano e attorno a lui e alla rivista , Università popolare , che intanto era divenuta un importante punto di riferimento per le Università popolari diffuse in Europa e per quelle italiane ( Torino, Roma, Venezia, Milano e tante altre) si formò un attivo gruppo di giovani anarchici tra cui Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi.  Dopo l’ assassinio, per volontà dell’ aristocrazia, del clero e dell’esercito spagnolo,  di Francisco Ferrer  crebbe sempre più in Luigi Molinari il progetto di fondare, dopo avere contribuito alla nascita e allo sviluppo della Scuoma Moderna di Clivio,  una Scuola Moderna a Milano. Tale progetto stava infine per realizzarsi quando poi l’ intervento  dell’Italia lo interruppe bruscamente. (cfr. brano)
Brano da commentare.: “ In Italia una prima scuola sorse in un piccolo paese, Clivio, a quei tempi in provincia di Como .  Per far sorgere la Scuola Moderna a Milano , Molinari spese tutte le sue energie , lottò per più di cinque anni  e soltanto la guerra prima e la sua morte poi fermarono questo impegno.  della costruenda  scuola furono gettate le fondamenta di un vasto edificio nei pressi di Lambrate. Il terreno venne circoscritto da una superba cancellata e, benché mancassero ancora i locali, in quel recinto alla grand aire, si era cominciato ad attrarre ogni domenica mattina i piccoli figli dei proletari , ai quali Molinari fra un divertimento e l’altro, andava insegnando ciò che non si poteva apprendere in una scuola borghese. […] Era la preparazione della società futura ch’egli desiderava, era l’avviamento della umanità a migliori destini ch’egli andava cercando, più che con le parole con i fatti. Nella  “Scuola Moderna” si andava sovente affermando: “  niente religione, niente programma ufficiale. Il maestro diventa non il tiranno pedagogo o l’odiato nemico del piccolo allievo, ma il suo più fedele amico, intento a non soffocare gli istinti o le vocazioni, ma ad educarle e dirigerle  all’azione benefica in pro all’umanità “   ( dal libro di Learco Zanardi, Luigi Molinari ...)
Bibliografia : Learco  Zanardi, Luigi Molinari. La parola- L’azione – Il pensiero,  Editoriale  Sometti, 2003  p. 78 e p. 43 nota n.  34 . Cfr. anche  Fausto Buttà, Anarchici a Milano. Storie e interpretazioni (1870-1926), Zero in condotta, 2016 pp. 191-200 e Francesco Lisanti, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925) , La coda di paglia, 2016  pp. 131-152
Cito, inoltre a  mò di esempio alcuni Tra gli  importanti articoli pubblicati sulla rivista " Università popolare :   cito a mò di esempio quello sul pensiero di Darwin e sulle sue conseguenze sulla società e in particolare sulla classe operaia (cfr. brani)
Brani da commentare:  1) “… Purtroppo, malgrado le scoperte della scienza che hanno rivelato quanto siano menzognere le basi religiose, le grandi masse popolari, che materialmente vivono l’aspra vita di lavoro manuale intorno a noi, sono ben lontane dal comprendere l’utilità sociale derivante dall’ opera gigantesca di questi araldi della civiltà futura. Il prete quando non può usare la brutale soppressione di ogni organo di progresso, assume il sembiante di camaleonte, si adatta alle sensazioni più ridicole pur di  resistere e sopravvivere alla onda di luce che ne rivela le imposture. E le masse lavoratrici, alle quali la lotta per il pane quotidiano toglie il tempo e la possibilità per parire  (?) la mente alla istruzione intellettuale redentrice, rimangono ancora facile preda della secolare suggestione religiosa. Ecco quale si disegna apertamente il compito delle Università Popolari e di tutte le istituzioni che vogliono apportare al popolo la parola della scienza. Ecco quale sarà la migliore, la più utile commemorazione degli uomini scopritori del vero, che hanno dato la loro esistenza per la causa del progresso umano!   Far conoscere le loro opere, volgarizzare la loro scienza, dimostrare l’inconciliabilità di questo vero rivelato dallo studio e dall’osservazione con tutto ciò che è superstizione religiosa. Insegnare al popolo che le sudate conquiste dei precursori tendono  liberarlo  dalla tirannide degli autocrati sempre uniti, sempre alleati, perché hanno comune lo scopo di dominare, gli autocrati della chiesa e quelli dello Stato . […] “  ( da un articolo di  Luigi Molinari in commemorazione di Darwin nel centenario della sua nascita in Università Popolare, Gennaio-ottobre 1909)
Bibliografia:   in  Learco  Zanardi,  Luigi Molinari. La parola, l’azione, il pensiero, editoriale Sometti, 2003    pp.  230 -232
Oggetto di attenta riflessione , e spunto di dibattiti nella rivista, era , inoltre, nel Molinari , la improrogabile trasformazione delle carceri e dei riformatori in istituti veramente educativi. 
Brano da commentare: “…..   Io  sostengo che il delitto non esiste e che la legge penale punisce dei disgraziati che devono essere curati come ammalati , e non  torturati con pene corporali o con afflizioni morali. Io so che malgrado l’opinione di molti che si inculcano nell’errore, un forte nucleo di colleghi, di professionisti, medici specialmente, e di uomini di studio in cominciamo col correggere l’improprietà del nostro linguaggio. Non è né mostro né infame chi, reso infelice da un morbo, in gran parte ancor da noi sconosciuto (sono  tante le cose che non conosciamo!)  compie atti estremamente antisociali, ma è semplicemente un essere pericoloso da compiangere, da assistere e da amorosamente curare.  Poi pensiamo a dominare quello che  è veramente eredità atavica bestiale, il sentimento della vendetta. Vedremo allora con calma che il disgraziato non può e non deve essere né moralmente né materialmente condannato –ma soltanto, a riparo ed a giusta difesa della Società umana, deve essere ritirato in una Casa di Salute e non di pena. E nella Casa di salute deve vivere come uomo ma non come  una belva feroce chiusa in una gabbia di ferro e bollata con marchio dell’infamia ….. “( da Luigi Molinari, Pena di  morte, Reclusione, Ergastolo, Penalità popolare, maggio 1910 ) 
Bibliografia:   in  Learco  Zanardi, Luigi Molinari. La parola, l’azione, il pensiero, editoriale Sometti, 2003    pp. 223-224
 Tra il 1914 e il 1915 sostenne con calore la tesi antibellicista  e polemizzò con successo,  ,in un comizio pubblico con i noti interventisti  Maria Ryger e Libero Tancredi. A guerra avviata  scrisse una lettera  di netta condanna contro “l’immenso macello” a Filippo Tommaso  Marinetti .
Brano da commentare:  “ Caro Marinetti, io penso di essere veramente futurista, mentre tu sei presentista e passatista! Tu vuoi  la guerra e la guerrs trionfa ovunque; l’ Europa è un immenso macello, e il Teatro dei tuoi sogni, oggi non più sogni, realtà. Tu vuoi che l’Italia domini il mondo, ma Roma ha già dominato il mondo ed i tuoi ardenti voti si concretano in un ritorno al passato da secoli tramontato! Sei dunque presentista e passatista. Io voglio una società futura affatto diversa dalla presente e quale non è mai esistita nel passato. Voglio una società basata sull’amore, non sulla forza, né sul cannone, sulla giustizia, non sulla legge ipocrita e menzognera! Voglio la libertà assoluta del pensiero, dell’amore,e dell’azione, nell’individuo e nelle collettività costituite da gruppi vincolati unicamente dall’armonia e dalla simpatia che li attrae. Questo è “futurismo” che ne dici?” ( da una lettera di Molinari a Filippo  Tommaso Marinetti)
Bibliografia:  in  Learco  Zanardi,  Luigi Molinari. La parola, l’azione, il pensiero, editoriale Sometti, 2003 p. 206 
                                                                                

  

Pur avendo il medesimo cognome , tra LUIGI ed ETTORE MOLINARI  non vi era, per quanto mi risulta,  alcuna parentela, ma entrambi, sebbene per diverse motivazioni, furono comunque assai influenti nel movimento anarchico  nell’età giolittiana.
ETTORE MOLINARI  ( 1867-1926) , noto, per lo più, con lo pseudonimo di Epifane, nacque a Cremona e, oltre ad esercitare, con notevole successo sia in Italia che all’estero,  la professione di chimico e  di professore universitario al Politecnico di Milano , fu   uno degli esponenti più autorevoli, insieme alla sua compagna NELLA  GIACOMELLI ( cfr.  post  NELLA GIACOMELLI …..) , della tendenza anarchica antiorganizzatrice,  aperta, tuttavia, al confronto con altre correnti.  Fondò due famose pubblicazioni anarchiche  Il grido della folla e più tardi,  La protesta umana , le cui idee , assai radicali,  lo portarono a sostenere più di 40 processi. (cfr. brano) 
Brani da commentare : “  Come nella scienza positiva l’analisi conduce alla sintesi, così la critica anarchica negativa conduce inevitabilmente a dei chiari concetti concreti sulle nostre aspirazioni e sui sistemi di lotta presenti. Quando noi combattiamo qualsiasi legge scritta nella presente società, noi veniamo conseguentemente a delineare la società anarchica che non dovrà avere né leggi né governi. Quando noi denunciamo l’immoralità del matrimonio, veniamo implicitamente ad affermare che nella società  novella l’amore sarà libero. Se noi oggi attacchiamo la proprietà privata, il capitalismo e lo sfruttamento, veniamo a stabilire sin d’ora che in anarchia nessuno potrà appropriarsi la terra e gli strumenti del lavoro o parte della ricchezza pubblica, e nessuno potrà sfruttare il suo simile. E quando combattiamo il parlamentarismo , noi veniamo implicitamente ad appoggiare l’azione diretta antilegalitaria in tutte le lotte fra capitale e lavoro, e nella demolizione dello  Stato che noi  non vorremmo più risorto nella società anarchica  ( Ettore Molinari, Sincerità     in  La Protesta Umana, 24  novembre, 1906); 2)  E’ legge indiscutibile oggi valevole anche domani , che finché la terra girerà intorno al sole, tutti i corpi andranno soggetti alla legge della gravità; come è verità oggi e di domani che l’energia e la materia si trasformano incessantemente, ma nulla di esse può essere distrutto o perduto, né oggi né mai.  Così quando noi affermiamo che gli uomini devono tendere a una nuova umanità nella quale tutti gli individui non dovranno essere né sfruttati né degli  sfruttatori, noi affermiamo una morale  tanto positiva quanto la legge di gravità; e noi, incitando tutti alla ribellione di ogni autorità politica ed economica, soddisfiamo un nostro sentimento di giustizia e ci sentiamo il diritto di proclamare alto queste nostre verità.” ( Ettore Molinari, Sincerità…. pagana , La protesta umana,   15 dicembre 1906 )
Bibliografia:  in Giampietro Berti, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale 1872-1932) , Franco Angeli  editore,  p.  444 (primo brano) e p. 445 (secondo brano:  Cfr. anche   Fabrizio Giulietti, Storia degli anarchici  italiani in età giolittiana, Franco Angeli editore, 2012 , p. 123 e p. 124
Conclusa la prima guerra mondiale e iniziato  il cosiddetto “biennio rosso”  nacque l’ idea , soprattutto , in Ettore Molinari e in Nella Giacomelli , della opportunità di fondare un giornale quotidiano anarchico intitolato Umanità Nuova,  idoneo  a diffondere a più vasto raggio , giornalmente,  le idee e le azioni di tutti gli anarchici , qualunque fosse la loro tendenza: La direzione del giornale fu affidata a Errico Malatesta ( cfr. post : ERRICO MALATESTA)  , la cui linea  conciliatrice tra le diverse correnti del movimento,  era , allora, in totale sintonia con  quella dei suoi  primi ideatori , (cfr.  brano)
Brano da commentare:  “ “…. Il giornale  deve essere l’organo di tutti gli anarchici delle varie tendenze. E’ ciò possibile? Io lo credo, anzi io veramente credo che, tolte di mezzo le questioni di persone, gli equivoci di linguaggio e l’amore della posa, differenze essenziali non ve ne siano  maistate, e soprattutto non ve ne sono ora fra anarchici sinceri. Il principio di libertà ci concilia tutti. Tra comunisti e individualisti, quando si tratti davvero di comun isti  anarchici e di individualisti anafrchici, non vi è mai stata altra differenza che un malinteso . Tra organizzatori e antiorganizzatori …, via, a vergogna di noi organizzatori, io ho visto spesso gli antiorganizzatori più e meglio organizzati degli organizzatori, quantunque lo siano sempre poco gli uni e gli altri “  ( Lettera di Errico Malatesta a Nella Giacomelli,  pubblicata con il titolo  L’opinione di Malatesta sul quotidiano , Il libertario , 21 agosto  1919)
Bibliografia:  in Giampietro Berti, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale 1872-1932) , Franco Angeli  editore,  p.  630
                                                                                     
NELLA GIACOMELLI

    NELLA GIACOMELLI  (1873-1849) nata a Lodi da Paolo Giacomelli , impiegato comunale,  laico e repubblicano e dalla madre,  filomonarchica, bigotta e autoritaria.  Dopo il suicidio del padre i rapporti con la madre peggiorarono sempre di più e conseguito il diploma di maestra andò a  vivere per conto suo. Aderì al Partito  Socialista e  divenne collaboratrice del giornale “Sorgete” dove si occupò, tra l’altro,  della parità dei diritti tra uomini e donne, argomento per quegli anni davvero pionieristico.  (cfr. brano) 

Brano da commentare: “ Per molti la donna che parla di governo, che legge articoli di fondo e resoconti particolari, che discute di provvedimenti politici, è un fenomeno pauroso di malattia degenerativa, che assurge poi alle proporzioni sinistre di mostruosità quando oltre che parlare, leggere, discutere, scrive e, per maggiore aggravante, scrive in giornali socialisti. Oggi proprio non mi sento in vena di mettermi a persuadere quei molti del loro errore grossolano e – diciamolo pure – di cattivo gusto. E sarebbe inutile , forse…[…] Noi dobbiamo camminare ancora, fatalmente, per quel sentiero aspro e spinoso che la necessità di rivendicazioni umane di conquiste economiche à segnato. Ad ogni passo questo sentiero presenta inciampi e difficoltà. […] Se il nostro pianto scorre in silenzio e le nostre lacrime cadono senza rumore, non è detto che pianto e lacrime vadano perdute. Nel tempo c’è la giustizia; nel perseguitato c’è il vittorioso dell’avvenire” ( Nella, Pietà femminile, in Sorgete 25 giugno 1899)

Bibliografia:  in Ercole Ongaro, Nella Giacomelli. Un’anarchica controcorrente, Zero in condotta, 2019 p. 32
 Nel 1897, dissentendo dalle autorità comunali, da cui dipendeva, lasciò la cattedrea di maestra a Cocchio,provincia di Varese e si trasferì a Miano. E fu   proprio   frequentando, poco a poco, gli ambienti anarco-individualisti milanesi  che Nella Giacomelli divenne anarchica e fu assunta come istitutrice dei numerosi figli dello scienziato anarchico Ettore Molinari e di sua moglie  Elena Del Grossi. Una probabile motivazione dell’assunzione di Nella Giacomelli  da parte di Ettore Molinari è riferita da Maria Rossi che affermava di averla  appresa direttamente dalla Giacomelli. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ [Nella Giacomelli]  in seguito a un contrasto con la madre si trasferì a Milano senza consenso. Qui si impiegò o cercò impiego; si trovò priva i mezzi e non volle subire l’umiliazione di rivolgersi alla madre; scoraggiata si tirò un colpo di rivoltella alla testa. Fu trasportata dalla guardia medica di Porta Venezia. Non ricordo se Ettore Molinari, rincasando, passò dai bastioni ove fu raccolta la tentata suicida o se, conosciuta la tragedia alla guardia medica, fece trasportare la Nella a casa sua e l’assunse come segretaria …. “ ( lettera di Maria Rossi a Ugo Fedeli,    7 Agosto 1955)
Bibliografia: Elena Bignami, “ La nostra vita è la battaglia quotidiana” . Una coppia anarchica al tempo della Prima  guerra mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi”  , in La Camera Blu rivista di Studi di genere, vol. 11 n° 13, 2015 pp. 72-73 n. 31 in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888 . Devo comunque dire che tale versione dei fatti  l’ho trovata per ora solo in questo articolo e non comprendo il perché.

Della crisi esistenziale, aggravata dalla dolorosa perdita di una figlia, che  si pose alle radici di quel rapporto con i Molinari e che costituì una importante svolta per la sua vita futura, abbiamo come testimonianza una lettera da lei scritta all'amico  Oberdan Gigli   (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Io, malata di noia, inquieta di mille inquietitudini d’anima, di ispirazioni, sorda di emozioni che mi dicessero il sapore della vita , io smaniosa di lavoro e di lotta, entusiasta e appassionata, vissi sempre avidamente, struggendomi però nella ricerca di qualcosa che mi rendesse felice o mi interessasse. Te lo scrissi una volta. Fui molto amata, io non amai nessuno. Fu una fatalità: cento volte avrei forse potuto essere felice, e cento volte il silenzio che ostinato si manteneva in me, me lo impedì. Poi le circostanze mi gettarono nella famiglia di Ettore. Avevo un compito tanto bello e nobile ; ma esso mi era reso difficile dal lavoro inconsciamente nemico che andava facendo la madre dei bimbi che io dovevo educare. Ma io non mi occupai di null’altro all’infuori dei  bimbi. Si strinse un’amicizia tutta intellettuale con Ettore, divenni sua scolara e collaboratrice. Tante volte vegliai nel suo studio, sola con lui attorno a qualche suo lavoro. Nessun sentimento d’amore palpitava ancora in me… Fu dopo, dopo,  quando la  bimba mia morì, quando la scompara della mia piccola Ireos mi fece sentire stranamente un gran vuoto attorno a me, nel cuore, nel cervello ! […] .  Sto per diventare l’amante di un uomo sposato […] Un turbine d’idee nere , di propositi disperanti mi passa nell’anima… Anche in  me è una rovina! In questi giorni i compagni hanno tentato ogni via per persuadermi a riprendere il  Grido… Io capisco che questo sarebbe la salvezza, perché necessariamente prendendo il Grido sarei costretta ad abbandonare Ettore.  Ma io penso alla mia vita solitaria e fredda che dovrei coindurre … Troppo grande sarebbe il sacrificio… Colla morte  nel cuore, non saprei più lavorare né combattere. Nulla più mi sorriderebbe, nessun alito caldo aleggerebbe intorno a me a far fiorire speranze e sogni. Tutto sarebbe muto, freddo, odioso … Meglio morire, molto meglio, sì !......“ ( Nella Giacomelli a Oberdan Gigli, 9 gennaio 1903)
Bibliografia:  Versione integrale in Maurizio Antonioli , Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra, BFS, 2009, pp. 196- 198-199 .  Anche io condivido l’esitazione di Maurizio Antonioli di evocare “ vicende intime “ e “ giudizi ingenerosi” riguardanti  ELENA DELGROSSI,  moglie di Ettore Molinari,  ma mi piacerebbe sapere almeno come e quando è morta.


Il rapporto tra Nella Giacomelli ed Ettore Molinari crebbe sempre di più sia sul piano affettivo che  su quello intellettuale e insieme fondarono due importanti pubblicazioni anarchiche  settimanali: Il Grido della Folla ( dal 1902 al 1905) e La Protesta Umana ( dal 1906 al 1909) . Di entrambe Nella Giacomelli, oltre che come attiva autrice di articoli assunse il ruolo di amministratrice. Nel 1908 la direzione  della  Protesta Umana  fu affidata ,   a Paolo Schicchi, la cui fama di “martire eroico” per le sue incessanti traversie  giudiziarie, aveva raggiunto quell’anno il suo apice,   si concluse  con una violentissima (verbalmente) diatriba di Paolo Schicchi, accompagnata anche da volgari insulti sul piano personale,   contro Nella Giacomelli e  gli anarchici milanesi, esposta in un opuscolo intitolato  Le degenerazioni dell’anarchismo. Parte I. Mentecatti e Delinquenti.    A  queste critiche infamanti Molinari e Giacomelli risposero prontamente con durezza  nello scritto , Un triste caso di libellismo anarchico (Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi). Tale feroce polemica inflisse comunque nella Giacomelli, che aveva personalmente insistito nella nomina di  Schicchi a direttore,    una profonda amarezza che la allontanò per un certo periodo di tempo dalla vita  politica. cfr. brano).  
Brano da commentare: “… In effetti la chiamata di Schicchi a Milano era stata un errore che la Giacomelli  e il Molinari pagarono amaramente.  Fra l’anarchismo contestatore del gruppo milanese e l’anarchismo catastrofico di Schicchi c’era un dislivello di cultura, di prospettiva e di metodi di lavoro che la comune avversione  al movimento anarchico organizzato non era sufficiente a far superare. E il temperamento di Schicchi , irregolare e stravagante, non poteva combinare con l’austerità del Molinari e tanto meno con l’inflessibile disciplina della Giacomelli” ( Pier Carlo Masini, Le due passionarie della  anarchia in Italia )
Bibliografia: Pier Carlo Masini, Le due passionarie della  anarchia in Italia  in  Storia Illustrata. Numero Speciale. L’ Anarchia, ottobre 1973 n. 191 p. 124

Per la sua opposizione all’ intervento dell’Italia nella “ Maledetta Guerra” del 1915-18 cfr. il post ABBASSO LA GUERRA) .  Nel dopoguerra, nel pieno del cosiddetto “ biennio rosso”,  Nella Giacomelli e Ettore Molinari furono tra i primi a sentire l’esigenza di un quotidiano anarchico e fu proprio la Giacomelli a proporre , ottenendo un consenso generalizzato, il titolo per quel nuovo giornale  di Umanità Nova, (cfr. brano)
Brano da commentare: “ “Umanità Nova” è il titolo del quotidiano anarchico in progetto, titolo quasi evangelico, non intonato, qualcuno dice, al concitato respiro della società in fermento , al tumultuoso avvicendarsi di eventi, al minaccioso delinearsi di azioni violente o di propositi audaci di quest’ora che viviamo [In realtà] esso abbraccia nella sua significazione completa il massimo delle nostre aspirazioni, segna il cammino per pervenirvi senza deviazioni […] Meta suprema  di tutte  le nostre lotte e dei nostri dolori, ti adottiamo come simbolo luminoso  di una visione vivente, e ti innalziamo al di sopra di tutte le folle, verso tutti i cuori, faro e bandiera di luce e di libertà […] La rivoluzione non è più un sogno, il comunismo libertario è una meta raggiungibile; l’ideale anarchico non è più una utopia” ( Nella Giacomelli, Per il quotidiano, in L’Iconoclasta luglio 1919)
 Bibliografia: in  Fabbrizio Giulietti, Gli anarchici italiani dalla Grande Guerra al Fascismo, Franco Angeli, 2015 p. 101 nota n. 63

Nel 1922 Nel 1922  con lo pseudonimo di Petit Jardin, Nella Giacomelli pubblicò un satirico testo  teatrale intitolato Il giudice Cappone ovverossia  Le farse della giustizia, ove facendolo passare come una traduzione  italiana di un testo esquimese ove si faceva riferimento alla pretestuosa inchiesta giudiziaria contro Enrico Malatesta , Armando Borghi ed altri, all’ estenuante sciopero della fame degli arrestati e al drammatico  attentato al  teatro Diana.  Nel 1928,  in piena dittatura fascista, Nella Giacomelli e i due figli, Libero ed Henry,  di Ettore Molinari, morto nel 1926,  furono arrestati perché sospettati di essere coinvolti nell’attentato Lucetti.  Fu liberata, insieme a Libero e ad Henry Montanari, anche grazie alla mediazione di Oberdan Gigli, ormai fascista, e di Ada Negri, amica, dall’ infanzia di Nella e di sua sorella Fede. (cfr. brani)
Brani da commentare: 1) " La vostra raccomandata Nella Giacomelli sarà posta in libertà prossimamente oggi aut domani ( Benito Mussolini ad Ada Negri 12 agosto 1928); 2) " Illustre  Signora Ada Negri , di ritorno da Roma, trovo la sua gentile risposta. La ringrazio- Illustre Signora - di quanto ella ha fatto, e spero molto nell'altra influenza  Sua. [...] Io pure credo con  Lei che il  Duce non permetta altro che  atti di giustizia, e per questo abbiamo ricorso a Lui: ma in suo nome agisconoanche persone abbiette ed immorali e occorre in tal caso arrivare alla fonte pura. Voglia perdonarmi Signora se l'abbiamo disturbata; ma per un'opera buona e giusta!  E voglia accettare i nostri ringraziamenti più vivi e i nostri ossequi. Devotissimo  Oberdan Gigli" ( Oberdan Gigli ad Ada Negri , 13 agosto 1928)
Bibliografia:  Primo brano in Ercole Ongaro, Nella Giacomelli. Un’anarchica controcorrente, Zero in condotta, 2019 p. 158 . Secondo brano in Maurizio Antonioli , Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra, BFS, 2009, p. 203 


Dopo la scarcerazione Nella Giacomelli si autoesiliò mella Villa Montanaria Rivoltella del Garda, dove morì nel 1949.


Per la critica nel dicembre 1906,di Nella Giacomelli  alla colonia anarchica " L' Essay "fondata da Henry Fortuné in Belgio, presso Aiglemont nelle Ardenne, cfr. qui  post LES MILIEUX LIBRES


                                                                           
LEDA RAFANELLI
LEDA RAFANELLI  (1880-1971) nota anche col sopranome " la zingara anarchica, originaria di Pistoia, dopo avere vissuto, per alcuni mesi ad Alessandria d’Egitto, dove, fortemente attratta dalla cultura orientale,  si era convertita all’islamismo, a cui mantenne fede sino alla morte pur vivendolo a suo modo e in quasi perfetta sintonia con il suo anarchismo. (cfr. brani).
Brani da commentare:  1) “Ho sangue arabo nelle vene: mio nonno materno era figlio naturale di un o Zingaro tunisino. Finb dai primi anni ho rivelato le tendenze orientai della mia anima: nella preghiera invece di congiungere le mani , volgevo le mani in alto, con le palme verso il cielo, e istintivamente mi orientavo verso l’ Est . In famiglia mi consideravano  ”stravagante.“ Amavo adornarmi con collane di gemme brillanti, e reclamavo per le piccole orecchie  grandi “cerchioni” che mi davano l’apparenza d’una zingarella. E di una zingarella  avevo veramente il “tipo” con la mia pelle bruna e i capelli neri e ricciuti […] Il mio gioco prediletto era quello di predire la buona ventura . Avevo sempre , in una borsa di seta verde appesa alla cintura, un logoro mazzo di carte. Molto spesso le “consultavo” disponendole a mio modo e “leggendo” quello che credevo mi dicessero. Nessuno mi dava ascolto […]  Tutti i miei personali “ricordi”, i sogni, le aspirazioni, i desideri, erano basati, sistemati, orientati verso l’Antico Egitto, mia  Patria di elezione “  ( Leda Rafanelli, Memorie di una chiromante) ; 2) “ La sua religiosità, inscalfibile, ma tutta interiore,  tollerata dai compagni atei come una perdonabile stranezza, fu, a sua volta, tollerantissima della loro miscredenza. Infine la quintessenza d’arabismo filtrata durante l’esperienza alessandrina, col tempo trasse nuova linfa dallo studio delle antiche civiltà egizie, e della stessa lingua araba, dal sopravvenuto interesse per le scienze occulte, per l’astrologia e la magia e da una crescente attrazione verso tutto il mondo orientale, anche ebraico e indiano. [...]  Il punto d’intersezione fra islamismo e anarchismo è istintivamente trovato nell’assoluta insofferenza per i problemi economici e pratici (il denaro, l’alloggio, l’approvvigionamento), nella allegra disponibilità per tutte le situazioni, anche le più scomode e precarie, nell’incertezza del domani come regola dell’oggi, nel vivere dell’aiuto altrui, mai preteso, sempre gradito e generosamente ridonato. Insonna una zingara anarchica: questo fu Leda Rafanelli “ ( Pier Carlo Masini, Introduzione a   Leda Rafanelli,  Una donna e Mussolini); 3)  La Rafanelli sosteneva di essere musulmana per discendenza, in quanto suo padre sarebbe nato da una relazione clandestina di sua nonna con uno zingaro musulmano di passaggio a Pistoia. Se tale affermazione avesse avuto un fondo di verità, del quale però è lecito dubitare, Leda Rafanelli sarebbe stata una musulmana per discendenza, poiché l’appartenenza all’ Islam si trasmette per via paterna: i figli di padre musulmano entrano naturalmente e obbligatoriamente a far parte della umma, la comunità dei credenti. Leda Rafanelli , ad eccezione del quinto precetto, lo hagg, che consiste nel recarsi alla Mecca almeno una volta nella vita, rispettò nel corso nella sua  esistenza tutti i doveri fondamentali di un buon musulmano: la preghiera rituale (cinque volte al giorno) l’elemosina, il sawn, il digiuno durante il ramadan, il nono mese dell’anno lunare.  Dall’età di vent’anni fino alla morte la Rafanelli si professò musulmana. Quest’appartenenza fu sempre relegata nella sfera privata: circoscritta ed accentuata da una serie di abitudini: nel vestire, nel mangiare, nell’arredare gli ambienti in cui viveva , nell’uso di profumi ed incensi, secondo una stile di vita arabo ed orientale, non privo di tratti personali e folklorici. Leda Rafanelli aveva appreso l’arabo, lo parlava e lo scriveva. […] L’aspetto originale e per più versi paradossale della propria identità , islamica e anarchica di Leda Rafanelli si evince anche dal nome arabo che si diede. : Djali senza peraltro abbandonare quello originale. “ Mi sono donata questo nome, oltre il bel nome che porto / poi che Djali vuol dire di me stessa/ ed io ho sempre appartenuto solo a me stessa” . L’idea che si possa appartenere solo a se stessi è del tutto estranea all’islam: la parola  Islam significa “sottomissione alla volontà di Dio” deriva dal verbo salama che vuol dire appunto sottomettersi. Muslim , participio di questo verbo , sta ad indicare colui che si sottomette, obbedisce. […] Il nome Djali sembra piuttosto evocare l’anima anarchica di Leda Rafanelli, espressa in maniera orientale e divenuta un tutt’uno con essa, secondo una sintesi per lei naturale …” ( Enrico Ferri, Leda Rafanelli: un anarchismo islamico? )
Bibliografia:  Primo brano    : Alessandra Perrotti , Pagine di Leda Rafanelli: rileggere la storia attraverso la memoria autobiografica  p. 18; Secondo brano : Pier Carlo Masini, Introduzione a Leda Rafanelli , Una donna e Mussolini, Rizzoli 1975 p. 8-9 .  Terzo brano: Enrico Ferri, Leda Rafanelli: un anarchismo islamico?  in  Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia, a cura di  Fiamma Chessa, Biblioteca Panizzi Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa,  pp. 152-153-154-155                                                                                     
                                                                  
Tornata in Italia  Leda Rafanelli  si stabilì a Firenze, dove insieme al suo compagno (e marito) , Luigi Polli si dedicò all’attività politica, pubblicando parecchi opuscoli , tra cui  Contro la scuola  e Anticlericalismo moderno e romanzi, di contenuto anarchico, tra cui La bastarda del principe (1904) o Le memorie di un prete ( 1906) e venne a contatto con numerosi anarchici, tra cui Pietro Gori, con cui stabilì una salda e  fraterna amicizia. ( cfr .post PIETRO GORI) . 

LEDA RAFANELLI e GIUSEPPE MONANNI

Nel 1907 collaborò alla rivista fondata da GIUSEPPE MONANNI di tendenza anarco-individualista e tra loro iniziò una relazione che durò per circa vent'anni.
 Nel 1908,  non ancora trentenne , Leda Rafanelli si trasferì a Milano e insieme a   Giuseppe Monanni, pubblicarono la rivista  La sciarpa nera,  da cui uscirono 4 numeri  e nel 1910 fondarono la " Libreria Editrice Sociale", importante impresa editoriale dell’anarchismo italiano. In questo periodo nacque la fruttuosa collaborazione tra  la Libreria Editrice Sociale, con il giovane pittore Carlo Carrà, autore, tra l’altro, del celebre quadro “ I funerali dell’anarchico Galli “ (cfr. primo brano). Sulla breve , ma intensa, relazione di Carrà con Leda Rafanelli  si espresse, anni più tardi, lei  stessa. (cfr. secondo brano)

Brano da commentare: 1) “ Facevo ( nota mia: Carlo Carrà) di quando in quando dei disegni per alcuni editori fra cui il Monanni. Questi disegni gli servivano per illustrare la sua rivista Sciarpa Nera, il giornale  La Rivolta ed altre pubblicazioni”. ( Carlo Carrà, La mia vita, Rizzoli, 1945) 2) “…  Ma anche tra me  e il Pittore c’era una frattura della antica confidenza. Ogni volta che parlavamo era uno studiarsi reciprocamente quasi che – a tutti e due – dolesse di urtarsi, ma non potendone fare a meno. Restava tra noi solo l’ attrazione fisica, ed in questo caso era la più pericolosa. La fusione intellettuale e ideale con i Compagni lasciava liberi tutti di “vivere la loro vita e nessuno si sentiva legato all’altro all’infuori del comune Ideale, ma solo l’attrazione fisica spingeva fatalmente ad unirsi segretamente. – non per conoscersi meglio, come avviene per l’Amore – ma a deludersi l’un l’altro, poi che ci conoscevamo abbastanza per sentirsi diversi e lontani. […] Il tempo ha voluto dare la sua risposta: Io sono rimasta quella che ero, sempre più forte nelle mie idee e in lotta  con la vita economica che, per altro non mi sgomenta affatto.  Lui, il Pittore , nel correre del tempo, cambiò tendenze e opinioni, accettò ricompense e notorietà …[…] Scelse la via che conduce alla ricchezza ; ed è divenuto “celebre”. ( Leda Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai celebre, a cura di Alberto Ciampi…)

Bibliografia : Alberto Ciampi (a cura di di) Leda Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai celebre, nota introduttiva  Fiamma  Chessa, Postfazione : Marina Monanni, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2005 . Primo brano a p. 183 e secondo brano a pp. 89 e 91

 
Una profonda antipatia fu provata , sin dall’inizio, da Leda Rafanelli nei confronti di Filippo Tommaso Marinetti, capo riconosciuto del movimento futurista (cfr. primo brano) che poi raggiunse il suo culmine con gli scontri aperti tra interventisti e antinterventisti alla vigilia della prima guerra mondiale. (cfr. secondo brano)

Brani da commentare: 1) Era allora apparso sulla scena un tizio (nota mia: F.T. Marinetti), che era ben conosciuto nel mondo della letteratura, poi che dirigeva -o finanziava- una Rivista di Poesia. […] Quel “tale” era ricco, dicevano… Possedeva un Milione! A quel tempo era una forte somma. Specie tra i “bohemiens”, sempre senza una lira da spendere spensieratamente. Alto, magro, elegante, con una espressione superba e imperiosa. Quel signore era, però, quasi completamente calvo e con la sua voce sonora, le sue “fanfaronate” – come osservarono alcuni, dandogli il nomignolo di “FANFARONE” riuscì almeno a noi molto antipatico. Nessuno del nostro gruppo fece lega con Lui, che imperava al tavolino dei Pittori. Non si udiva altro che la sua voce. [ …] Sentimmo dire parole idiotamente critiche anche contro Artisti che avevano onorato e illuminato il mondo del’Arte. C’era da ridere se non avesse irritato. Cercando, sì, parlando a voce stentorea, di ricevere consensi dai presenti, guardandosi attorno con occhi di falco. Noi Libertari non gli rispondemmo mai una parola. Lo ignoravamo malgrado facesse tanto chiasso. Io non gli ho mai stretto la mano. Disprezzava tutto e tutti, solo perché aveva dei fogli da mille da gettare per le sue conquiste fossero femmine da letto o Artisti in cerca di notorietà …”; 2) “Noi sapevamo per quali “scopi” di interessi borghesi, di ambizioni di classe, mascherati da ragioni patriott[i]che, si metteva in moto lubrificato dall’odio, il macchinismo sconcertante che preparava la guerra anche in Italia. Intanto anche le nostre voci, in nome della libertà individuale e della pace tra i popoli, esprimevano la discordia con l’opposta corrente e la guerra delle idee era già nell’interno di ogni nazione. Si comprende come il nucleo futurista, con a capo il megalomane parolaio ed esibizionista ( nota mia: F.T. Marinetti) che agitava lo straccio dell’irredentismo; fossero dalla parte dell’interventismo immediato. Erano diventati tutti strateghi di azioni guerraiole, tutti competenti di armi, cannoni e tracciatori di confini. […] Davvero i nemici veri erano vicini a noi, e il nostro distacco era incolmabile.  Con i Futuristi non c’ incontravamo più, ci evitavamo a vicenda, poi che essendo stati un tempo amici, era triste sentirci pronti ad odiarci.  Non era una sorpresa, che tutti in gruppo, fossero passati all’interventismo, poi che fin dal primo Manifesto del loro  Capo esaltavano la “ Guerra, sola igiene de mondo”! ( Leda Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo…)

Bibliografia : Alberto Ciampi (a cura di di) Leda Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai celebre, nota introduttiva  Fiamma  Chessa, Postfazione : Marina Monanni, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2005 . Primo brano a pp. 79-80 e secondo brano a p. 164

Leda, sempre con Monanni, fondò, poi,  nel 1913 una rivista  La libertà , fatta interamente da loro e che durò sino al  1914. Contemporaneamente  la Casa Editrice Sociale pubblicò l’importante opuscolo della Rafanelli , Abbasso la guerra! , in cui venivano fortemente criticate  le allora prime proposte  negli ambienti di sinistra di intervenire nella guerra, che scoppiata dopo l’attentato di Sarajevo contro l’ arciduca Francesco Ferdinando d’ Asburgo si stava espandendo in tutta Europa e nel mondo. ( cfr. post ABBASSO LA GUERRA). E fu proprio,  nel periodo di poco  precedente all’ entrata in guerra dell’Italia, che Leda ebbe una  relazione con Benito Mussolini e la interruppe immediatamente  dopo il voltafaccia interventista del futuro duce. Nel suo libro, La donna e Mussolini,  scritto nel 1946, Leda  Rafanelli  ricordò,  in modo  ancora pieno di passione,   l’ angosciosa ansietà dei giorni precedenti l’entrata in guerra dell’ Italia  (cfr. brano) 
  Brano da commentare: ”  Io ero in uno stato d’animo strano. Comprendevo che si compiva qualcosa di inevitabile. Che l’ Europa, la parte di mondo che ha sempre rubato agli altri suolo, prodotti, libertà, autonomia, - dovesse finalmente pagare le sue colpe era ormai una vicenda in atto. Sentivo che era quasi giusto, logico, che l’ Europa soffrisse ciò che aveva fatto soffrire ai popoli conquistati, che comprendesse quale terribile realtà è la violenza delle armi. La mia conoscenza teofisica mi faceva capire che c’è un destino  - il Karma- per i popoli come per gli individui, e quello che avveniva doveva avvenire. Ma c’era anche la mia passione di libertaria, anelante alla indipendenza dell’individuo; e ancora , la mia pietà di donna che si ribellava contro il collettivo macello di creature ignare e non responsabili.  […] Io soffrivo molto in quel tempo, presaga di ciò che doveva avvenire. E non seppi, non volli tacere. In quelle giornate ardenti, mentre le idee cozzavano contro altre idee, mentre anche alcuni a noi vicini si facevano travolgere dalla corrente che invocava la “guerra liberatrice” – io volli mettermi al sicuro da ogni interpretazione errata delle mie teorie. Sì, incondizionata simpatia per la Francia, - sì, assoluta solidarietà verso chi combatteva contro stati reazionari, contro imperi prepotenti, - ma soprattutto cosciente esecrazione della guerra , - del fatto guerra, - e consapevole rinunzia a tutto ciò che è detto gloria – eroismo – valore di marca dinastica militare e borghese. E in una notte di dolorosa passione, turbata e straziata per tutto ciò che succedeva a noi intorno, scrissi un opuscolo che intitolai, a scanso di equivoci, Abbasso la guerra . Questo opuscolo fu stampato in molte migliaia di esemplari, e diffuso in tutta Italia.  Naturalmente fu subito sequestrato. […] Ho parlato di questo opuscoloperché Mussolini lo lesse e – mi disse poi,- lo approvava incondizionatamente. … “ ( Leda  Rafanelli,  Una donna e Mussolini, 1946 )
Bibliografia: Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini , Rizzoli Editore 1975, pp. 160-161
 Amica già dal 1913 di Carlo Molaschi ( cfr. in questo stesso post)  accettò di collaborare alla rivista Nichilismo, da lui fondata nel 1920 pur non condividendone  gli obiettivi finali . (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Io sono molto lontana dal nihilismo dei redattori di questa rivista; e del tutto diverso – anzi opposto – è il mio orientamento […] I nihilisti che affermano la loro volontà di osare una completa distruzione di tutto, enunciano forze ( morali , s’intende) che non sempre hanno. Più vicina all’animo umano e più sincera è la concezione opposta, quando l’individuo aspira al bene, alla pace e alla bontà e sente tutte le forze contrarie opporsi alla sua ascesa verso la perfezione; così da arrivare a convincersi […] dell’inutilità di tutte le cose […] lontano dunque, io sono, così pensando, dalle affermazioni di forza e di orgoglio che i nihilisti volitivi (non c’è contraddizione ?) faranno delle ragioni di questa rivista, che ha per scopo l nulla. Ma forse anche credendo di anelare al nulla, non si nasconde uno scopo?”… ( Leda Rafanelli, Il mio nihilismo, n. 1 5-20 aprile 1920)
Bibliografia: in Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS 2002, p. 44.  Cfr. anche  Mattia Granada Lettere dall’individualismo milanese : Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi in  Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia, a cura di  Fiamma Chessa, Biblioteca Panizzi Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa,  p.61. Non mi sembra che rispetto all’ articolo precedente vi siano sostanziali varianti.
                                                                                 

LEDA RAFANELLI
Rimasta sola a Milano, dopo la diserzione di Giuseppe Monanni dall' esercito e la sua fuga in Svizzera  collaborò a pubblicazioni libertarie italiane e francesi. Nel 1920, al ritorno di Monanni in Italia fondarono La Casa Editrice Sociale , da cui uscirono tra l'altro  alcuni romanzi della Rafanelli, tra cui L'eroe della folla (1920) e  Incantesimo (1921). Pubblicò anche la raccolta di novelle Donne e femmine (1922) .Nel 1923 la Casa Editrice Sociale fu invasa e distrutta dai fascisti (cfr. brano)
 

Brano da commentare:  Il 10 novembre 1923 fu la volta della Casa Editrice Sociale e  dell’appartamento dei Molaschi, dove venne distrutta la biblioteca personale, costata tanti sacrifici. Furono incendiati complessivamente cinque camion di stampati sequestrati presso alcuni anarchici. L’11 novembre l’onta dopo lo sfregio, Carlo Molaschi viene caricato su un camion scoperto accanto a Leda Rafanelli, e “a mò di intimidazione vengono trasportati da un capo all’altro della città e fatti sostare davanti alle case che venivano perquisite. La scorribanda durò parecchie ore. Il giorno dopo fu rilasciata Leda, sofferente di cuore” ( ricordo di Maria Rossi Molaschi)

Bibliografia: in Elena Bignami, Le schiave degli schiavi. La “questione femminile” dal socialismo utopistico all’anarchismo italiano (1825-1917), Clueb, 2011, pp. 278-279

 
Durante il ventennio fascista, nonostante il duro regime imposto dal regime Leda Rafanelli continuò, comunque,  a scrivere romanzi, senza tradire mai le sue idee e il suo stile di vita anticonformista e libertario. Tra questi scritti , solitamente  firmati  con affascinanti pseudonimi,  mi limito a citare, pur non avendoli io mai letti, L' Oasi. Romanzo arabo (1929) e il libro per adolescenti , nonostante  la promulgazione delle leggi razziali,  intitolato, Vedere il mondo avventure di due ragazzi eritrei, (1939)  e anche vari racconti pubblicati sul Corriere dei piccoli . Per queste informazioni, che spero un giorno di potere approfondire, cfr.  Tiziana  Pironi, Percorsi di pedagogia al femminile. Dall' unità d'Italia al secondo dopoguerra, Carocci editore, pp. 89-112). Dopo la caduta del  fascismo , Leda Rafanelli, oltre a   Una donna e Mussolini  scrisse negli anni sessanta,  alcuni suoi ricordi  per  Umanità Nova.  Morì a  91 anni e nel 2010 è uscito postumo il suo libro  Memorie di una chiromante, a cura di M. Cappellini,  Nerosu bianco edizioni, Cuneo. 
                                                          
 
GIUSEPPE  MONNANNI ( o MONANNI) ( 1887-1952) , tipografo ed editore anarchico. Appartenne alla tendenza  anarcoindidualista ricordando comunque che essa non era affatto omogenea ed esistevano tanti modi di essere individualisti . I suoi attacchi comunque contro  il comunismo anarchico e contro l’anarco-sindacalismo  raggiunsero spesso toni  esasperati (cfr. brani)
Brani  da commentare:  “ Siamo contro la società così come è costituita e contro tutte le costruzioni sociateriste […..] l’anarchia e il socialismo vogliono in fondo  instaurare, generalizzandolo per decreto o per educazione, il principio stesso di giustizia che informa la società attuale e che comprende o dovrebbe comprendere , con l’eguaglianza, la fratellanza e la libertà“  ( Giuseppe Monnanni , Noi Anarchici in La libertà,  ottobre 1913) ;    Socialisti e sindacalisti si può essere quanto si vuole – giacché tali dottrine derivano dalla concezione borghese dello  stato o accentratrice del sindacato ch’ è la stessa cosa , ma anarchici e ingolfati tanto nella legalità dei metodi falsi e riformistici delle organizzazioni non si può essere assolutamente. […] Oggi ad ogni angolo, in ogni piazza sventolano i vessilli e tuonano i verbi della Sociale e dell’ anarchia.  Il gregge proletario guidato dai suoi pastori ( i nuovi preti della nuovissima! Ma pur sempre cristiana religione) marcia con la testa nelle nuvole alla conquista dell ‘Avvenire e dell’ Amplesso Universale- Egli marcia digrignando i denti contro dei fantasmi e si sviene d’amore ai piedi della Dea Umanità, la pidocchiosa “  ( Giuseppe Monanni,  La morale e l’organizzazione in La rivolta, gennaio 1910)
Bibliografia: in   Fabrizio Giulietti, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Franco Angeli 2012 pp. 196-197. Cfr. anche Gino Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa per una storia dell’anarchismo (1881-19149,  cp editrice 1977 p. 112.  
                                                     
 Dopo aver fatto parte del gruppo giovanile anarchico di Arezzo, città dove era nato si trasferì a Firenze , dove  fondò  la rivista  di idee e di arte Vir, di cui uscirono  6 fascicoli e in cui collaborarono  , tra gli altri  Giovanni Papini, Sem Benelli e la giovane Leda Rafanelli, di cui si  innamorò e da cui ebbe nel 1910 il figlio, Marsilio (Aini). Nel 1908, su richiesta di Nella Giacomelli e Ettore Molinari , che li volevano come collaboratori del loro giornale la Protesta Umana Leda Rafanelli e Giuseppe  Monnanni si trasferirono a Milano dove fondarono , tra l'altro, nel 1910 la " Libreria   Editrice Sociale”, che divenne ben presto un importante punto di riferimento  per intellettuali e artisti (si veda sopra)
  Allo scoppio  della prima guerra mondiale, così come già prima per la guerra italo/turca  Monnanni fu un  rigoroso anti interventista .Fuggito in Svizzera per non essere arruolato scrisse sul Risveglio Anarchico, un  duro articolo contro gli anarchici interventisti , in cui, tra l’altro, smentiva un qualunque rapporto tra  l’individualismo e la guerra.   (cfr. brano)
Brano da commentare: “   “ Se il fatto della guerra li ha sorpresi, vuol dire che sognavano, se li ha convertiti, vuol dire che non erano convinti; se li ha spaventati, vuol dire che erano deboli; se li ha confusi con quella folla variopinta di pseudo socialisti e sindacalisti che gridano compassionevolmente  alla guerra vuol dire  che erano degni di tale pantano. Se erano, se sono anarchici, anche in questo momento, non possono trovarsi d’accordo con altri che anarchici non si dicono […] .. Quel che ci preme è negare subito che vi possa essere il benché minimo rapporto tra individualismo e guerra, come qualcuno vorrebbe far credere. Anzi, proprio la tendenza individualista dell’anarchismo è quella che maggiormente si allontana dalle ideologie democratiche in nome delle quali si è compiuto il mostruoso connubio guerrafondaio in Italia “ (Individualismo anarchico e guerra in Il Libertario, marzo 1915)
Bibliografia:  G, Sacchetti, Giuseppe Monnanni in  Dizionario biografico degli anarchici italiani (DBAI)  , BFS volume, secondo , 2004 p. 208

Nel 1917,    Monanni,insieme ad altri compagni, renitenti alla leva,  pubblicarono un opuscolo intitolato  A Testa Alta , dove si respingeva fieramente l’accusa di codardia rivolta, anche in alcuni ambienti della sinistra italiana, ai disertori della  grande guerra, rifugiati in Svizzera. (cfr. brano)
Brano da commentare: “  Fedeli si riferisce qui all’opuscolo A testa alta!, firmato “un disertore” ovvero Monanni “ pubblicato ad iniziativa di un gruppo di refrattari italiani “ a Lugano nel marzo 1917; vi viene denunciata la persecuzione dei “disertori politici in Svizzera, definizione indispensabile “ per differenziarci da quelli che per profonde convinzioni morali e politiche si sono fatti renitenti, bensì per gretto egoismo o per vigliaccheria” Lo scritto si conclude in senso ammonitore “ Non abbiamo disertato per poltrire” sottolinea il compilatore, a nome  di tutti i disertori, “ ma per agire;  e confidando sul terribile ammaestramento che i popoli subiscono per causa dei loro governanti, ci apprestiamo a quella che sarà la nostra vera guerra”

Bibliografia: in  Antonio Senta, A testa alta. Ugo Fedeli e l’anarchismo internazionale (1911-1933) , Zero in condotta, 2012 pp.  76-77

Implicato a  Zurigo nel cosiddetto  “ affare delle bombe; insieme ad altri anarchici tra cui Bruno Misefari ( cfr. post :  BRUNO MISEFARI e infra il post ANARCHICI/E SVIZZERI/E :LA FEDERAZIONE DEL GIURA....)MALEDETTA GUERRA) fu rinchiuso in prigione dal giugno  1919 al gennaio  1920 e poi consegnato alla polizia italiana.
Libero , tornò in Italia e riprese l'attività editoriale   con la Rafanelli che si concluse nel 1923  con  la devastazione  dei locali della casa editrice  da parte dei fascisti  e la 
successiva chiusura forzata.  Durante il fascismo  fu posto sotto stretta sorveglianza, il che però non gli impedì di fare alcuni viaggi all’estero. Nel 1934  sposò  Albina Zanini all' insaputa di Leda Rafanelli, che lo scoprì per caso . Nel 1939 fu arrestato e rinchiuso in prigione a disposizione del TRibunale Speciale per tre mesi  per il sospetto, sembra, di avere intrattenuto durante un viaggio in Francia nel 1938 contatti con antifascisti in esilio.   Nel 1944 morì il figlio Marsilio (Aini).  Nel 1946 , dopo la caduta del fascismo, divenne direttore editoriale della Rizzoli. Morì a Milano nel 1952.
                                                                              
 
 
CARLO MOLASCHI (1886-1953) anarchico e antifascista. Aderì giovanissimo  sotto l’influenza di Luigi Molinari alla tendenza educazionista anarchica ispirata  alla “ scuola moderna” di Francisco Ferrer.  Nei primi anni del nuovo secolo  aderì    alla tendenza  anarco-individualista con venature nietzschiane , ( nella versione conosciuta allora in Italia, tramite D’ Annunzio ed altri) e superomiste , che più tardi,  ricorderà così :
Brano da commentare: “ A vent’anni conobbi le idee di Federico Nietzsche.   […]  Così parlò Zarathrusta mi esaltò. Lo lessi, lo rilessi, mandai a memoria dei brani. Volli andare oltre, scovai tutti gli scritti su Nietzsche […] Poi mi sprofondai nella  Gaia Scienza, nell’ Anticristo cercando avidamente il successo della filosofia pagana che cantava la vita, la gioia, la bellezza, il piacere e la forza […] Fu un periodo di vita intellettuale terribilmente intensa [... ] Pensavo che l’umanità sarebbe stata incapace di risolvere  il problema del mondo riservato agli eletti, e solo coloro che sapevano vivere laloro vita avevano diritto ai doni della terra. Gli altri, mandria umana, erano nulla. Il popolo era indegno di sacrificio perché nato servo:attraverso i secoli e i milenni avrebbe sempre portato il suo destino di schiavo.(  Carlo Molaschi  Pagine Libertarie 15 gennaio 1922)
Bibliografia: in  Fabbrizio Giulietti, Franco Angeli , 2012 p. 195. Il testo intero si trova in Carlo Molaschi, Pietro Gori, Edizioni Il Pensiero, Milano, 1959 pp. 55ss.

 Diresse tra il 1914 e il 1915, la rivista Il  Ribelle    , che si prefisse il fine,  rivelatosi purtroppo vano,  di contrastare una entratandell' Italia  nella guerra scatenatasi inb Europa dopo l'attentato a Sarajevo all'arciduca  Francesco Ferdinando d'Asburgo.  cfr. brano )  
Brani da commentare 1) “ Lontani da noi i mediocri, i falsi , i pavidi. Costoro anche se si dicono anarchici ci sono nemici.  Il ribelle non è per gli idioti incapaci di pensare e per il popolino che si trascina indifferente e soddisfatto dal servaggio alla bettola. Il ribelle  è per chi guarda con disgusto tutte le brutture della vita corrente e che vuole e sa liberarsi […] Con noi i forti! Solo essi potranno seguirci. “ ( Carlo Molaschi, Per chi ci vuole seguire, in  Il Ribelle n. 8 febbraio 1915); 2) " Brano da commentare :  “ 1914:  la guerra! Non mi sorprese: compresi però che era una cosa mostruosa contro la quale era doveroso insorgere nel  periodo n cui l’Italia rimase neutrale mi buttai a capofitto nella battaglia. Fu allora che sorse ” Il Ribelle “ e sorse appunto per dimostrare che l’individuo doveva negare la propria vita alla guerra dei padroni. Le guerre erano mostruosi giochi di borsa ai quali l’uomo doveva sottrarsi. Si sgozzino pure i padroni. Chi non ha interessi in gioco deve disertare l’inutile tragedia. Queste le idee da me sostenute ne “ Il Ribelle”. Il Ribelle uscì per 10 numeri. Poi in una serie di dimostrazioni, venni arrestato e rimasi incarcerato per un mese. Quando tornai libero l’interventismo era padrone assoluto della situazione. Si tentò uno sforzo supremo, ma non eravamo che un pugno di giovani. I socialisti avevano disertato la battaglia. Ultimi gli anarchici, gridavano la loro disperata protesta. . Il 24 maggio fu inesorabile! Colla guerra “ Il Ribelle finì . 
Bibliografia:  Primo brano in   Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS, 2002 p.  32 . Secondo brano in Carlo Molaschi, Pietro Gori,  Edizioni “Il Pensiero”, Milano 1959

Fu più volte arrestato per propaganda antimilitarista e nel 1917 fondò   Cronaca Libertaria, la cui pubblicazione, in netta contrapposizione col  clima guerresco vigente,  fu , però presto soppressa. (cfr.brano)

 Brano da commentare: “ 1915-16-17-18-19 Turbine che passò spaventoso sull’umanità, epoca di pianti, di dolori, di angosce, di disperazioni, di miserie.  […] Lo Stato terribile come un mostro , allungò dovunque i suoi tentacoli  e dovunque agguantò prede da scagliare sui campi di battaglia.[ …]  Non c’era pietà per nessuno e nessuno poteva sottrarsi al duro destino. La forza della legge era regola suprema e la legge calpestava tutto: diritto e libertà. Allora vidi che all’urto della prima realtà la fantastica torre d’ avorio crollava. […] Così il castello incantato creato dalla febbre della mia mente giovanile diventava della guerra, le belle frasi pagane di Nietzsche erano diventate rantoli di morenti. L’individuo è nulla. Che poteva fare l’ uomo solo contro la potenza dello Stato? Che potevano fare gli eletti contro la strage del cannone ?  Non era forse meglio , invece di esaltarsi nella creazione di un uomo imnpossibile, cercare di condurre tutta l’umanità sulla via del  bene ? Tutti gli uomini possono vivere in fraternità nel grande grembo della natura. Bisognava sostituire i sentimenti d’odio con sentimenti i amore. […]  Con queste idee scrissi in “Cronaca Libertaria” l’articolo “ Verso la luce “ e l’opuscolo “ Dalla realtà di oggi alla speranza di domani” censurato durante la guerra e pubblicato due anni dopo nella rivista “Iconoclasta”.  “ Cronaca  libertaria” fu un atto di protesta anarchica contro la prepotenza della censura che aveva soppresso il “Libertario” e visse poco. Venne ucciso dalla censura milanese che, all’indomani di Caporetto s’era fatta  terribile. Intanto le spie avevano soffiato in questura  ed i carabinieri del re mi portarono in caserma. Dalla caserma mi passarono all’ospedale e dall’ospedale tornai alla caserma. Il grigioverde mi imprigionò per parecchi mesi! Parentesi dolorosa! ( Carlo Molaschi,  Dal “Superuomo all’Umanità )

Leda Rafanelli,  in occasione di una conferenza di Luigi Molinari sulla Comune di Parigi  presentò Maria Rossi a Carlo  Molaschi.   Fu comunque,  se ho capito bene , a partire dal 1917, anno della definitiva rottura del rapporto tra Carlo Molaschi ed Aida Latini,  che ebbe inizio una sempre più salda amicizia, tra Carlo Molaschi e Maria Rossi , che si trasformò presto in amore e si sposarono nel 1918.: (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Per una maggiore libertà di reciproco aiuto Carlo Molaschi e Maria Rossi –scrive quest’ultima – si uniscono in matrimonio e da allora la loro collaborazione diventa totale. Dividono ansie, lavoro e sofferenze. I contenuti, i fatti vengono ideati, discussi e avallati di comune accordo. Malgrado le tendenze particolari ( Carlo più metafisico, Maria più scientifica) mantengono un certo equilibrio. Carlo è molto cagionevole di salute, Maria s’addossa il peso delle fatiche fisiche per attenuare le sofferenze e l’asprezza delle battaglie del compagno generoso, timido che non si piega nelle battaglie ( BLAB, Maria Rossi Memorie)

Interrompo  provvisoriamente  le notizie biografiche su Carlo Molaschi per dare alcune informazioni su  Maria Rossi Molaschi


MARIA ROSSI MOLASCHI
MARIA ROSSI ( 1891-1990). Nata a San Colombano al Lambro, comune presso Milano era figlia di un imprenditore stimato dai suoi dipendenti e da una madre conservatrice e autoritaria.  Un’ esperienza che la segnò profondamente fu l’assistere a sette anni alla repressione dei moti di Milano del 1898 (cfr. post
Brano da commentare: “ Fui colpita dalla vista dei feriti avviati al vicino  Ospedale Maggiore: su una carrozzella condotta a mano un uomo grondante di sangue alla testa, era assistito da due giovani, altri sei uomini trasportavano un individuo che non dava segni di vita. Dalle vie sottostanti via Torino arrivavano urla, scoppi e spari: era il tumulto della Milano Lavoratrice, disoccupata e misera repressa dalla polizia e dall’esercito“   ( BLAB Fondo Maria Rossi Molaschi, Memorie)
Bibliografia: Elena Bignami,  La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi, p. 69  in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888
Dopo la scuola frequentò il Convitto femminile , dove intraprese gli studi magistrali diplomandosi , a 19 anni, come maestra . la sua formazione culturale e sociale  , durante gli anni dell’adolescenza, era costituita primariamente da romanzi  e poesie  contemporanee e anche da eventi sociali particolarmente idonei a stimolare l’immaginazione e la riflessione dei giovanissimi/e più sensibili/e. (cfr.brano)
Brano da commentare: “ Fra gli studenti – ricorda Maria Rossi a proposito degli anni di convitto – circolavano romanzi traboccanti di romanticismo, ma anche di ispirazione alla libertà di pensiero. Si memorizzavano le poesie dell’allora ribelle Ada Negri, si leggevano le opere di D’Annunzio , di Fogazzaro e ci si commuoveva per le repressioni si gli universitari italiani a Vienna e si faceva qualche dimostrazione pubblica in loro appoggio” ( BLAB, Fondo Maria Rossi Molaschi, Memorie)
Bibliografia: Elena Bignami,  La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi,  p. 70 in  http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888

Le sue esperienze di maestra nelle scuole dei paesi della provincia di Milano, inclusa la sua natia San Colombano al Lambro, la disamorarono presto dell’ Istituzione scolastica statale sia , come riferisce sulla base dei racconti della stessa Maria Rossi, per la generalizzata condizione di fatiscenza e inadeguatezza  e  degli ambienti scolastici  e sia per l’ingerenza deleteria che ancora esercitavano le gerarchie ecclesiastiche sulla  scuola di stato. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Ricordo descrizioni di pluriclassi con 70 alunni, di aule ricavate da stalle, con il pavimento di terra battuta, di stufe in cui ogni scolaro doveva mettere il suo contributo di legna. Una volta il parroco di un paese , irritato perché nella classe di Maria non si recitavano le preghiere, aveva incitato, senza troppa fortuna, le madri degli allievi a boicottarla e a prenderla a sassate. “  ( Maurizio Antonioli, Prefazione a Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia….)
Bibliografia: Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi Per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS  2002 p. 9.
Subì inoltre una “ispezione scolastica”, che rimase per fortuna senza conseguenze sulla sua carriera scolastica a causa di una denuncia per  propaganda antireligiosa e una critica da parte di una nobildonna proprietaria dell’edificio scolastico in cui Maria Rossi lavorava, per essere troppo tollerante con gli alunni e in particolare con i figli dei contadini. (cfr. brano)
 Brano da commentare:  “ Una mattina ebbi la visita della contessa-marchesa (l’immaginai tale perché non si presentò e la vedevo per la prima volta) accompagnata da un inserviente che si fermò all’entrata dell’edificio e da tre bei cagnetti che perlustrarono tutti gli angoli. La visitatrice avviò un discorso che continuò pressappoco così: “ I contadini sono contenti della maestra, ma lei è giovane, troppo indulgente, le manca l’esperienza. Per non alterare la necessaria disciplina deve abituare, anche con la  frusta (se serve) alla massima ubbidienza ed al massimo rispetto per chi sta al di sopra. Un tempo il primo frutto che si coglieva, il primo manipolo di grano che si mieteva, il primo pane che si sfornava era un omaggio al padrone: ora invece quando si passeggia fra i campi, i contadini fingono di non vederci per non levare il cappello o per dispensarsi dal riverirci”. E aventi la conversazione sullo stesso tema: Mi sentivo ribollire l’ animo. Forse era arrivata qualche notizia da Grezzago? Ebbi la prudenza di ribattere con molta calma: “ Non sono appena uscita dal guscio (sua espressione) come ella crede. Ho l’esperienza di quasi quattro anni d’insegnamento. L’istruzione e la didattica mi conducono all’affetto per gli scolari e sono contenta dei buoni risultati che ottengono”. Qui si chiuse la pungente diatriba e la visita della proprietaria dell’edificio scolastico “ ( B Maria Rossi Molaschi, Autobiografia).

Bibliografia: Elena Bignami, Le schiave degli schiavi. La questione femminile dal socialismo utopistico all’anarchismo italiano (1825-1917), Clueb 2011, p. 257 n. 283

Proprio le  sue personali  esperienze negative  sugli aspetti sociali e pedagogici della Scuola di Stato la resero , così come molti altri compagni milanesi, tra cui Leda Rafanelli e Carlo Molaschi,  entusiasta della iniziativa di  Luigi Montanari di introdurre,  in Italia i principi della Scuola Moderna di Ferrer attraverso,  la diffusione  della rivista quindicinale  L’ Università Popolare , la cui sede centrale    si era trasferita nel 1906 da Mantova a Milano (cfr. brano)
Brano da commentare: “  Questo fu l’ambiente della formazione politica di Maria Rossi. A Milano infatti , Rossi prese a frequentare la sezione delPartito  Socialista che avevasede a pochi passi dalla sua abitazione. Cominciò a leggere “ l’ Avanti” e “L’Università Popolare”, si iscrisse al “sodalizio culturale fondato dai progressisti del tempo” e conobbe, scrive lei stessa, “ i maestri [Andrea] Tacchinardi, Carlo Fontana, Aurelio Montanari, socialisti, e il massimalista [Alfonso] Salvalaio”, ma soprattutto Luigi Molinari, che capì subito l’attitudine e le potenzialità della giovane maestra. Fu lui a suggerirle di mettersi in comunicazione con la scrittrice Leda Rafanelli […]  E fu Molinari a coinvolgere Rossi nella realizzazione del suo sogno, ossia la costituzione di una Scuola moderna libera e laica a Milano “ atta ad educare razionalmente i figli del popolo, onde si prepari una futura generazione cosciente e pronta ad attuare nei fatti le rivendicazioni economiche e politiche verso le quali tende l’ anima  popolare sitibonda di giustizia “ ( Elena Bignami, La nostra vita è la battaglia quotidiana “…..)
 Bibliografia: Elena Bignami,  La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi, p. 69  in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888

Il progetto di una  Scuola moderna a Milano, infine, non si realizzò , il che, tuttavia, non impedì a Maria Rossi, per un certo periodo prima della sua chiusura per  ragioni di ordine pubblico,  di partecipare alle attività didattiche di un “ ricreatorio razionalista per i bambini della classe operaia”.  Ed è proprio mentre stava , sdraiata su un prato attorniata da adulti e da bambini che facevano il girotondo, che la vide, restandone fortemente colpito, Carlo Molaschi, come più le scriverà, ricordando , in una lettera. Cfr. brano.
Brano da commentare:  “ Carissima amica, dunque…  Ti unisco  l’ultimo numero del giornale dell’ Armand [ nota mia, cfr. post  ] nel quale t’ho segnato un articolo chesembra scritto apposta per le maestre [… ] Vedi: leggendo quell’articolo la mia fantasia volava ai tempi giocondi del Ricreatorio Francisco Ferreriano. E fantasticavo su quella maestrina d’allora, una buona ragazza molto gaia, la quale si sdraiava con languido abbandono sulle aspre zolle e il coraggio di tenere appoggiate e sparse sul suo corpo sei o sette teste capellute e libertarie e maschie maggiorenni, e intorno i bimbi che giravano il giro-tondo. “Gira gira il mondo…” Ed io – l’austero – guardavo allora. “ Gente felice e spensierata !” E mi domandavo se ero io il moralista o se era lei la sfacciata. Credilo, amica: ancora oggi non ho risolto il problema.  Bisogna che mi rivolga all’Armand il quale, attraverso i suoi aforismi quindicinali, tien testa a tutte le questioni di amore e di sesso …” ( Lettera di  Carlo Molaschi  a Maria Rossi del 9 luglio 1917)
Bibliografia: Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi Per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS  2002 p. 9.

Non ho capito bene se questa visione da lui ricordata  era avvenuta prima o dopo che Leda Rafanelli,    in occasione di una conferenza di Luigi Molinari sulla Comune di Parigi, nel 1915  presentò Maria Rossi a Carlo  Molaschi.   Fu comunque,  se ho capito bene , a partire dal 1917, anno della definitiva rottura del rapporto tra Carlo Molaschi ed Aida Latini,  che ebbe inizio una sempre più salda amicizia, tra Carlo Molaschi e Maria Rossi , che si trasformò presto in amore. Si sposarono nel 1918.: (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Per una maggiore libertà di reciproco aiuto Carlo Molaschi e Maria Rossi –scrive quest’ultima – si uniscono in matrimonio e da allora la loro collaborazione diventa totale. Dividono ansie, lavoro e sofferenze. I contenuti, i fatti vengono ideati, discussi e avallati di comune accordo. Malgrado le tendenze particolari ( Carlo più metafisico, Maria più scientifica) mantengono un certo equilibrio. Carlo è molto cagionevole di salute, Maria s’addossa il peso delle fatiche fisiche per attenuare le sofferenze e l’asprezza delle battaglie del compagno generoso, timido che non si piega nelle battaglie ( BLAB, Maria Rossi Memorie
Bibliografia: Elena Bignami,  La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi, p. 85  in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888

CARLO MOLASCHI E MARIA ROSSI

Torno adesso a riprendere la vita di Carlo Molaschi, da dove l'ho lasciata e tenendo conto che , da questo momento, si tratterà della  " coppia anarchica " Molaschi/Rossi.
Brano da commentare:  “ Uniti da un legame fortissimo fatto di ammirazione più che di passione – “la nostra unione fu di reciproca apertura, chiarezza, sincerità e libertà individuale, non l’illusione dell’idolo al quale dedicare tutto – Molaschi che dopo l’ armistizio era stato congedato “ma con i polmoni rovinati “, e Rossi abitavano in un “modesto appartementino di una casa popolare in via Lambrate 44, dove insieme si dedicavano interamente alla loro grande passione, il “lavoro politico”, si scriveva, si correggevano le bozze, si preparava la spedizione della stampa, si ricevevano i compagni e gli amici. Miracoli di fatica e di ordine sopperivano l’angustia dello spazio” (BLAB Maria Rossi Memorie
 Bibliografia: Elena Bignami,  La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi, p. 86  in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888
 
 Finita la guerra Carlo Molaschi  fondò , insieme a Maria Rossi la libreria e  casa editrice Tempi Nuovi  e il   quindicinale Nichilismo  in cui si dava  ampio spazio  all’arte e alla letteratura, e dove apparvero, tra l'altro, anche alcuni articoli su temi pedagogici  di Maria Rossi, firmati con lo pseudonimo di Petra (personaggio femminile di un' opera di Ibsen).  ( cfr. brani)
Brani da commentare: 1) “ Nati dalla grande matrice di tutte le rivolte, portiamo dall’inizio l’insofferenza dei ribelli, e lo spirito dei demolitori. Non annunciamo un nuovo metodo di redenzione né consigliamo una nuova ricetta di felicità: il nostro anarchismo non costruisce, ma distrugge. Siamo individualisti e il nostro individualismo non adora né crede nel  superuomo. La nostra negazione ha frantumato anche quest’idolo … Il nostro individualismo è odio, ribellione, sdegno e condanna. Detestiamo l’ordine che governa la vita sociale di oggi perché in esso             vediamo la perpetuazione della nostra schiavitù. Irridiamo al valore delle rivoluzioni ricostruttrici le quali non mutano l’essenza della vita… Costumi, morale, proprietà, diritto, tutto deve essere annientato… e sulle rovine di questo mondo NULLA deve risorgere. Nichilismo, negazione assoluta!... Abbiamo spinto la nostra concezione anarchica fino all’estremo limite, al di là del quale non vi è che l’ignoto… Noi vogliamo minare queste cariatidi perché il mondo crolli e seppellisca lo schiavo. E’ la nostra vendetta! “ ( Noi, Nulla,  in Nichilismo n. 1, 5-20 aprile  2020); 2)  “ Allora troppo chiusi nel nostro individualismo ci sentivamo solo dei “negatori” dei  “nichilisti” così come fu definito molto bene il nostro “stato d’animo” d’allora e il titolo di una rivista che in pochissimi, ma che ci sembrava d’aver la testa piena di idee, si pubblicò sotto la direzione dell’amico Carlo Molaschi” ( memorie di Ugo Fedeli);  3)  “ Avvolto da un’ aura di radicale pessimismo e animato  dalla “negazione assoluta di ogni verità e di ogni speranza “,  “Nichilismo”  si prefigge di dar vita a un movimento artistico e letterario improntato da carattere schiettamente “anarchico”. In ambito più propriamente militante, la rivista si propone invece di “ affermare i principi individualisti anarchici nel campo della lotta sociale”,  di resistere “ alla degenerazione socialista del movimento anarchico italiano” e, soprattutto di trascinare alla sollevazione individuale contro le forme di dominio e di sopraffazione dell’uomo sull’uomo”. … “ .
Bibliografia: Primo brano in Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS 2002, p. 44. Secondo brano in Antonio Senta, A testa alta. Ugo Fedeli e l’anarchismo internazionale (1911-1933),  Zero in condotta,  2012 p. 90. Terzo brano in Fabbrizio Giulietti,  Gli anarchici italiani dalla  grande guerra al fascismo, Franco Angeli, 2015 pp. 104-105

 Nel gennaio del 1922, dopo l’attentato del Teatro Diana, da  un lato, e, dall’ altro,  il graduale , ma inesorabile ascesa al potere del fascismo ,  Carlo Molaschi sentì ,   la necessità  di una organizzazione  rivoluzionaria che  avesse una forte base tra le masse  e passò, fondando un nuovo quindicinale  Pagine  Libertarie  a ideali decisamente orientati verso l’associazionismo, in tempi precedenti tanto ripudiati. (cfr. brano)
Brano da commentare: “… Intanto  però il dissidio fra me e gli individualisti s’era fatto asprissimo : avevo dato un’interpretazione rivoluzionaria dell’occupazione delle fabbriche, proclamavo che l’anarchico, anche se individualista, doveva scendere tra il popolo per gettare i germi della suprema battaglia […] Il nascondere queste verità sartebbe stato vano e assurdo perché gli avvenimenti avrebbero avuto il potere di imporsi. Allora mi si pararono tre vie:  La prima: Accettare l’individualismo di Tucker  e di Makaj negatore della violenza r della rivoluzione, ritirandomi dalla lotta sociale creandomi egoisticamente la nicchia in seno o ai margini  della società. La seconda: Accettare l’individualismo violento  praticato col terrore da gran parte degli individualisti e che ebbe come esponenti Ravachol, Henry, Bonnot. La terza: Entrare nella battaglia comune con gli altri anarchici italiani e dedicare tutte le mie capacità e le mie energie alla propaganda in mezzo alle masse per tentare di educarle alla libertà e per spronarle verso la loro emancipazione integrale. Questa terza via era chiaramente tracciata nel programma dell’ Unione anarchica Italiana. Sentivo che l’individualismo non sarebbe morto finché al mondo ricchi e poveri, gaudenti ed infelici, vincitori e vinti e che avrebbe sempre segnato la storia con la traccia violenta del suo passaggio e che più la reazione avesse tentato di soffocarlo, più sarebbe risorto implacabile. Ma la sua lotta sarebbe sempre stata vana come vano è tutto ciò che è disperato. Esso spargerebbe il terrore nella borghesia, farebbe tremare le colonne che reggono lo stato, sarebbe l’incubo dei governi e delle polizie ma all’umanità dolorante non potrebbe recare beneficio alcuno. Perché l’anarchismo  non deve essere fine a se stesso, ma la leva potente che solleva l’umanità verso il bene, che deve essere fiaccola che illumina le vie del progresso umano, deve essere fede, speranza, amore: deve essere soprattutto umanità! Allora? Allora rimaneva la terza via tracciata dal Programma Anarchico. L’accettai e diedi vita a “ Pagine Libertarie  (  Carlo Molaschi  Pagine Libertarie 15 gennaio 1922)
Bibliografia : in Carlo Molaschi, Pietro Gori, Edizioni Il Pensiero, Milano, 1959 pp. 67-69

Dopo la vittoria del fascismo e durante tutti gli anni del regime, Carlo Molaschi e Maria Rossi, licenziata per avere rifiutato di giurare fedeltà al fascismo dalla sua cattedra di maestra, furono posti sotto strettissima vigilanza . La loro casa nel 1923 fu devastata  da squadristi fascisti e il giorno dopo Carlo Molaschi insieme ad altri ,compagni , tra cui Leda Rafanelli furono portati su un camion in giro per la città  per parecchie ore e sottoposti a derisione e scherno.  La casa fu, poi, negli anni del regime, quotidianamente sorvegliata da un poliziotto nel cortile e da due guardie al portone, il che non impedì, però,  a loro di contribuire alla fuga di Luigi Fabbri.   Nel 1941  Molaschi fu arrestato e confinato a  Istonio Marino, in Abruzzo.  Liberato , partecipò attivamente alla Resistenza contro i nazi-fascisti e dopo la liberazione aderì al Partito Socialista e si dedicò attivamente   fu assessore alla Pubblica Istruzione  a Cusano Milanino  e all’insegnamento , insieme  a Maria Rossi, in una scuola privata di addestramento professionale, da loro fondata. Nel 1948 questa scuola si trasformò  nell’  Istituto Professionale  “ Carlo Molaschi “ di Cusano , ancora in funzione.  Concludo, infine, ricordando    la risposta, nel 1926,  di Carlo Molaschi sulla rivista Pensiero e Volontà  allo scritto  di Camillo Berneri  , La  garçonne e la madre sul problema femminile  ( cfr. post CAMILLO BERNERI: CAMILLO BERNERI : INFANZIA E FORMAZIONE INTELLETTUALE E POLITICA)

 NOTA:  Per la posizione di NELLA GIACOMELLI  e di  LEDA RAFANELLI nei confronti del femminismo ,  dell' "amore libero" e del rapporto tra uomo e donna  cfr. post : DAll' INTERNAZIONALISMO AL FEMMINILE ALL'ANARCO-FEMMINISMO.




 
 
 

 
 
 
 
                                                                             
 
 
 
                                           

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