Bibliografia: in
Giampietro Berti, Errico Malatesta e il
movimento anarchico italiano e internazionale 1872-1932) , Franco Angeli editore,
p. 630
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NELLA GIACOMELLI |
NELLA GIACOMELLI
(1873-1849) nata a Lodi da Paolo Giacomelli , impiegato comunale, laico e repubblicano e dalla madre, filomonarchica, bigotta e autoritaria. Dopo il suicidio del padre i rapporti con la
madre peggiorarono sempre di più e conseguito il diploma di maestra andò a vivere per conto suo. Aderì al Partito Socialista e
divenne collaboratrice del giornale “Sorgete” dove si occupò, tra
l’altro, della parità dei diritti tra uomini e donne,
argomento per quegli anni davvero pionieristico. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Per molti la donna che parla
di governo, che legge articoli di fondo e resoconti particolari, che discute di
provvedimenti politici, è un fenomeno pauroso di malattia degenerativa, che
assurge poi alle proporzioni sinistre di mostruosità quando oltre che parlare,
leggere, discutere, scrive e, per maggiore aggravante, scrive in giornali
socialisti. Oggi proprio non mi sento in vena di mettermi a persuadere quei
molti del loro errore grossolano e – diciamolo pure – di cattivo gusto. E sarebbe
inutile , forse…[…] Noi dobbiamo camminare ancora, fatalmente, per quel sentiero aspro e
spinoso che la necessità di rivendicazioni umane di conquiste economiche à
segnato. Ad ogni passo questo sentiero presenta inciampi e difficoltà. […] Se
il nostro pianto scorre in silenzio e le nostre lacrime cadono senza rumore,
non è detto che pianto e lacrime vadano perdute. Nel tempo c’è la giustizia;
nel perseguitato c’è il vittorioso dell’avvenire” ( Nella, Pietà femminile, in
Sorgete 25 giugno 1899)
Bibliografia: in
Ercole Ongaro, Nella Giacomelli. Un’anarchica controcorrente, Zero in
condotta, 2019 p. 32
Nel 1897, dissentendo dalle autorità comunali, da cui dipendeva, lasciò la
cattedrea di maestra a Cocchio,provincia di Varese e si trasferì a Miano. E fu proprio frequentando, poco a poco, gli ambienti
anarco-individualisti milanesi che Nella
Giacomelli divenne anarchica e fu assunta come istitutrice dei numerosi
figli dello scienziato anarchico Ettore Molinari e di sua moglie Elena Del Grossi. Una probabile motivazione dell’assunzione di Nella
Giacomelli da parte di Ettore Molinari è
riferita da Maria Rossi che affermava di averla appresa direttamente dalla
Giacomelli. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ [Nella Giacomelli] in seguito
a un contrasto con la madre si trasferì a Milano senza consenso. Qui si impiegò
o cercò impiego; si trovò priva i mezzi e non volle subire l’umiliazione di
rivolgersi alla madre; scoraggiata si tirò un colpo di rivoltella alla testa.
Fu trasportata dalla guardia medica di Porta Venezia. Non ricordo se Ettore
Molinari, rincasando, passò dai bastioni ove fu raccolta la tentata suicida o
se, conosciuta la tragedia alla guardia medica, fece trasportare la Nella a
casa sua e l’assunse come segretaria …. “ ( lettera di Maria Rossi a Ugo Fedeli,
7 Agosto 1955)
Bibliografia: Elena Bignami, “ La nostra vita è la
battaglia quotidiana” . Una coppia anarchica al tempo della Prima guerra mondiale negli scritti di Maria Rossi
Molaschi” , in La Camera Blu rivista
di Studi di genere, vol. 11 n° 13, 2015 pp. 72-73 n. 31 in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888
. Devo comunque dire che tale versione dei fatti l’ho trovata per ora solo in questo articolo
e non comprendo il perché.
Della crisi esistenziale, aggravata dalla dolorosa perdita di una figlia, che si pose alle radici di quel rapporto con i Molinari e che costituì una importante svolta per la sua vita futura, abbiamo come testimonianza una lettera da lei scritta all'amico Oberdan Gigli (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Io, malata di noia, inquieta
di mille inquietitudini d’anima, di ispirazioni, sorda di emozioni che mi
dicessero il sapore della vita , io smaniosa di lavoro e di lotta, entusiasta
e appassionata, vissi sempre avidamente, struggendomi però nella ricerca di
qualcosa che mi rendesse felice o mi interessasse. Te lo scrissi una volta. Fui
molto amata, io non amai nessuno. Fu una fatalità: cento volte avrei forse
potuto essere felice, e cento volte il silenzio che ostinato si manteneva in
me, me lo impedì. Poi le circostanze mi gettarono nella famiglia di Ettore.
Avevo un compito tanto bello e nobile ; ma esso mi era reso difficile dal
lavoro inconsciamente nemico che andava facendo la madre dei bimbi che io
dovevo educare. Ma io non mi occupai di null’altro all’infuori dei bimbi. Si strinse un’amicizia tutta
intellettuale con Ettore, divenni sua scolara e collaboratrice. Tante volte
vegliai nel suo studio, sola con lui attorno a qualche suo lavoro. Nessun
sentimento d’amore palpitava ancora in me… Fu dopo, dopo, quando la
bimba mia morì, quando la scompara della mia piccola Ireos mi fece
sentire stranamente un gran vuoto attorno a me, nel cuore, nel cervello ! […] .
Sto per diventare l’amante di un uomo
sposato […] Un turbine d’idee nere , di propositi disperanti mi passa
nell’anima… Anche in me è una rovina! In
questi giorni i compagni hanno tentato ogni via per persuadermi a riprendere
il Grido…
Io capisco che questo sarebbe la salvezza, perché necessariamente prendendo
il Grido sarei costretta ad abbandonare Ettore. Ma io penso alla mia vita solitaria e fredda
che dovrei coindurre … Troppo grande sarebbe il sacrificio… Colla morte nel cuore, non saprei più lavorare né
combattere. Nulla più mi sorriderebbe, nessun alito caldo aleggerebbe intorno a
me a far fiorire speranze e sogni. Tutto sarebbe muto, freddo, odioso … Meglio
morire, molto meglio, sì !......“ ( Nella Giacomelli a Oberdan Gigli, 9 gennaio
1903)
Bibliografia: Versione integrale in Maurizio Antonioli , Sentinelle
perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra, BFS, 2009, pp. 196- 198-199 . Anche io condivido l’esitazione di Maurizio
Antonioli di evocare “ vicende intime
“ e “ giudizi ingenerosi” riguardanti ELENA DELGROSSI, moglie di Ettore Molinari, ma mi piacerebbe sapere almeno come e quando è
morta.
Il rapporto tra Nella Giacomelli ed Ettore Molinari crebbe
sempre di più sia sul piano affettivo che
su quello intellettuale e insieme fondarono due importanti pubblicazioni
anarchiche settimanali: Il Grido
della Folla ( dal 1902 al 1905) e La Protesta Umana ( dal 1906 al
1909) . Di entrambe Nella Giacomelli, oltre che come attiva autrice di articoli
assunse il ruolo di amministratrice. Nel 1908 la direzione della Protesta
Umana fu affidata , a Paolo Schicchi, la cui fama di “martire
eroico” per le sue incessanti traversie
giudiziarie, aveva raggiunto quell’anno il suo apice, si
concluse con una violentissima
(verbalmente) diatriba di Paolo Schicchi, accompagnata anche da volgari insulti
sul piano personale, contro Nella Giacomelli e gli anarchici milanesi, esposta in un opuscolo
intitolato Le degenerazioni dell’anarchismo. Parte I. Mentecatti e
Delinquenti. A
queste critiche infamanti Molinari e Giacomelli risposero prontamente
con durezza nello scritto , Un triste
caso di libellismo anarchico (Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi).
Tale feroce polemica inflisse comunque nella Giacomelli, che aveva personalmente
insistito nella nomina di Schicchi a
direttore, una
profonda amarezza che la allontanò per un certo periodo di tempo dalla
vita politica. cfr. brano).
Brano da commentare: “… In effetti la chiamata di
Schicchi a Milano era stata un errore che la Giacomelli e il Molinari pagarono amaramente. Fra l’anarchismo contestatore del gruppo
milanese e l’anarchismo catastrofico di Schicchi c’era un dislivello di
cultura, di prospettiva e di metodi di lavoro che la comune avversione al movimento anarchico organizzato non era
sufficiente a far superare. E il temperamento di Schicchi , irregolare e
stravagante, non poteva combinare con l’austerità del Molinari e tanto meno con
l’inflessibile disciplina della Giacomelli” ( Pier Carlo Masini, Le due
passionarie della anarchia in Italia
)
Bibliografia: Pier Carlo Masini, Le due passionarie
della anarchia in Italia in Storia
Illustrata. Numero Speciale. L’ Anarchia, ottobre 1973 n. 191 p. 124
Per la sua opposizione all’ intervento dell’Italia
nella “ Maledetta Guerra” del 1915-18 cfr. il post ABBASSO LA GUERRA) . Nel
dopoguerra, nel pieno del cosiddetto “ biennio rosso”, Nella Giacomelli e Ettore Molinari furono tra
i primi a sentire l’esigenza di un quotidiano anarchico e fu proprio la
Giacomelli a proporre , ottenendo un consenso generalizzato, il titolo per quel nuovo giornale di
Umanità Nova, (cfr. brano)
Brano da commentare: “ “Umanità Nova” è il titolo
del quotidiano anarchico in progetto, titolo quasi evangelico, non intonato,
qualcuno dice, al concitato respiro della società in fermento , al tumultuoso
avvicendarsi di eventi, al minaccioso delinearsi di azioni violente o di
propositi audaci di quest’ora che viviamo [In realtà] esso abbraccia nella sua
significazione completa il massimo delle nostre aspirazioni, segna il cammino
per pervenirvi senza deviazioni […] Meta suprema di tutte
le nostre lotte e dei nostri dolori, ti adottiamo come simbolo luminoso di una visione vivente, e ti innalziamo al di
sopra di tutte le folle, verso tutti i cuori, faro e bandiera di luce e di
libertà […] La rivoluzione non è più un sogno, il comunismo libertario è una
meta raggiungibile; l’ideale anarchico non è più una utopia” ( Nella
Giacomelli, Per il quotidiano, in L’Iconoclasta luglio 1919)
Bibliografia: in Fabbrizio Giulietti, Gli anarchici italiani dalla
Grande Guerra al Fascismo, Franco Angeli, 2015 p. 101 nota n. 63
Nel 1922 Nel 1922 con lo pseudonimo di Petit Jardin, Nella
Giacomelli pubblicò un satirico testo
teatrale intitolato Il giudice Cappone ovverossia Le farse della giustizia, ove facendolo
passare come una traduzione italiana di
un testo esquimese ove si faceva riferimento alla pretestuosa inchiesta
giudiziaria contro Enrico Malatesta , Armando Borghi ed altri, all’ estenuante
sciopero della fame degli arrestati e al drammatico attentato al
teatro Diana. Nel 1928, in piena dittatura fascista,
Nella Giacomelli e i due figli, Libero ed Henry, di Ettore
Molinari, morto nel 1926, furono arrestati perché sospettati di
essere coinvolti nell’attentato Lucetti. Fu liberata, insieme a Libero e ad Henry Montanari, anche grazie alla
mediazione di Oberdan Gigli, ormai fascista, e di Ada Negri, amica, dall’
infanzia di Nella e di sua sorella Fede. (cfr. brani)
Brani da commentare: 1) " La vostra raccomandata Nella Giacomelli sarà posta in libertà prossimamente oggi aut domani ( Benito Mussolini ad Ada Negri 12 agosto 1928); 2) " Illustre Signora Ada Negri , di ritorno da Roma, trovo la sua gentile risposta. La ringrazio- Illustre Signora - di quanto ella ha fatto, e spero molto nell'altra influenza Sua. [...] Io pure credo con Lei che il Duce non permetta altro che atti di giustizia, e per questo abbiamo ricorso a Lui: ma in suo nome agisconoanche persone abbiette ed immorali e occorre in tal caso arrivare alla fonte pura. Voglia perdonarmi Signora se l'abbiamo disturbata; ma per un'opera buona e giusta! E voglia accettare i nostri ringraziamenti più vivi e i nostri ossequi. Devotissimo Oberdan Gigli" ( Oberdan Gigli ad Ada Negri , 13 agosto 1928)
Bibliografia: Primo brano in Ercole Ongaro, Nella Giacomelli. Un’anarchica controcorrente, Zero in condotta, 2019 p. 158 . Secondo brano in Maurizio Antonioli , Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra, BFS, 2009, p. 203
Dopo la scarcerazione Nella Giacomelli si autoesiliò mella Villa Montanaria Rivoltella del
Garda, dove morì nel 1949.
Per la critica nel dicembre 1906,di Nella Giacomelli alla colonia anarchica " L' Essay "fondata da Henry
Fortuné in Belgio, presso Aiglemont nelle Ardenne, cfr. qui post LES MILIEUX LIBRES
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LEDA RAFANELLI |
LEDA RAFANELLI (1880-1971) nota anche col
sopranome " la zingara anarchica, originaria di Pistoia, dopo avere
vissuto, per alcuni mesi ad Alessandria d’Egitto, dove, fortemente attratta
dalla cultura orientale, si era convertita all’islamismo, a cui mantenne fede sino alla morte pur vivendolo a suo modo e in quasi perfetta sintonia con il suo anarchismo. (cfr. brani).
Brani da commentare: 1) “Ho sangue
arabo nelle vene: mio nonno materno era figlio naturale di un o Zingaro
tunisino. Finb dai primi anni ho rivelato le tendenze orientai della mia anima:
nella preghiera invece di congiungere le mani , volgevo le mani in alto, con le
palme verso il cielo, e istintivamente mi orientavo verso l’ Est . In famiglia
mi consideravano ”stravagante.“ Amavo
adornarmi con collane di gemme brillanti, e reclamavo per le piccole
orecchie grandi “cerchioni” che mi
davano l’apparenza d’una zingarella. E di una zingarella avevo veramente il “tipo” con la mia pelle
bruna e i capelli neri e ricciuti […] Il mio gioco prediletto era quello di
predire la buona ventura . Avevo sempre , in una borsa di seta verde appesa
alla cintura, un logoro mazzo di carte. Molto spesso le “consultavo” disponendole
a mio modo e “leggendo” quello che credevo mi dicessero. Nessuno mi dava
ascolto […] Tutti i miei personali
“ricordi”, i sogni, le aspirazioni, i desideri, erano basati, sistemati,
orientati verso l’Antico Egitto, mia
Patria di elezione “ ( Leda
Rafanelli, Memorie di una chiromante) ; 2) “ La sua religiosità, inscalfibile,
ma tutta interiore, tollerata dai
compagni atei come una perdonabile stranezza, fu, a sua volta, tollerantissima
della loro miscredenza. Infine la quintessenza d’arabismo filtrata durante
l’esperienza alessandrina, col tempo trasse nuova linfa dallo studio delle
antiche civiltà egizie, e della stessa lingua araba, dal sopravvenuto interesse
per le scienze occulte, per l’astrologia e la magia e da una crescente
attrazione verso tutto il mondo orientale, anche ebraico e indiano. [...] Il punto d’intersezione fra islamismo e
anarchismo è istintivamente trovato nell’assoluta insofferenza per i problemi
economici e pratici (il denaro, l’alloggio, l’approvvigionamento), nella
allegra disponibilità per tutte le situazioni, anche le più scomode e precarie,
nell’incertezza del domani come regola dell’oggi, nel vivere dell’aiuto altrui,
mai preteso, sempre gradito e generosamente ridonato. Insonna una zingara
anarchica: questo fu Leda Rafanelli “ ( Pier Carlo Masini, Introduzione a Leda
Rafanelli, Una donna e Mussolini); 3) La Rafanelli sosteneva di essere musulmana per
discendenza, in quanto suo padre sarebbe nato da una relazione clandestina di
sua nonna con uno zingaro musulmano di passaggio a Pistoia. Se tale
affermazione avesse avuto un fondo di verità, del quale però è lecito dubitare,
Leda Rafanelli sarebbe stata una musulmana per discendenza, poiché
l’appartenenza all’ Islam si trasmette per via paterna: i figli di padre
musulmano entrano naturalmente e obbligatoriamente a far parte della umma, la comunità dei credenti. Leda
Rafanelli , ad eccezione del quinto precetto, lo hagg, che consiste nel recarsi alla Mecca almeno una volta nella
vita, rispettò nel corso nella sua
esistenza tutti i doveri fondamentali di un buon musulmano: la preghiera
rituale (cinque volte al giorno) l’elemosina, il sawn, il digiuno durante il ramadan,
il nono mese dell’anno lunare. Dall’età
di vent’anni fino alla morte la Rafanelli si professò musulmana. Quest’appartenenza
fu sempre relegata nella sfera privata: circoscritta ed accentuata da una serie
di abitudini: nel vestire, nel mangiare, nell’arredare gli ambienti in cui
viveva , nell’uso di profumi ed incensi, secondo una stile di vita arabo ed
orientale, non privo di tratti personali e folklorici. Leda Rafanelli aveva
appreso l’arabo, lo parlava e lo scriveva. […] L’aspetto originale e per più
versi paradossale della propria identità , islamica e anarchica di Leda
Rafanelli si evince anche dal nome arabo che si diede. : Djali senza peraltro abbandonare quello originale. “ Mi sono
donata questo nome, oltre il bel nome che porto / poi che Djali vuol
dire di me stessa/ ed io ho sempre
appartenuto solo a me stessa” . L’idea che si possa appartenere solo a se
stessi è del tutto estranea all’islam: la parola Islam significa
“sottomissione alla volontà di Dio” deriva dal verbo salama che vuol dire appunto sottomettersi. Muslim , participio di questo verbo , sta ad indicare colui che si
sottomette, obbedisce. […] Il nome Djali sembra piuttosto evocare l’anima
anarchica di Leda Rafanelli, espressa in maniera orientale e divenuta un
tutt’uno con essa, secondo una sintesi per lei naturale …” ( Enrico Ferri, Leda
Rafanelli: un anarchismo islamico? )
Bibliografia:
Primo brano : Alessandra Perrotti , Pagine di Leda Rafanelli:
rileggere la storia attraverso la memoria autobiografica p. 18; Secondo brano : Pier Carlo Masini,
Introduzione a Leda Rafanelli , Una donna e Mussolini, Rizzoli 1975 p. 8-9 . Terzo brano: Enrico Ferri, Leda Rafanelli: un
anarchismo islamico? in Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia,
a cura di Fiamma Chessa, Biblioteca
Panizzi Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa, pp. 152-153-154-155
Tornata in Italia Leda Rafanelli si stabilì a Firenze,
dove insieme al suo compagno (e marito) , Luigi Polli si dedicò all’attività
politica, pubblicando parecchi opuscoli , tra cui Contro la scuola e Anticlericalismo moderno e romanzi,
di contenuto anarchico, tra cui La bastarda del principe (1904) o Le
memorie di un prete ( 1906) e venne a contatto con numerosi anarchici,
tra cui Pietro Gori, con cui stabilì una salda e fraterna amicizia. ( cfr .post PIETRO GORI) .
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LEDA RAFANELLI e GIUSEPPE MONANNI |
Nel 1907 collaborò alla rivista fondata da GIUSEPPE MONANNI di tendenza anarco-individualista e tra loro iniziò una relazione che durò per circa vent'anni.
Nel 1908, non ancora trentenne , Leda Rafanelli si
trasferì a Milano e insieme a Giuseppe Monanni, pubblicarono la rivista La sciarpa nera, da cui uscirono 4 numeri e nel 1910 fondarono la " Libreria Editrice Sociale", importante impresa editoriale
dell’anarchismo italiano. In questo periodo nacque la fruttuosa collaborazione
tra la Libreria Editrice Sociale, con il
giovane pittore Carlo Carrà, autore, tra l’altro, del celebre quadro “ I
funerali dell’anarchico Galli “ (cfr. primo brano). Sulla breve , ma intensa,
relazione di Carrà con Leda Rafanelli si
espresse, anni più tardi, lei stessa.
(cfr. secondo brano)
Brano da commentare: 1) “ Facevo ( nota mia: Carlo
Carrà) di quando in quando dei disegni per alcuni editori fra cui il
Monanni. Questi disegni gli servivano per illustrare la sua rivista Sciarpa
Nera, il giornale La Rivolta ed altre
pubblicazioni”. ( Carlo Carrà, La mia vita, Rizzoli, 1945) 2) “… Ma anche tra me e il Pittore c’era una frattura della antica
confidenza. Ogni volta che parlavamo era uno studiarsi reciprocamente quasi che
– a tutti e due – dolesse di urtarsi, ma non potendone fare a meno. Restava tra
noi solo l’ attrazione fisica, ed in questo caso era la più pericolosa. La
fusione intellettuale e ideale con i Compagni lasciava liberi tutti di “vivere
la loro vita e nessuno si sentiva legato all’altro all’infuori del comune
Ideale, ma solo l’attrazione fisica spingeva fatalmente ad unirsi segretamente.
– non per conoscersi meglio, come avviene per l’Amore – ma a deludersi l’un
l’altro, poi che ci conoscevamo abbastanza per sentirsi diversi e lontani. […]
Il tempo ha voluto dare la sua risposta: Io sono rimasta quella che ero, sempre
più forte nelle mie idee e in lotta con
la vita economica che, per altro non mi sgomenta affatto. Lui, il Pittore , nel correre del tempo,
cambiò tendenze e opinioni, accettò ricompense e notorietà …[…] Scelse la via
che conduce alla ricchezza ; ed è divenuto “celebre”. ( Leda Rafanelli-
Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai celebre, a
cura di Alberto Ciampi…)
Bibliografia : Alberto Ciampi (a cura di di) Leda
Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai
celebre, nota introduttiva
Fiamma Chessa, Postfazione :
Marina Monanni, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2005 . Primo
brano a p. 183 e secondo brano a pp. 89 e 91
Una profonda antipatia fu provata , sin dall’inizio, da Leda
Rafanelli nei confronti di Filippo Tommaso Marinetti, capo riconosciuto del
movimento futurista (cfr. primo brano) che poi raggiunse il suo culmine con gli
scontri aperti tra interventisti e antinterventisti alla vigilia della prima
guerra mondiale. (cfr. secondo brano)
Brani da commentare: 1) Era allora apparso sulla
scena un tizio (nota mia: F.T. Marinetti), che era ben conosciuto nel
mondo della letteratura, poi che dirigeva -o finanziava- una Rivista di Poesia.
[…] Quel “tale” era ricco, dicevano… Possedeva un Milione! A quel tempo era una
forte somma. Specie tra i “bohemiens”, sempre senza una lira da spendere
spensieratamente. Alto, magro, elegante, con una espressione superba e
imperiosa. Quel signore era, però, quasi completamente calvo e con la sua voce
sonora, le sue “fanfaronate” – come osservarono alcuni, dandogli il nomignolo
di “FANFARONE” riuscì almeno a noi molto antipatico. Nessuno del nostro gruppo
fece lega con Lui, che imperava al tavolino dei Pittori. Non si udiva altro che
la sua voce. [ …] Sentimmo dire parole idiotamente critiche anche contro
Artisti che avevano onorato e illuminato il mondo del’Arte. C’era da ridere se
non avesse irritato. Cercando, sì, parlando a voce stentorea, di ricevere
consensi dai presenti, guardandosi attorno con occhi di falco. Noi Libertari
non gli rispondemmo mai una parola. Lo ignoravamo malgrado facesse tanto
chiasso. Io non gli ho mai stretto la mano. Disprezzava tutto e tutti, solo
perché aveva dei fogli da mille da gettare per le sue conquiste fossero femmine
da letto o Artisti in cerca di notorietà …”; 2) “Noi sapevamo per quali “scopi”
di interessi borghesi, di ambizioni di classe, mascherati da ragioni
patriott[i]che, si metteva in moto lubrificato dall’odio, il macchinismo
sconcertante che preparava la guerra anche in Italia. Intanto anche le nostre
voci, in nome della libertà individuale e della pace tra i popoli, esprimevano
la discordia con l’opposta corrente e la guerra delle idee era già nell’interno
di ogni nazione. Si comprende come il nucleo futurista, con a capo il
megalomane parolaio ed esibizionista ( nota mia: F.T. Marinetti) che
agitava lo straccio dell’irredentismo; fossero dalla parte dell’interventismo
immediato. Erano diventati tutti strateghi di azioni guerraiole, tutti
competenti di armi, cannoni e tracciatori di confini. […] Davvero i nemici veri
erano vicini a noi, e il nostro distacco era incolmabile. Con i Futuristi non c’ incontravamo più, ci
evitavamo a vicenda, poi che essendo stati un tempo amici, era triste sentirci
pronti ad odiarci. Non era una sorpresa,
che tutti in gruppo, fossero passati all’interventismo, poi che fin dal primo
Manifesto del loro Capo esaltavano la “ Guerra,
sola igiene de mondo”! ( Leda Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo…)
Bibliografia : Alberto Ciampi (a cura di di) Leda
Rafanelli- Carlo Carrà. Un romanzo. Arte e politica in un incontro ormai
celebre, nota introduttiva
Fiamma Chessa, Postfazione :
Marina Monanni, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2005 . Primo
brano a pp. 79-80 e secondo brano a p. 164
Leda, sempre
con Monanni, fondò, poi, nel 1913 una rivista La libertà , fatta
interamente da loro e che durò sino al 1914. Contemporaneamente la Casa Editrice Sociale pubblicò
l’importante opuscolo della Rafanelli , Abbasso la guerra! , in cui
venivano fortemente criticate le allora
prime proposte negli ambienti di
sinistra di intervenire nella guerra, che scoppiata dopo l’attentato di Sarajevo
contro l’ arciduca Francesco Ferdinando d’ Asburgo si stava espandendo in tutta
Europa e nel mondo. ( cfr. post ABBASSO LA GUERRA). E fu proprio, nel
periodo di poco precedente all’ entrata in guerra dell’Italia, che Leda
ebbe una relazione con Benito Mussolini e la interruppe
immediatamente dopo il voltafaccia interventista del futuro
duce. Nel suo libro, La
donna e Mussolini, scritto nel 1946, Leda Rafanelli ricordò, in modo ancora pieno di
passione, l’ angosciosa ansietà dei giorni precedenti
l’entrata in guerra dell’ Italia (cfr. brano)
Brano da
commentare: ” Io ero in uno stato d’animo strano. Comprendevo che si
compiva qualcosa di inevitabile. Che l’ Europa, la parte di mondo che ha sempre
rubato agli altri suolo, prodotti, libertà, autonomia, - dovesse finalmente
pagare le sue colpe era ormai una vicenda in atto. Sentivo che era quasi
giusto, logico, che l’ Europa soffrisse ciò che aveva fatto soffrire ai popoli
conquistati, che comprendesse quale terribile realtà è la violenza delle armi.
La mia conoscenza teofisica mi faceva capire che c’è un destino -
il Karma- per i popoli come per gli individui, e quello che avveniva doveva
avvenire. Ma c’era anche la mia passione di libertaria, anelante alla
indipendenza dell’individuo; e ancora , la mia pietà di donna che si ribellava
contro il collettivo macello di creature ignare e non responsabili. […] Io soffrivo molto in quel tempo, presaga di ciò che
doveva avvenire. E non seppi, non volli tacere. In quelle giornate ardenti,
mentre le idee cozzavano contro altre idee, mentre anche alcuni a noi vicini si
facevano travolgere dalla corrente che invocava la “guerra liberatrice” – io
volli mettermi al sicuro da ogni interpretazione errata delle mie teorie. Sì,
incondizionata simpatia per la Francia, - sì, assoluta solidarietà verso chi
combatteva contro stati reazionari, contro imperi prepotenti, - ma soprattutto
cosciente esecrazione della guerra , - del fatto guerra, - e consapevole
rinunzia a tutto ciò che è detto gloria – eroismo – valore di marca dinastica
militare e borghese. E in una notte di dolorosa passione, turbata e
straziata per tutto ciò che succedeva a noi intorno, scrissi un opuscolo che
intitolai, a scanso di equivoci, Abbasso la guerra . Questo opuscolo fu
stampato in molte migliaia di esemplari, e diffuso in tutta Italia. Naturalmente
fu subito sequestrato. […] Ho parlato di questo opuscoloperché Mussolini
lo lesse e – mi disse poi,- lo approvava incondizionatamente. … “ ( Leda Rafanelli, Una donna e
Mussolini, 1946 )
Bibliografia: Leda Rafanelli,
Una donna e Mussolini , Rizzoli Editore 1975, pp. 160-161
Amica già dal 1913 di Carlo Molaschi ( cfr. in questo stesso post)
accettò di collaborare alla rivista
Nichilismo, da lui fondata nel 1920 pur non condividendone gli obiettivi finali . (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Io sono molto lontana dal nihilismo dei redattori
di questa rivista; e del tutto diverso – anzi opposto – è il mio orientamento […]
I nihilisti che affermano la loro volontà di osare una completa distruzione di
tutto, enunciano forze ( morali , s’intende) che non sempre hanno. Più vicina
all’animo umano e più sincera è la concezione opposta, quando l’individuo
aspira al bene, alla pace e alla bontà e sente tutte le forze contrarie opporsi
alla sua ascesa verso la perfezione; così da arrivare a convincersi […] dell’inutilità
di tutte le cose […] lontano dunque, io sono, così pensando, dalle affermazioni
di forza e di orgoglio che i nihilisti volitivi (non c’è contraddizione ?)
faranno delle ragioni di questa rivista, che ha per scopo l nulla. Ma forse
anche credendo di anelare al nulla, non si nasconde uno scopo?”… ( Leda
Rafanelli, Il mio nihilismo, n. 1 5-20 aprile 1920)
Bibliografia: in Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La
corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi per una lettura
dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS 2002, p. 44. Cfr. anche
Mattia Granada Lettere dall’individualismo milanese : Leda Rafanelli,
Carlo Molaschi e Maria Rossi in Leda
Rafanelli tra letteratura e anarchia, a cura di Fiamma Chessa, Biblioteca Panizzi Archivio
Famiglia Berneri-Aurelio Chessa, p.61.
Non mi sembra che rispetto all’ articolo precedente vi siano sostanziali
varianti.
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LEDA RAFANELLI |
Rimasta sola a Milano, dopo la diserzione di Giuseppe Monanni dall' esercito e la sua fuga in Svizzera collaborò a pubblicazioni libertarie italiane e francesi. Nel 1920, al ritorno di Monanni in Italia fondarono La Casa Editrice Sociale , da cui uscirono tra l'altro alcuni romanzi della Rafanelli, tra cui L'eroe della folla (1920) e Incantesimo (1921). Pubblicò anche la raccolta di novelle Donne e femmine (1922) .Nel 1923 la Casa Editrice Sociale fu invasa e distrutta dai fascisti (cfr. brano)
Brano
da commentare: Il 10 novembre 1923 fu la
volta della Casa Editrice Sociale e dell’appartamento dei Molaschi, dove venne
distrutta la biblioteca personale, costata tanti sacrifici. Furono incendiati
complessivamente cinque camion di stampati sequestrati presso alcuni anarchici.
L’11 novembre l’onta dopo lo sfregio, Carlo Molaschi viene caricato su un
camion scoperto accanto a Leda Rafanelli, e “a mò di intimidazione vengono
trasportati da un capo all’altro della città e fatti sostare davanti alle case
che venivano perquisite. La scorribanda durò parecchie ore. Il giorno dopo fu
rilasciata Leda, sofferente di cuore” ( ricordo di Maria Rossi Molaschi)
Bibliografia:
in Elena Bignami, Le schiave degli schiavi. La “questione femminile” dal
socialismo utopistico all’anarchismo italiano (1825-1917), Clueb, 2011, pp.
278-279
Durante il ventennio fascista, nonostante il duro regime imposto dal regime Leda Rafanelli continuò, comunque, a scrivere romanzi, senza tradire mai le sue idee e il suo stile di
vita anticonformista e libertario. Tra questi scritti , solitamente
firmati con affascinanti pseudonimi, mi limito a citare, pur non
avendoli io mai letti, L' Oasi. Romanzo arabo (1929) e il
libro per adolescenti , nonostante la promulgazione delle leggi
razziali, intitolato, Vedere il mondo avventure di due ragazzi
eritrei, (1939) e anche vari racconti pubblicati sul Corriere
dei piccoli . Per queste informazioni, che spero un giorno di potere
approfondire, cfr. Tiziana Pironi, Percorsi di pedagogia al
femminile. Dall' unità d'Italia al secondo dopoguerra, Carocci editore, pp.
89-112). Dopo la caduta del fascismo ,
Leda Rafanelli, oltre a Una donna e Mussolini scrisse negli anni sessanta, alcuni suoi
ricordi per Umanità Nova. Morì
a 91 anni e nel 2010 è uscito postumo il suo libro Memorie
di una chiromante, a cura di M. Cappellini, Nerosu bianco edizioni,
Cuneo.
GIUSEPPE MONNANNI (
o MONANNI) ( 1887-1952) , tipografo ed editore anarchico. Appartenne alla
tendenza anarco – indidualista ricordando comunque che
essa non era affatto omogenea ed esistevano tanti modi di essere
individualisti . I suoi attacchi comunque contro il comunismo anarchico e contro
l’anarco-sindacalismo raggiunsero spesso
toni esasperati (cfr. brani)
Brani
da commentare: “ Siamo contro la
società così come è costituita e contro tutte le costruzioni sociateriste […..] l’anarchia e il socialismo vogliono in fondo instaurare, generalizzandolo per decreto o
per educazione, il principio stesso di giustizia che informa la società attuale
e che comprende o dovrebbe comprendere , con l’eguaglianza, la fratellanza e la
libertà“ ( Giuseppe
Monnanni , Noi Anarchici in La libertà,
ottobre 1913) ; “ Socialisti e sindacalisti si può essere
quanto si vuole – giacché tali dottrine derivano dalla concezione borghese
dello stato o accentratrice del
sindacato ch’ è la stessa cosa , ma anarchici e ingolfati tanto nella legalità
dei metodi falsi e riformistici delle organizzazioni non si può essere assolutamente.
[…] Oggi ad ogni angolo, in ogni piazza sventolano i vessilli e tuonano i verbi
della Sociale e dell’ anarchia. Il
gregge proletario guidato dai suoi pastori ( i nuovi preti della nuovissima! Ma
pur sempre cristiana religione) marcia con la testa nelle nuvole alla conquista
dell
‘Avvenire e dell’ Amplesso Universale- Egli marcia digrignando i denti contro
dei fantasmi e si sviene d’amore ai piedi della Dea Umanità, la pidocchiosa “ (
Giuseppe Monanni, La morale e
l’organizzazione in La rivolta, gennaio 1910)
Bibliografia: in Fabrizio Giulietti, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Franco Angeli 2012 pp. 196-197. Cfr. anche Gino Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla
settimana rossa per una storia dell’anarchismo (1881-19149, cp editrice 1977 p. 112.
Dopo aver fatto parte del gruppo giovanile anarchico
di Arezzo, città dove era nato si trasferì a Firenze , dove fondò la rivista di idee e di arte Vir, di cui uscirono 6 fascicoli e in cui collaborarono , tra gli altri Giovanni Papini, Sem Benelli e la giovane
Leda Rafanelli, di cui si innamorò e da cui ebbe nel 1910 il
figlio, Marsilio (Aini). Nel 1908, su richiesta di Nella Giacomelli e Ettore Molinari , che li volevano come collaboratori del loro giornale la Protesta Umana, Leda Rafanelli e Giuseppe Monnanni si trasferirono a Milano dove fondarono , tra l'altro, nel 1910 la " Libreria Editrice Sociale”, che
divenne ben presto un importante punto di riferimento per intellettuali e artisti (si veda sopra)
Allo scoppio
della prima guerra mondiale,
così come già prima per la guerra italo/turca
Monnanni fu un rigoroso anti interventista .Fuggito in
Svizzera per non essere arruolato scrisse sul Risveglio Anarchico, un duro articolo contro gli anarchici interventisti , in cui, tra l’altro, smentiva
un qualunque rapporto tra
l’individualismo e la guerra.
(cfr. brano)
Brano da commentare: “ “ Se il
fatto della guerra li ha sorpresi, vuol dire che sognavano, se li ha
convertiti, vuol dire che non erano convinti; se li ha spaventati, vuol dire
che erano deboli; se li ha confusi con quella folla variopinta di pseudo
socialisti e sindacalisti che gridano compassionevolmente alla guerra vuol dire che erano degni di tale pantano. Se erano, se
sono anarchici, anche in questo momento, non possono trovarsi d’accordo con
altri che anarchici non si dicono […] .. Quel che ci
preme è negare subito che vi possa essere il benché minimo rapporto tra
individualismo e guerra, come qualcuno vorrebbe far credere. Anzi, proprio la
tendenza individualista dell’anarchismo è quella che maggiormente si allontana
dalle ideologie democratiche in nome delle quali si è compiuto il mostruoso
connubio guerrafondaio in Italia “ (Individualismo anarchico e guerra in Il Libertario, marzo 1915)
Bibliografia: G, Sacchetti, Giuseppe Monnanni in Dizionario biografico degli anarchici italiani (DBAI) ,
BFS volume, secondo , 2004 p. 208
Nel 1917, Monanni,insieme ad altri compagni, renitenti alla leva, pubblicarono un opuscolo intitolato A Testa Alta , dove si respingeva
fieramente l’accusa di codardia rivolta, anche in alcuni ambienti della
sinistra italiana, ai disertori della grande
guerra, rifugiati in Svizzera. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Fedeli si riferisce qui all’opuscolo A testa
alta!, firmato “un disertore” ovvero Monanni “ pubblicato ad iniziativa di un
gruppo di refrattari italiani “ a Lugano nel marzo 1917; vi viene denunciata la
persecuzione dei “disertori politici in Svizzera, definizione indispensabile “
per differenziarci da quelli che per profonde convinzioni morali e politiche si
sono fatti renitenti, bensì per gretto egoismo o per vigliaccheria” Lo scritto
si conclude in senso ammonitore “ Non abbiamo disertato per poltrire”
sottolinea il compilatore, a nome di
tutti i disertori, “ ma per agire; e confidando
sul terribile ammaestramento che i popoli subiscono per causa dei loro
governanti, ci apprestiamo a quella che sarà la nostra vera guerra”
Bibliografia: in
Antonio Senta, A testa alta. Ugo Fedeli e l’anarchismo internazionale
(1911-1933) , Zero in condotta, 2012 pp.
76-77
Implicato a Zurigo
nel cosiddetto “ affare delle bombe;
insieme ad altri anarchici tra cui Bruno Misefari ( cfr. post : BRUNO MISEFARI e infra il post ANARCHICI/E SVIZZERI/E :LA
FEDERAZIONE DEL GIURA....)MALEDETTA GUERRA) fu rinchiuso in prigione dal giugno 1919 al gennaio 1920 e poi consegnato alla polizia italiana.
Libero , tornò in Italia e riprese l'attività editoriale con la
Rafanelli che si concluse nel
1923 con
la devastazione dei locali della casa editrice da parte dei fascisti e la
successiva chiusura forzata. Durante il fascismo fu posto sotto stretta sorveglianza, il che
però non gli impedì di fare alcuni viaggi all’estero. Nel 1934 sposò Albina Zanini all' insaputa di Leda Rafanelli, che lo scoprì per caso . Nel 1939 fu arrestato e rinchiuso in prigione a disposizione del TRibunale Speciale per tre mesi per il sospetto, sembra, di avere intrattenuto durante un viaggio in Francia nel 1938 contatti con antifascisti in esilio. Nel 1944 morì il figlio Marsilio (Aini). Nel 1946 , dopo la caduta del fascismo,
divenne direttore editoriale della Rizzoli. Morì a Milano nel 1952.
CARLO MOLASCHI (1886-1953) anarchico e antifascista. Aderì
giovanissimo sotto l’influenza di Luigi
Molinari alla tendenza educazionista anarchica ispirata alla “ scuola moderna” di Francisco Ferrer. Nei primi anni del nuovo secolo aderì
alla tendenza anarco-individualista con venature nietzschiane , ( nella versione
conosciuta allora in Italia, tramite D’ Annunzio ed altri) e superomiste , che più tardi, ricorderà così :
Brano
da commentare: “ A vent’anni conobbi le idee di Federico Nietzsche. […]
Così parlò Zarathrusta mi esaltò. Lo lessi, lo rilessi, mandai a
memoria dei brani. Volli andare oltre, scovai tutti gli scritti su Nietzsche
[…] Poi mi sprofondai nella Gaia
Scienza, nell’ Anticristo cercando avidamente il successo della filosofia
pagana che cantava la vita, la gioia, la bellezza, il piacere e la forza […] Fu
un periodo di vita intellettuale terribilmente intensa [... ] Pensavo che l’umanità
sarebbe stata incapace di risolvere il problema del mondo riservato agli eletti,
e solo coloro che sapevano vivere laloro vita avevano diritto ai doni della terra.
Gli altri, mandria umana, erano nulla. Il popolo era indegno di sacrificio
perché nato servo:attraverso i secoli e i milenni avrebbe sempre portato il suo destino di
schiavo.(
Carlo Molaschi Pagine Libertarie 15 gennaio 1922)
Bibliografia: in Fabbrizio Giulietti, Franco Angeli , 2012
p. 195. Il testo intero si trova in Carlo Molaschi, Pietro Gori, Edizioni Il Pensiero,
Milano, 1959 pp. 55ss.
Diresse
tra il 1914 e il 1915, la rivista Il Ribelle , che si prefisse il fine, rivelatosi purtroppo vano, di contrastare una entratandell' Italia nella guerra scatenatasi inb Europa dopo l'attentato a Sarajevo all'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo. cfr. brano )
Brani da commentare: 1) “ Lontani da noi i
mediocri, i falsi , i pavidi. Costoro anche se si dicono anarchici ci sono
nemici. Il ribelle non è per gli idioti
incapaci di pensare e per il popolino che si trascina indifferente e soddisfatto
dal servaggio alla bettola. Il ribelle è
per chi guarda con disgusto tutte le brutture della vita corrente e che vuole e
sa liberarsi […] Con noi i forti! Solo essi potranno seguirci. “ ( Carlo Molaschi, Per chi ci vuole seguire, in Il Ribelle n. 8 febbraio 1915); 2) " Brano
da commentare : “ 1914: la guerra! Non mi sorprese: compresi però che
era una cosa mostruosa contro la quale era doveroso insorgere nel periodo n cui
l’Italia rimase neutrale mi buttai a capofitto nella battaglia. Fu allora che
sorse ” Il Ribelle “ e sorse appunto per dimostrare che l’individuo doveva
negare la propria vita alla guerra dei padroni. Le guerre erano mostruosi
giochi di borsa ai quali l’uomo doveva sottrarsi. Si sgozzino pure i padroni.
Chi non ha interessi in gioco deve disertare l’inutile tragedia. Queste le idee
da me sostenute ne “ Il Ribelle”. Il Ribelle uscì per 10 numeri. Poi in una
serie di dimostrazioni, venni arrestato e rimasi incarcerato per un mese.
Quando tornai libero l’interventismo era padrone assoluto della situazione. Si
tentò uno sforzo supremo, ma non eravamo che un pugno di giovani. I socialisti
avevano disertato la battaglia. Ultimi gli anarchici, gridavano la loro disperata
protesta. . Il 24 maggio fu inesorabile! Colla guerra “ Il Ribelle finì .
Bibliografia: Primo brano in Mattia Granata, Lettere d’amore e
d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli,
Carlo Molaschi e Maria Rossi per una
lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919), BFS, 2002 p. 32 . Secondo brano in Carlo
Molaschi, Pietro Gori, Edizioni
“Il Pensiero”, Milano 1959
Fu più volte arrestato per propaganda antimilitarista e nel
1917 fondò Cronaca Libertaria, la cui pubblicazione,
in netta contrapposizione col clima
guerresco vigente, fu , però presto
soppressa. (cfr.brano)
Brano da commentare: “ 1915-16-17-18-19 Turbine che passò
spaventoso sull’umanità, epoca di pianti, di dolori, di angosce, di
disperazioni, di miserie. […] Lo Stato
terribile come un mostro , allungò dovunque i suoi tentacoli e dovunque agguantò prede da scagliare sui
campi di battaglia.[ …] Non c’era pietà
per nessuno e nessuno poteva sottrarsi al duro destino. La forza della legge
era regola suprema e la legge calpestava tutto: diritto e libertà. Allora vidi
che all’urto della prima realtà la fantastica torre d’ avorio crollava. […]
Così il castello incantato creato dalla febbre della mia mente giovanile
diventava della guerra, le belle frasi pagane di Nietzsche erano diventate rantoli
di morenti. L’individuo è nulla. Che poteva fare l’ uomo solo contro la potenza
dello Stato? Che potevano fare gli eletti contro la strage del cannone ? Non era forse meglio , invece di esaltarsi
nella creazione di un uomo imnpossibile, cercare di condurre tutta l’umanità
sulla via del bene ? Tutti gli uomini
possono vivere in fraternità nel grande grembo della natura. Bisognava
sostituire i sentimenti d’odio con sentimenti i amore. […] Con queste idee scrissi in “Cronaca Libertaria”
l’articolo “ Verso la luce “ e l’opuscolo “ Dalla realtà di oggi alla speranza
di domani” censurato durante la guerra e pubblicato due anni dopo nella rivista
“Iconoclasta”. “ Cronaca libertaria” fu un atto di protesta anarchica
contro la prepotenza della censura che aveva soppresso il “Libertario” e visse
poco. Venne ucciso dalla censura milanese che, all’indomani di Caporetto s’era
fatta terribile. Intanto le spie avevano
soffiato in questura ed i carabinieri
del re mi portarono in caserma. Dalla caserma mi passarono all’ospedale e
dall’ospedale tornai alla caserma. Il grigioverde mi imprigionò per parecchi
mesi! Parentesi dolorosa! ( Carlo Molaschi,
Dal “Superuomo all’Umanità )
Leda
Rafanelli, in occasione di una
conferenza di Luigi Molinari sulla Comune di Parigi presentò Maria Rossi a Carlo Molaschi. Fu comunque,
se ho capito bene , a partire dal 1917,
anno della definitiva rottura del rapporto tra Carlo Molaschi ed Aida Latini, che ebbe inizio una sempre più salda
amicizia, tra Carlo Molaschi e Maria Rossi , che si trasformò presto in amore e
si sposarono nel 1918.: (cfr. brano)
Brano
da commentare: “ Per una maggiore libertà di reciproco aiuto Carlo Molaschi e
Maria Rossi –scrive quest’ultima – si uniscono in matrimonio e da allora la
loro collaborazione diventa totale. Dividono ansie, lavoro e sofferenze. I
contenuti, i fatti vengono ideati, discussi e avallati di comune accordo.
Malgrado le tendenze particolari ( Carlo più metafisico, Maria più scientifica)
mantengono un certo equilibrio. Carlo è molto cagionevole di salute, Maria
s’addossa il peso delle fatiche fisiche per attenuare le sofferenze e
l’asprezza delle battaglie del compagno generoso, timido che non si piega nelle
battaglie ( BLAB, Maria Rossi Memorie)
Interrompo provvisoriamente le notizie biografiche su Carlo Molaschi per
dare alcune informazioni su Maria Rossi Molaschi
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MARIA ROSSI MOLASCHI |
MARIA ROSSI (
1891-1990). Nata a San Colombano al Lambro, comune presso Milano era figlia di
un imprenditore stimato dai suoi dipendenti e da una madre conservatrice e
autoritaria. Un’ esperienza che la segnò
profondamente fu l’assistere a sette anni alla repressione dei moti di Milano
del 1898 (cfr. post
Brano
da commentare: “ Fui colpita dalla vista dei feriti avviati al vicino Ospedale Maggiore: su una carrozzella
condotta a mano un uomo grondante di sangue alla testa, era assistito da due
giovani, altri sei uomini trasportavano un individuo che non dava segni di
vita. Dalle vie sottostanti via Torino arrivavano urla, scoppi e spari: era il
tumulto della Milano Lavoratrice, disoccupata e misera repressa dalla polizia e
dall’esercito“ ( BLAB Fondo Maria Rossi Molaschi, Memorie)
Dopo la scuola
frequentò il Convitto femminile , dove intraprese gli studi magistrali
diplomandosi , a 19 anni, come maestra . la sua formazione culturale e sociale , durante gli anni dell’adolescenza, era
costituita primariamente da romanzi e
poesie contemporanee e anche da eventi
sociali particolarmente idonei a stimolare l’immaginazione e la riflessione dei
giovanissimi/e più sensibili/e. (cfr.brano)
Brano
da commentare: “ Fra gli studenti – ricorda Maria Rossi a proposito degli anni
di convitto – circolavano romanzi traboccanti di romanticismo, ma anche di
ispirazione alla libertà di pensiero. Si memorizzavano le poesie dell’allora
ribelle Ada Negri, si leggevano le opere di D’Annunzio , di Fogazzaro e ci si
commuoveva per le repressioni si gli universitari italiani a Vienna e si faceva
qualche dimostrazione pubblica in loro appoggio” ( BLAB, Fondo Maria Rossi
Molaschi, Memorie)
Le sue esperienze di maestra nelle scuole dei paesi della
provincia di Milano, inclusa la sua natia San Colombano al Lambro, la
disamorarono presto dell’ Istituzione scolastica statale sia , come riferisce
sulla base dei racconti della stessa Maria Rossi, per la generalizzata
condizione di fatiscenza e inadeguatezza
e degli ambienti scolastici e sia per l’ingerenza deleteria che ancora
esercitavano le gerarchie ecclesiastiche sulla
scuola di stato. (cfr. brano)
Brano
da commentare: “ Ricordo descrizioni di pluriclassi con 70 alunni, di aule
ricavate da stalle, con il pavimento di terra battuta, di stufe in cui ogni
scolaro doveva mettere il suo contributo di legna. Una volta il parroco di un
paese , irritato perché nella classe di Maria non si recitavano le preghiere,
aveva incitato, senza troppa fortuna, le madri degli allievi a boicottarla e a
prenderla a sassate. “ ( Maurizio Antonioli,
Prefazione a Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia….)
Bibliografia:
Mattia Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda
Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi Per una lettura dell’anarchismo
milanese (1913-1919), BFS 2002 p. 9.
Subì inoltre
una “ispezione scolastica”, che rimase per fortuna senza conseguenze sulla sua
carriera scolastica a causa di una denuncia per
propaganda antireligiosa e una critica da parte di una nobildonna
proprietaria dell’edificio scolastico in cui Maria Rossi lavorava, per essere
troppo tollerante con gli alunni e in particolare con i figli dei contadini.
(cfr. brano)
Brano da commentare: “ Una mattina ebbi la visita della
contessa-marchesa (l’immaginai tale perché non si presentò e la vedevo per la
prima volta) accompagnata da un inserviente che si fermò all’entrata
dell’edificio e da tre bei cagnetti che perlustrarono tutti gli angoli. La
visitatrice avviò un discorso che continuò pressappoco così: “ I contadini sono
contenti della maestra, ma lei è giovane, troppo indulgente, le manca
l’esperienza. Per non alterare la necessaria disciplina deve abituare, anche
con la frusta (se serve) alla massima
ubbidienza ed al massimo rispetto per chi sta al di sopra. Un tempo il primo
frutto che si coglieva, il primo manipolo di grano che si mieteva, il primo
pane che si sfornava era un omaggio al padrone: ora invece quando si passeggia
fra i campi, i contadini fingono di non vederci per non levare il cappello o
per dispensarsi dal riverirci”. E aventi la conversazione sullo stesso tema: Mi
sentivo ribollire l’ animo. Forse era arrivata qualche notizia da Grezzago?
Ebbi la prudenza di ribattere con molta calma: “ Non sono appena uscita dal
guscio (sua espressione) come ella crede. Ho l’esperienza di quasi quattro anni
d’insegnamento. L’istruzione e la didattica mi conducono all’affetto per gli
scolari e sono contenta dei buoni risultati che ottengono”. Qui si chiuse la
pungente diatriba e la visita della proprietaria dell’edificio scolastico “ ( B
Maria Rossi Molaschi, Autobiografia).
Bibliografia:
Elena Bignami, Le schiave degli schiavi. La questione femminile dal
socialismo utopistico all’anarchismo italiano (1825-1917), Clueb 2011, p.
257 n. 283
Proprio
le sue personali esperienze negative sugli aspetti sociali e pedagogici della
Scuola di Stato la resero , così come molti altri compagni milanesi, tra cui
Leda Rafanelli e Carlo Molaschi,
entusiasta della iniziativa di Luigi Montanari di introdurre, in Italia i principi della Scuola Moderna di
Ferrer attraverso, la diffusione della rivista quindicinale L’ Università Popolare , la cui sede
centrale si era trasferita nel 1906 da Mantova a Milano
(cfr. brano)
Brano
da commentare: “ Questo fu l’ambiente
della formazione politica di Maria Rossi. A Milano infatti , Rossi prese a
frequentare la sezione delPartito
Socialista che avevasede a pochi passi dalla sua abitazione. Cominciò a
leggere “ l’ Avanti” e “L’Università Popolare”, si iscrisse al “sodalizio
culturale fondato dai progressisti del tempo” e conobbe, scrive lei stessa, “ i
maestri [Andrea] Tacchinardi, Carlo Fontana, Aurelio Montanari, socialisti, e
il massimalista [Alfonso] Salvalaio”, ma soprattutto Luigi Molinari, che capì
subito l’attitudine e le potenzialità della giovane maestra. Fu lui a
suggerirle di mettersi in comunicazione con la scrittrice Leda Rafanelli
[…] E fu Molinari a coinvolgere Rossi
nella realizzazione del suo sogno, ossia la costituzione di una Scuola moderna
libera e laica a Milano “ atta ad educare razionalmente i figli del popolo,
onde si prepari una futura generazione cosciente e pronta ad attuare nei fatti
le rivendicazioni economiche e politiche verso le quali tende l’ anima popolare sitibonda di giustizia “ ( Elena
Bignami, La nostra vita è la battaglia quotidiana “…..)
Il progetto di
una Scuola moderna a Milano, infine, non
si realizzò , il che, tuttavia, non impedì a Maria Rossi, per un certo periodo
prima della sua chiusura per ragioni di
ordine pubblico, di partecipare alle
attività didattiche di un “ ricreatorio razionalista per i bambini della classe
operaia”. Ed è proprio mentre stava ,
sdraiata su un prato attorniata da adulti e da bambini che facevano il
girotondo, che la vide, restandone fortemente colpito, Carlo Molaschi, come più
le scriverà, ricordando , in una lettera. Cfr. brano.
Brano
da commentare: “ Carissima amica,
dunque… Ti unisco l’ultimo numero del giornale dell’ Armand [ nota mia, cfr. post ] nel quale t’ho segnato un articolo
chesembra scritto apposta per le maestre [… ] Vedi: leggendo quell’articolo la
mia fantasia volava ai tempi giocondi del Ricreatorio Francisco Ferreriano. E
fantasticavo su quella maestrina d’allora, una buona ragazza molto gaia, la
quale si sdraiava con languido abbandono sulle aspre zolle e il coraggio di
tenere appoggiate e sparse sul suo corpo sei o sette teste capellute e
libertarie e maschie maggiorenni, e intorno i bimbi che giravano il giro-tondo.
“Gira gira il mondo…” Ed io – l’austero – guardavo allora. “ Gente felice e
spensierata !” E mi domandavo se ero io il moralista o se era lei la sfacciata.
Credilo, amica: ancora oggi non ho risolto il problema. Bisogna che mi rivolga all’Armand il quale,
attraverso i suoi aforismi quindicinali, tien testa a tutte le questioni di
amore e di sesso …” ( Lettera di Carlo
Molaschi a Maria Rossi del 9 luglio
1917)
Bibliografia: Mattia
Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli,
Carlo Molaschi e Maria Rossi Per una lettura dell’anarchismo milanese
(1913-1919), BFS 2002 p. 9.
Non ho capito
bene se questa visione da lui ricordata
era avvenuta prima o dopo che Leda Rafanelli, in occasione di una conferenza di Luigi Molinari
sulla Comune di Parigi, nel 1915
presentò Maria Rossi a Carlo
Molaschi. Fu comunque, se ho capito bene , a partire dal 1917, anno
della definitiva rottura del rapporto tra Carlo Molaschi ed Aida Latini, che ebbe inizio una sempre più salda
amicizia, tra Carlo Molaschi e Maria Rossi , che si trasformò presto in amore.
Si sposarono nel 1918.: (cfr. brano)
Brano da
commentare: “ Per una maggiore libertà di reciproco aiuto Carlo Molaschi e
Maria Rossi –scrive quest’ultima – si uniscono in matrimonio e da allora la
loro collaborazione diventa totale. Dividono ansie, lavoro e sofferenze. I
contenuti, i fatti vengono ideati, discussi e avallati di comune accordo.
Malgrado le tendenze particolari ( Carlo più metafisico, Maria più scientifica)
mantengono un certo equilibrio. Carlo è molto cagionevole di salute, Maria
s’addossa il peso delle fatiche fisiche per attenuare le sofferenze e
l’asprezza delle battaglie del compagno generoso, timido che non si piega nelle
battaglie ( BLAB, Maria Rossi Memorie)
Bibliografia: Elena Bignami, La nostra vita è la battaglia quotidiana. Una coppia anarchica al tempo della Prima Guerra Mondiale negli scritti di Maria Rossi Molaschi, p. 85 in http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/3888
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CARLO MOLASCHI E MARIA ROSSI |
Torno adesso a riprendere la vita di Carlo Molaschi, da dove l'ho lasciata e tenendo conto che , da questo momento, si tratterà della " coppia anarchica " Molaschi/Rossi.
Brano da commentare: “ Uniti da un legame fortissimo fatto di
ammirazione più che di passione – “la nostra unione fu di reciproca apertura,
chiarezza, sincerità e libertà individuale, non l’illusione dell’idolo al quale
dedicare tutto – Molaschi che dopo l’ armistizio era stato congedato “ma con i
polmoni rovinati “, e Rossi abitavano in un “modesto appartementino di una casa
popolare in via Lambrate 44, dove insieme si dedicavano interamente alla loro
grande passione, il “lavoro politico”, si scriveva, si correggevano le bozze,
si preparava la spedizione della stampa, si ricevevano i compagni e gli amici.
Miracoli di fatica e di ordine sopperivano l’angustia dello spazio” (BLAB Maria
Rossi Memorie
Finita la guerra Carlo Molaschi fondò , insieme a Maria Rossi la libreria e casa editrice Tempi
Nuovi e il
quindicinale Nichilismo in cui si dava ampio spazio
all’arte e alla letteratura, e dove apparvero, tra l'altro, anche alcuni articoli su temi pedagogici di Maria Rossi, firmati con lo pseudonimo di Petra (personaggio femminile di un' opera di Ibsen). ( cfr. brani)
Brani da commentare: 1) “ Nati dalla grande
matrice di tutte le rivolte, portiamo dall’inizio l’insofferenza dei ribelli, e
lo spirito dei demolitori. Non annunciamo un nuovo metodo di redenzione né
consigliamo una nuova ricetta di felicità: il nostro anarchismo non costruisce,
ma distrugge. Siamo individualisti e il nostro individualismo non adora né
crede nel superuomo. La nostra negazione
ha frantumato anche quest’idolo … Il nostro individualismo è odio, ribellione,
sdegno e condanna. Detestiamo l’ordine che governa la vita sociale di oggi
perché in esso vediamo la perpetuazione della nostra
schiavitù. Irridiamo al valore delle rivoluzioni ricostruttrici le quali non
mutano l’essenza della vita… Costumi, morale, proprietà, diritto, tutto deve
essere annientato… e sulle rovine di questo mondo NULLA deve risorgere.
Nichilismo, negazione assoluta!... Abbiamo spinto la nostra concezione
anarchica fino all’estremo limite, al di là del quale non vi è che l’ignoto…
Noi vogliamo minare queste cariatidi perché il mondo crolli e seppellisca lo
schiavo. E’ la nostra vendetta! “ ( Noi, Nulla, in Nichilismo n. 1, 5-20 aprile 2020); 2) “ Allora troppo chiusi nel
nostro individualismo ci sentivamo solo dei “negatori” dei “nichilisti” così come fu definito molto bene
il nostro “stato d’animo” d’allora e il titolo di una rivista che in
pochissimi, ma che ci sembrava d’aver la testa piena di idee, si pubblicò sotto
la direzione dell’amico Carlo Molaschi” ( memorie di Ugo Fedeli); 3) “ Avvolto da un’ aura di radicale
pessimismo e animato dalla “negazione
assoluta di ogni verità e di ogni speranza “, “Nichilismo” si prefigge di dar vita a un movimento
artistico e letterario improntato da carattere schiettamente “anarchico”. In
ambito più propriamente militante, la rivista si propone invece di “ affermare
i principi individualisti anarchici nel campo della lotta sociale”, di resistere “ alla degenerazione socialista
del movimento anarchico italiano” e, soprattutto di trascinare alla
sollevazione individuale contro le forme di dominio e di sopraffazione dell’uomo
sull’uomo”. … “ .
Bibliografia: Primo brano in Mattia Granata, Lettere d’amore
e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi per una lettura dell’anarchismo milanese
(1913-1919),
BFS 2002, p. 44. Secondo brano in Antonio Senta, A testa alta. Ugo Fedeli e
l’anarchismo internazionale (1911-1933),
Zero in condotta, 2012 p. 90.
Terzo brano in Fabbrizio Giulietti, Gli
anarchici italiani dalla grande guerra
al fascismo, Franco Angeli, 2015 pp. 104-105
Nel
gennaio del 1922, dopo l’attentato del Teatro Diana, da un lato, e, dall’ altro, il graduale , ma inesorabile ascesa al potere
del fascismo , Carlo Molaschi sentì , la necessità di una organizzazione rivoluzionaria che avesse una forte base tra le masse e passò, fondando un nuovo quindicinale Pagine Libertarie a ideali
decisamente orientati verso l’associazionismo, in tempi precedenti tanto
ripudiati. (cfr. brano)
Brano da commentare: “… Intanto però il dissidio fra me e gli individualisti
s’era fatto asprissimo : avevo dato un’interpretazione
rivoluzionaria dell’occupazione delle fabbriche, proclamavo che l’anarchico,
anche se individualista, doveva scendere tra il popolo per gettare i germi
della suprema battaglia […] Il nascondere queste verità sartebbe stato vano e assurdo perché gli avvenimenti avrebbero avuto il
potere di imporsi. Allora mi si pararono tre vie: La prima: Accettare l’individualismo di Tucker e di Makaj negatore della
violenza r della rivoluzione, ritirandomi dalla lotta sociale creandomi
egoisticamente la nicchia in seno o ai margini
della società. La seconda: Accettare l’individualismo violento praticato col terrore da gran parte degli
individualisti e che ebbe come esponenti Ravachol, Henry, Bonnot. La terza: Entrare nella battaglia comune con gli altri anarchici italiani
e dedicare tutte le mie capacità e le mie energie alla propaganda in mezzo alle
masse per tentare di educarle alla libertà e per spronarle verso la loro
emancipazione integrale. Questa terza via era chiaramente tracciata nel
programma dell’ Unione anarchica Italiana. Sentivo che l’individualismo non
sarebbe morto finché al mondo ricchi e poveri, gaudenti ed infelici, vincitori
e vinti e che avrebbe sempre segnato la storia con la traccia violenta del suo
passaggio e che più la reazione avesse tentato di soffocarlo, più sarebbe
risorto implacabile. Ma la sua lotta sarebbe sempre stata vana come vano è
tutto ciò che è disperato. Esso spargerebbe il terrore nella borghesia, farebbe
tremare le colonne che reggono lo stato, sarebbe l’incubo dei governi e delle
polizie ma all’umanità dolorante non potrebbe recare beneficio alcuno. Perché
l’anarchismo non deve essere fine a se
stesso, ma la leva potente che solleva l’umanità verso il bene, che deve essere
fiaccola che illumina le vie del progresso umano, deve essere fede, speranza,
amore: deve essere soprattutto umanità! Allora? Allora rimaneva la terza via
tracciata dal Programma Anarchico. L’accettai e diedi vita a “ Pagine Libertarie
( Carlo Molaschi Pagine Libertarie 15 gennaio 1922)
Bibliografia : in Carlo Molaschi, Pietro Gori, Edizioni Il Pensiero,
Milano, 1959 pp. 67-69
Dopo la vittoria del
fascismo e durante tutti gli anni del regime, Carlo Molaschi e Maria Rossi,
licenziata per avere rifiutato di giurare fedeltà al fascismo dalla sua cattedra di maestra, furono posti
sotto strettissima vigilanza . La loro casa nel 1923 fu devastata da squadristi fascisti e il giorno dopo Carlo Molaschi insieme ad altri ,compagni , tra cui Leda Rafanelli furono portati su un camion in giro per la città per parecchie ore e sottoposti a derisione e scherno. La casa fu, poi, negli anni del regime, quotidianamente sorvegliata da un poliziotto nel cortile e da due guardie al portone, il che non impedì, però, a loro di contribuire alla fuga di Luigi
Fabbri. Nel 1941 Molaschi fu arrestato e confinato
a Istonio Marino, in Abruzzo.
Liberato , partecipò attivamente alla Resistenza contro i nazi-fascisti
e dopo la liberazione aderì al Partito Socialista e si dedicò attivamente fu assessore alla Pubblica Istruzione a Cusano Milanino e all’insegnamento , insieme a Maria Rossi, in una scuola privata di
addestramento professionale, da loro fondata. Nel 1948 questa scuola si
trasformò nell’ Istituto Professionale “ Carlo Molaschi “ di Cusano , ancora in funzione. Concludo, infine, ricordando la risposta,
nel 1926, di Carlo Molaschi sulla rivista Pensiero e Volontà allo scritto
di Camillo Berneri , La garçonne e la
madre sul problema
femminile ( cfr. post CAMILLO BERNERI: CAMILLO BERNERI : INFANZIA E FORMAZIONE INTELLETTUALE E POLITICA)
NOTA: Per la posizione di NELLA GIACOMELLI e di LEDA RAFANELLI nei confronti del femminismo , dell' "amore libero" e del rapporto tra uomo e donna cfr. post : DAll' INTERNAZIONALISMO AL FEMMINILE ALL'ANARCO-FEMMINISMO.
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