mercoledì 27 aprile 2011

ANARCHICINI:* NEL FOSCO FIN DEL SECOLO MORENTE 2: PROPAGANDA DEL FATTO INDIVIDUALE. GIOVANNI PASSANANTE (1849-1910); AUGUSTE VAILLANT (1861-1894); EMILE HENRY ( 1872-1894); SANTE CASERIO (1873-1894) ; LUIGI LUCCHENI ( 1873- 1910)

 
 
GIOVANNI PASSANANTE

 

GIOVANNI PASSANANTE (1849-1910) Nato a Salvia di Lucania (dopo l’attentato al re divenne, e lo è tuttora, Savoia di Lucania) da una famiglia poverissima ( era l’ultimo di dieci fratelli). Svolse , sin da giovanissimo, una lunga serie di lavori umili e mal pagati. Trovò poi lavoro come domestico dall’ ex capitano Agognia che, lo aiutò ad elevarsi dalla sua condizione di semianalfabeta e facendo nascere in lui l’amore per la lettura. Tramite gli scritti di Mazzini e di Garibaldi iniziò a frequentare i circoli repubblicani e società operaie e nel 1870 fu condannato a tre mesi di prigione per avere affisso  manifestini contro la monarchia.”. Sia  aprendo con un socio un’osteria, chiamata la trattoria del popolo” ma ben presto  essa fallì per la sua propensione ad offrire, contro la volontà del socio,  pasti gratuiti a compagni e bisognosi.  Nel 1878 , in occasione di una visita a Napoli della famiglia reale, Passanante si procurò i mezzi necessari (un coltello, alcuni dicono un coltellino comprato in una bottega di feeri vacchi e una pezzuola rossa dove scrisse le parole : Morte al re! Viva la Repubblica Universale) e, fallendo cercò di uccidere il re o quanto meno sfregiarlo.  Durante il processo e ancor prima durante gli interrogatori preliminari da parte della polizia, alternati a brutali  violenze e sevizie, che miravano a  confermare, a tutti i costi,  la tesi  di un complotto,  Passanante espose fieramente le ragioni del suo gesto, addosandosene fieramente tutte le responsabilità. (cfr. brano da commentare)

 Brano da commentare:   Passanante:  “ Non ho mai detto che gli Internazionalisti siano traditori [ nota mia: Passanante allude  all’ interrogatorio subito il giorno del suo arresto dall’ Ispettore Di Donato), non ho ragione di dirlo, se è nel verbale d’interrogatorio , non è roba mia. Io sono stato inscritto durante un paio di mesi all’incirca  nella Società operaia di Bellizano, ne uscii perché nella Società operaia  gli operai erano meno che  nulla, perché dei fondi della Società si facevano tutti gli usi all’infuori di quello per cui erano sollecitati e raccolti; e da quel giorno  non mi sono ascritto né a società né a sette: sono seguace dei principi repubblicani più che dei socialisti ma sono d’accordo con coloro che cercano di raccogliere ad un compito  comune invece che sfrenare a competizioni fratricide, queste due correnti del moto popolare.  […] Più che alla vita del re contro cui non ho nulla personalmente, voleva essere una  mortificazione per la monarchia ed una protesta un richiamo ai morti di fame che l’acclamano perché ad essi ha ribadito sui polsi la schiavitù, nei ventri la miseria e la fame. “ – Presidente: “ Non sono migliorate nel nuovo regime le condizioni della vita pubblica? “ Passanante: “ Il governo passato era rappresentato dalle tre F proverbiali: feste, farine forche. Il nuovo ha sostituito i tre P: parlate, piangete, pagate.” - Presidente: Credete che se il 17 novembre il re fosse stato vittima della vostra aggressione le condizioni del popolo sarebbero migliorate.” – Passanante: “ Chissà? “ Presidente: “Ne dubitate?” – Passanante: “Non ne so nulla, la miia azione essendo stata spontanea, remota ogni congiura. Credo però che, pur senza complotti, il moto avrebbe potuto generalizzarsi ed il partito repubblicano avrebbe potuto approfittare del colpo.  […] Presidente: “E se il partito repubblicano non fosse stato pronto all’azione?” -  Passanante: “ I migliori colpi sono quelli che arivano all’ impensata”. ( Dialogo tra il presidente e Passanante durante il processo)

Bibliografia: Luigi Galleani (Mentana),   Faccia a faccia col nemico.  Cronache giudiziarie dell’anarchismo militante,  Galzerano editore, Atti e Memorie del Popolo, 2001  pp. 29-30 e 31-32

 

                              PASSANANTE NELLA STAMPA POPOLARE

La condanna a morte , pur non essendovi stato il  regicidio, ma soltanto il frìerimento lieve, promulgata dopo il processo, fu poi convertita in una condanna all’ergastolo, ma non fu affatto un atto di generosità da parte della Corona, bensì, come fu  percepito da molti, un atto di deliberata vendetta. Ciò  fu chiaro, nel 1888, ,  dopo la relazione del deputato Agostino Bertani accompagnato da Anna Maria Mozzoni, che ebbero il permesso, dopo molte insistenze e rifiuti, , di guardare dallo spioncino della cella del carcere di Porto Ferraio le condizioni di sopravvivenza del Passanante . (cfr. brano da commentare):

Brano da commentare: “ Per due anni Passanante è rimasto sepolto nell’oscurità più completa, in una cella posta di sotto del livello dell’acqua, e là sotto l’azione continuata dell’umidità e delle tenebre il suo corpo si denudò d’ogni pelo, si scolorì, si gonfiò così come oggi si vede. Poi fu fatto salire per scale tenebrose, senza che  abbia potuto rivedere il cielo neppure per un istante, alla sua cella attuale, a livello dell’acqua. Colà è rimasto chiuso giorno e notte senza interruzione. I secondini avevano l’ordine preciso di non rispondere mai alle sue domande, fossero anche  state le più urgenti, indispensabili; non occorre dire che ogni visita, ogni corrispondenza gli era interdetta[…]  Quando Bertani denunciò la turpitudine bieca del re buono, Passanante era moribondo, la sua ragione oscurata, la vista perduta.”

Bibliografia: Luigi Galleani (Mentana),   Faccia a faccia col nemico.  Cronache giudiziarie dell’anarchismo militante,  Galzerano editore, Atti e Memorie del Popolo, 2001  pp. 54-55. Cfr. anche    Gino Vatteroni, I Giustizieri. Propaganda del fatto e attentati anarchici di fine ottocento,  Edizioni Monte Bove. Collana Rossa, 2018, dove a p. 74, tra l’altro , vi è  la testimonianza del medico del penitenziario riportata da  Anna Maria Mozzoni  sulla rivista Critica Sociale

PASSANANTE VECCHIO
  Scoppiato lo scandalo essendo la denuncia del Bertani stata resa pubblica da alcuni giornali dell’epoca, tra cui “ Il Messaggero”  Passanante venne trasferito al manicomio criminale di Montelupo Ferentino , dove morì nel 1910 senza avere ottenuto miglioramenti per la sua salute fisica e psichica . Bisogna inoltre aggiungere che l’attività persecutrice del regime monarchico si estese anche ai familiari di Giovanni Passanante, tutti, se ho capito bene, internati nel manicomio di Aversa sino alla loro morte. E’ nota , o almeno dovrebbe  esserlo, grazie, soprattutto all’ opera teatrale,  L’innaffiatore del cervello di Passanante  di Ulderico Pesce e al film Passanante diretto da Sergio Colabona nel 2011 con Fabio Troiano, Ulderico Pesce ed altri,  la sorte del cervello di Passanante esposto per moltissimi anni nel museo criminologico Altavista di Roma e conclusasi con il suo seppellimento nel 2007. 

                                                              


VAILLANT AUGUSTE

AUGUSTE  VAILLANT (1861-1894). Abbandonato dai genitori da bambino, a 12 anni   fu condannato per accattonaggio e a  17 anni per evere mangiato in un ristorante senza avere pagato.  Si sposò ed ebbe una figlia Sidonie. Alla ricerca di  un’occupazione  dignitosa emigrò in Argentina, ma dopo tre anni tornò in Francia, dove inutilmente cercò  di trovare un lavoro .  . Nel 1893, esasperato da una vita di sofferenza e di ingiustizie , buttò una bomba nella Camera dei deputati, durante una seduta aperta al pubblico,  ferendo un gran numero di presenti. Un gesto più che altro simbolico come emerse dal processo in cui Vaillant fece un’appassionata dichiarazione sulle motivazioni alla base del suo gesto.  (brano da commentare)

Brano da commentare: “…… Tra qualche minuto mi colpirete, ma sotto il colpo del vostro verdetto mi rimarrà la soddisfazione d’aver ferito codesta vostra società maledetta, in cui un uomo può sciupare in un’ora quanto basterebbe al mantenimento di migliaia di famiglie durante un anno, questa vostra società infame che permette a pochi individui di accapparrare tutte le ricchezze della terra, mentre centinaia di migliaia d’infelici mancano anche del pane, del pane che non si rifiuta nemmeno ai cani, ed intere famiglie sono condannate al suicidio dalla mancanza del necessario. Oh, se potessero scendere  i dirigenti fra le torme dei disgraziati! Ma no, essi rimangono sordi agli appelli della sventura. […] Da troppo tempo alle nostre voci si risponde con le carceri, la corda, la mitraglia, e non v’illudete, l’esplosione della mia bomba non è il grido di Vaillant solo e deserto, è il grido di tutta una classe che rivendica i propri diritti ed alla parola farà seguire domani  l’azione. Potete esserne sicuri . Conchiudo, signori, riaffermando che una società nella quale pullulano iniquità sociali pari a quelle che ci affliggono, nella quale la miseria costringe al suicidio, in cui i monumenti sono caserme e bagni speciali, deve rinnovarsi senza indugio sotto pena di essere cancellata nel più breve termine dalla storia della specie umana.. ( dalla dichiarazione di Vaillant durante il processo) 

Bibliografia:  Luigi Galleani,  Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001 p. 373 e p.  375

 

 Venne condannato a morte e ghigliottinato  il 5 febbraio 1894. Della figlia Sidonie , che aveva invano, richiesto la grazia del padre al primo ministro Sadi Carnot,  se ne prese cura  Sebastien Faure.

 

EMILE HENRY

EMILE HENRY (1872-1894): Il padre fu  un famoso comunardo. Aveva da poco aderito all’anarchismo, quando mosso dalle ingiustizie sociali subite  dal proletariato cominciò ad eseguire  attentati. ( famoso fu quello che determinò, in modo imprevisto, l’esplosione del commissariato situato nella rue des Bons Enfants dove la polizia aveva  portato una bomba che lui aveva depositato dananti agli uffici della Compagnia mineraria di Carmaux) . Dopo quest’attentato era fuggito in Inghilterra, dove rimase sino al 1893. Tornato in Francia dopo la condann aa morte di Vaillant,  Henry  lo volle vendicare  e gettò una bomba contro il Caffè Terminus  della stazione Saint-Lazare.’, frequentato dalla borghesia, in un’ora di punta. Durante il processo Henry , nella sua autodifesa, assunse il ruolo di  spietato giudice  accusatore della società borghese, assumendosi tutte le responsabilità del gesto.   ( brano da commentare):

Brano da commentare. “….  Non mi spetta sviluppare  qui la dottrina dell’anarchia. Solo voglio accennare al suo lato rivoluzionario, al suo lato distruttore e negativo per il quale io compaio innanzi a voi. In questo momento di lotta acuta tra la borghesia e i suoi nemici, io sono quasi tentato di dire col Souvarine del GERMINAL: “Tutti i ragionamenti sull’avvenire sono delittuosi, perché impediscono la distruzione pura e semplice e ostacolano il cammino della rivoluzione” Dacché un’idea è matura ed ha trovato una formula, bisogna senza più tardare cercarne la realizzazione. Io ero convinto che l’organizzazione attuale è cattiva e ho voluto lottare contro di essa per affrettarne la sparizione. Io ho portato nella lotta un odio profondo, nato dallo spettacolo nauseante di questa società in cui tutto è basso, tutto è losco, tutto è brutto, in cui tutto è d’ostacolo all’espansione delle passioni umane, alle tendenze generose del cuore, al libero slancio del pensiero. Io ho voluto colpire tanto fortemente e tanto giustamente quanto ho potuto. […]  In questa guerra senza pietà che abbiamo dichiarata alla borghesia, noi non domandiamo alcuna pietà. Noi diamo la morte e sapremo subirla. Così attendo con indifferenza il vostro  verdetto…”

Bibliografia:  Luigi Galleani,  Faccia a faccia col nemico , Galzerano editore 2001 p. 426 e p. 431.

 

EMILE HENRY  __



 Mori ghigliottinato gridando Viva l'Anarchia

 

METAMORFOSI DI CASERIO: DALLA PAROLA STAMPATA AL PUGNALE

SANTE CASERIO (1873-1894) . Nato a MottaVisconti (provincia di Milano) da una modesta famiglia di contadini e con cinque fratelli e una sorella. Il padre , afflitto da crisi epilettiche,,  morì, internato in un manicomio, secondo Cesare Lombroso, di pellagra maniaca ereditaria. Per non pesare economicamente alla famiglia Sante Caserio andò a Milano e infine divenne fornaio. Frequentò giovanissimo gli ambienti anarchici. Nel 1891 fondò un circolo comunista-anarchico denominato “ a pee” (senza soldi. Nell’aprile 1892 fu arrestato per avere distribuito un opuscolo antimilitarista : Giorgio e Silvio. . Pietro Gori, che lo conobbe in quel periodo ne fornì, più tardi,   una lunga e commossa descrizione (brani da commentare)

Brani da commentare:  " 1)…”  Molti lavoratori milanesi debbono rammentarsi ancora, di quando Caserio andava, nei pochi momenti di ozio, a distribuire fra gli operai vicino alla Camera dl lavoro opuscoli e fogli di letteratura anarchica, insieme a pagnottine di pane, che comperava coi suoi risparmi nella manetteria dove lavorava “ perché – diceva- sarebbe stato un insulto dare a persone dimagrate dalla fame carta stampata, senz’altro con cui saziare lo stomac prima di leggere; e perché in tal modo eran capaci di capire un po’ meglio ciò che leggevano. “ Quando la polizia si accorse che Sante era un entusiasta propagandista, benché fosse timido e modesto nel suo modo di propaganda, cominciò a perseguitarlo. …” ( Pietro Gori, Sante Caserio , The Torch di Londra marzo 1895) 2) “ Conobbi Caserio Santo […] durante un comizio alla Canobbiana di Milano. Mi fu presentato da alcuni panettieri anarchici, praticando i quali egli (natura entusiasta) s’innamorò degli ideali del socialismo rivoluzionario.  […] Tutti quanti lo avvicinavano, lo aavano, perché era nel suo cuore azzurro uno strano fascino di dolcezza che denunziava uno spirito naturalmente buono […] Chi lo rese implacabile e terribile? Chi scavò gli abissi dell’odio in quella creatura ? […] Oh, ne ho seguite tante di queste evoluzioni e so che il processo è lento e doloroso, ma la causa è unica. Finché Caserio non era molestato dalla polizia, era un operaio modello – un lavoratore alacre e instancabile. Propagandista fervente, adoratore appassionato del suo ideale di eguaglianza e di libertà, rimaneva però sempre il medesimo giovinetto mite e affettuoso, quasi timido. Ne vollero fare un violento – a qualunque costo. Cominciarono a perquisire la sua cameretta, gli misero su contro la famiglia, dipingendolo come un rivoltoso della peggiore specie. Mi ricordo di una mattina che venne sbigottito al mio studio, dicendo che le guardie avevano parlato male di lui al padrone, e lo crucciava  il pensiero di rimanere senza lavoro. […] Intanto le guardie; andando e venendo, tornando e ritornando per il negozio, ove Caserio lavorava, determinarono il suo licenziamento- malgrado il grande affetto che gli portava il padrone. […]  Trovò di nuovo lavoro, ma nuove persecuzioni glielo fecero perdere. Eppure era ancora il mite giovinetto, il ragionatore calmo ed appassionato, senza scatti e senza rancori. Poi una sera che aveva distribuito dei manifestini in vicinanza d’una caserma, manifestini in cui si consigliavano i soldati di non sparare sulla folla in occasione del primo maggio – fu arrestato e condannato per istigazione a delinquere a 11 mesi, poi ridotti a  8 per il decreto di amnistia. Lasciato in libertà provvisoria  […] avendo trovato lavoro in Svizzera, erasi colà recato, cosicché quando avvenne la sua chiamata alle armi esso era impedito a venire dalla condanna che lo aveva colpito. […] Venne in Italia, e fu l’ultima volta, e nascostamente venne al mio studio per chiedermi se l’amnistia l’avrebbe potuto salvare dalla condanna militare. Ma era recidivo per l’altra condanna dei manifesti – e dell’amnistia non poteva usufruire. Riprese la Via Crucis dell’esilio. Né lo rividi più.  ( Come l’avv. Gori di Milano difende l’assassino di Carnot, in La Sera, 28 giugno 1894)

Bibliografia: Primo brano in Pietro Gori, Scritti scelti, Le difese. Ceneri e faville. Sociologia criminale. Poesie e Drammi. volume 2.Edizioni L’antistato, Cesena, 1968, pp. 190-191 . Secondo brano in  Gianluca  Vagnarelli, Fu il mio cuore a prendere il pugnale. Medicina e antropologia criminale nell’ affaire Caserio,  Zero in condotta, 2013, pp. 16-17

                                                         LA MORTE DI CARNOT
 

Fu in Francia che il rifiuto di Carnot a concedere la grazia ad August Vaillant e  la sua responsabilità  per le condizioni miserrime in cui giaceva il proletariato francese e al tempo stesso il suo servirsi, come diversivo della rabbia popolare contro il governo,  dell' odio dei francesi poveri nei confronti degli emigrati poveri italiani, spinse Caserio a uccidere il primo ministro francese. (cfr. post XENOFOBIA E PROTEOFOBIA....) Durante il processo , nel suo finale discorso ai giurati espose le  motivazioni del suo gesto, tra cui anche l' indiscriminata persecuzione degli anarchici nei primi anni novanta ( cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “  Signori  giurati, quella che voglio intraprendere non è la mia difesa ma la semplice spiegazione  del mio gesto […] A centinaia e centinaia gli operai cercano lavoro, e non lo trovano: invano le loro povere famiglie chiedono pane e in inverno soffrono la più crudele miseria. Si vedono i bambini domandare alle sfortunate loro  madri del pane che queste non possono dargli, perché non hanno niente: i pochi stracci che hanno a casa sono già stati venduti o impegnati al monte di pietà: sono allora ridotte a chiedere l’elemosina e vengono spesso arrestate per  vagabondaggio. […]Mentre dall’altra parte vedevo migliaia e migliaia di persone non fare nulla e non produrre nulla, vivere sul lavoro degli Operai, spendere tutti i giorni migliaia di franchi per i loro divertimenti e i loro piaceri, deflorare le ragazze del povero popolo, possedere palazzi di 40 o 50 camere, 20 o 30 cavalli, e numerosi domestici, in una parola tutti i piaceri della vita.  […] Io credevo a un Dio, ma quando ho visto una siffatta ineguaglianza tra gli uomini, è allora che ho capito che non è Dio che ha creato l’uomo,  ma sono  gli uomini che hanno creato Dio, cioè coloro  che hanno avuto l’interesse di far credere all’esistenza diun Inferno e  di un Paradiso, con lo scopo di far rispettare la proprietà individuale e per mantenere il  Popolo nell’ignoranza. […] Non è passato molto  tempo da quando Vaillant lanciò una bomba nella Camera dei Deputati, per protestare contro questa infame società. Egli non uccise nessuno, non ferì nessuno , e, malgrado questo, la Giustizia borghese lo condannò a  morte e non trovandosi soddisfatta di aver condannato il colpevole, cominciò a fare la caccia a tutti gli anarchici, arrestandone centinaia che non avevano nemmeno conosciuto Vaillant, colpevoli soltanto o di avere assistito a una conferenza o di aver letto dei Giornali o degli opuscoli anarchici. Ma il Governo non pensava che tutte queste persone hanno mogli e bambini, e che quelli che arrestava e deteneva in prigione per quattro o cinque mesi, sebbene innocenti, non erano i soli a soffrire, c’erano anche i loro bambini che chiedevano pane. […] Se dunque i Governi impiegano i fucili, le catene, le prigioni, e la più infame oppressione  immaginabile contro noi altrianarchici, noi anarchici cosa dobbiamo fare ? Cosa? Dobbiamo restare rinchiusi a casa ? Dobbiamo sconfessare il nostro ideale che è la verità? No! […] Hemile Henry ha lanciato una bomba in un ristorante, e io mi sono vendicato con il pugnale , uccidendo il Presidente  Carnot, perchè era quello che rappresentava la Società borghese. Signori Giurati, se volete la mia testa prendetela: ma non credete che, prendendo la mia testa, riuscirete ad arrestare la propaganda anarchica. No! … Ma fate attenzione, perché chi semina, raccoglie.  … “  ( Sante Caserio, Dichiarazione ai Giurati)

Bibliografia: Gianluca  Vagnarelli, Fu il mio cuore a prendere il pugnale. Medicina e antropologia criminale nell’ affaire Caserio,  Zero in condotta, 2013, pp. 91, 92, 93, 94

 

CASERIO IN ATTESA DELL'ESECUZIONE

Morì  , a 21 anni , ghigliottinato gridando : "Forza compagni,  Viva l’anarchia”.,

 


Le parole della famosa canzone "A Sante Caserio" meglio nota come " La ballata di Sante Caserio" furono scritte da Pietro Gori.

Canzone da  commentare:  A SANTE CASERIO: “Lavoratori, a voi diretto è il canto di questa mia canzone che sa di pianto e che ricorda un baldo giovin forte che per amor di voi andò alla morte . A te, Caserio ardea nella pupilla de le vendette umane la scintilla ed alla plebe che lavora e geme donasti ogni tuo affetto , ogni tua speme. Eri nello splendore della vita e non vedesti che notte infinita: la notte dei dolori e della fame che incombe sull’immenso uman carname. E ti levasti in atto di dolore, d’ignoti strazi altero vendicatore e t’avventasti, tu sì buono e mite a scuoter l’alme schiave ed avvilite. Tremarono i potenti all’ atto fiero e nuove insidie tesero al pensiero e il popolo a cui  l’anima donasti non ti comprese e pur tu non piegasti. E i tuoi vent’anni, una feral mattina gettasti al mondo dalla ghigliottina, al mondo vile la tua grande alma  pia,    alto gridando “Viva l’ Anarchia”. [ Ma il dì s'appressa o bel ghigliottinato che il tuo nome verrà purificato quando sacre saran le vite umane e diritto d'ognun la scienza e il pane. Dormi, Caserio, entro la fredda terra donde ruggire udrai la final guerra la gran battaglia contro gli oppressori la pugna tra sfruttati e sfruttatori. Voi che la vita e l'avvenir fatale offriste su l'altar dell'ideale o falangi di morti sul lavoro vittime de l'altrui ozio e dell'oro, Martiri ignoti o schiera benedetta già spunta il giorno della gran vendetta della giustizia già si leva il sole il popolo tiranni più non vuole.]

 Discografia:  Antologia della canzone anarchica, (1)  CD citato p. 11 . Parole di Pietro Gori.  I versi messi tra le parentesi quadre le si trova facilmente su internet

  

LUIGI LUCCHENI

LUIGI LUCCHENI (1873- 1910) nato a Parigi , dove la madre Luigia , bracciante di Parma, era andata a partorire segretamente il figlio avuto da una relazione illegittima. Luigia, dopo la nascita, ritornò in Italia, lasciando il bambino all'Hospice des Enfants Assistés, che  appena fu possibile lo mandarono all’ orfanatrofio di Parma.  Della sua vita  Luccheni ne parlò succintamente durante gli interrogatori successivi al suo arresto per avere ucciso,  l’Imperatrice Elisabetta d’Austria. (brani da commentare)

Brani da commentare :  1)  “Avete detto di essere nato a Parigi. Quando avete lasciato la città? “ -  Dovevo essere molto piccolo. I miei primi ricordi riguardano l’ospizio per trovatelli di Parma” –  Cosa sapete dei vostri genitori? – Niente, non li ho mai conosciuti e nessuno mi ha mai parlato di loro. Mia madre mi ha rinnegato il giorno stesso in cui sono nato; mio padre ancora prima, quando mi ha concepito. Quando ho cominciato a ragionare vivevo con degli esseri avidi che si definivano miei genitori  adottivi e che riuscirono a comprarsi un negozio con le pochelire che lo Stato dava loro per me.” – “ Dove è successo tutto questo? “- “A Parma. E più tardi nelle vicinanze della città, presso nuovi genitori adottivi. In un piccolo paese chiamato Varano. Andavo a scuola a quell’epoca. Ma contemporaneamente dovevo guadagnare dei soldi e darli a loro. Prima ho fatto il giardiniere e il cameriere per i parroci dei comuni limitrofi. A dieci anni smisi di andare a scuola; lavorai allora come scalpellino.  Più crescevo e mi irrobustivo e più pesante diventava il lavoro. A sedici anni trascinavo traversine e rotaie nei cantieri per la linea ferroviaria Parla- La Spezia . Da allora ho cambiato più volte lavoro.”    […]  “ Nel luglio del 1894 siete andato a militare. In quale reggimento?” – “ Nel terzo squadrone di cavalleria, 13 reggimento Monferrato”. - “ Dove stazionava il reggimento? – “ A Caserta e a Napoli. Il capo del mio squadrone era il principe d’Aragona”- “ per quanto tempo avete fatto il militare? “  “ Tre anni e mezzo, come prescrive la legge italiana” […]– “ Quando avete lasciato le armi?” – “A metà dicembre del 1897. Sono comunque rimasto al servizio del principe d’Aragona per altri tre mesi e mezzo in forma privata: eravamo a volte a Napoli  , a volte a Palermo. Volevo rendermi conto di come si vive sfruttando il sudore dei lavoratori e vi posso assicurare che è molto piacevole. Ne avevo abbastanza. “ […].  ( interrogatorio del giudice istruttore Charles Léchet  con risposte di Luigi Luccheni del 12 settembre 1898 pp.  2) “ Ricordo che voi avete avuto un’onorificenza militare della quale andrete fiero, immagino. Per quale motivo vi è stata data?” – “ per una battaglia persa, alla quale non ho neanche partecipato” – E’ conosciuta come la battaglia di Adua. In realtà è stata combattuta a Sevi . Il 1° marzo 1896. Lì 100000 forti abissini hanno massacrato 20000 miserabili soldatiitaliani. Io ho avuto la fortuna di trovarmi in quel momento a bordo di una miniscola e puzzolente nave da trasporto con altri 500 compagni; andavamo da  Palermo in Eritrea. Ci siamo persi la battaglia; siamo arrivati in tempo per vedere la sconfitta. Visto che non avevano niente da darci, ci venne data l’onorificenza. Tutto qui.” ( Interrogatorio del 19 settembre  1998)

Bibliografia: Luigi Luccheni, Come e perché ho ucciso la principessa Sissi, Edizioni Anarchismo, 2009, pp. 36-37 (primo brano) e p.58 (secondo brano)  Per quanto riguarda la partecipazione di  Luigi Luccheni alla guerra d’Abissinia, cfr. Renzo Castelli,  La vera storia della principessa Sissi e dell’anarchico che la uccise,  Edizioni ETS, 2014 pp. 155-159 che esalta l’eroismo manifestato in quella spedizione da Luigi Luccheni. 

 
RICCHEZZA E POVERTA'

Sulle motivazioni addotte da Luigi Luccheni, durante l’indagine istruttoria, sul suo gesto, cfr. due  brani da commentare.

Brani da commentare:  1) “ Vi prego di opporvi a quei giornali ( o forse dovrei dire a tutti i giornali) che osano classificarmi come un assassino nato, rifacendosi alle teorie di quel professore ( di nome Lombroso, se non sbaglio) che sostiene che la consistente grandezza della testa di una persona sia  il segno della sua potenzialità a diventare un assassino. […]  Vi prego inoltre di opporvi a tutti quei giornali che sostengono che Luccheni abbia agito a causa della miseria. Anche questo è completamente falso ! Concludendo, voglio precisare : se le classi dominanti non ammetteranno di sfruttare il prossimo, a loro verrà inflitta la stessa punizione che il sottoscritto ha già imposto ad un’altra persona. Non solo nei confronti di sovrani, presidenti o ministri, ma verso tutti coloro che opprimono il prossimo…” ( Lettera di Luccheni a Giuseppe Turco , proprietario e caporedattore del giornale liberale di Napoli “ Don Marzio”, Ginevra 11 settembre  1898); 2)  Da quando siete anarchico ?” -  “ Da quando ho cominciato a ragionare. Ero amareggiato per come veniva trattata e sfruttata la gente come me. Ho iniziato a incolpare le autorità, lo Stato e la Chiesa della nostra miseria.  Più tardi capii che coloro che ci governavano e che ci reprimevano violentemente con l’aiuto della polizia e dei soldati, non avevano alcuna intenzione di cambiare la situazione. Anzi. Volevano mantenere le cose così come erano, tutto a loro vantaggio. Non c’è alcuna differenza tra monarchia e repubblica.  Nobili, borghesi e Chiesa sono un’unica cosa. Tutti vivono sfruttando il sudore e la miseria dei contadini e dei lavoratori, diventando sempre più ricchi e grassi.”-.  ( Interrogatorio del 15 settembre  1898) B

Bibliografia:  Luigi Luccheni, Come e perché ho ucciso la principessa Sissi, Edizioni Anarchismo, 2009 p. 28 ( primo brano) e p.  58 (secondo brano)

 

LA MORTE DI "SISSI"

Anche all’interno  dello stesso movimento anarchico vi furono opinioni contrastanti sul come valutare il gesto di Luigi Luccheni. Personalmente sento di condividere quella espressa da Emma Goldman immediatamente dopo la notizia dell’ assassinio di Elisabetta d’ Austria. ( cfr. brano da commentare)

Brano da commentare: “…  Mi ero rifiutata di condannare il gesto di Luccheni, soprattutto perché avevo appreso di giornali anarchici italiani che il giovane era nato sula strada e che era stato costretto a viva forza ad arruolarsi  nell’esercito.   Aveva sperimentato  la spaventosa brutalità della guerra sul fronte africano, era stato maltrattato dai suoi superiori e aveva sempre  condotto una vita miserabile. Il suo gesto di protesta, male indirizzato, era stato dettato dalla disperazione. […] Tuttavia espressi anche simpatia per la vittima, che era stata considerata per lungo tempo persona non grata ( in italiano nel testo) presso la Corte austriaca e non poteva perciò essere ritenuta responsabile dei crimini commessi dalla corona. Non attribuivo nessun valore propagandistico al gesto di Luccheni. Ma anche lui era una vittima, al pari dell’ Imperatrice, e rifiutavo allo stesso modo la spietata condanna dell’uno e i melensi sentimenti per l’altra. Il mio atteggiamento mi procurò critiche roventi da parte della stampa e persecuzioni da parte della polizia….” ( Emma Goldman, Vivendo la mia vita)

Bibliografia:  Emma Goldman, Vivendo la mia vita, Volume  1  (1889-1899), La Salamandra 1980, p. 217

La  “simpatia” verso alcuni aspetti del  comportamento,  anticonvenzionale di “ Sissi” ( o meglio Lisi, come, secondo quanto afferma Renzo Castelli, la “chiamavano il padre e l’intera famiglia”) nei confronti della corte e dell’aristocrazia può trovare un qualche appoggio in alcune delle sue poesie:

Poesie da commentare: 1)   Onesti, laboriosi  e schietti / Anche i pescatori son meglio/  dell’armata aristocratica / che sta qui a poltrire / Chissà , se non ci fossero  principi, non ci sarebbero guerre. / Devono dirmi che cosa rende / il popolo felice / e se decidono / che è la  repubblica / con gioia li accontento / Cari popoli miei, che vivete nel grande regno/  nell’intimo del mio cuore vi ammiro / poiché nutrite ingenuamente con il vostro sangue e il vostro sudore / questa razza degenerata”; ( citata in  Renzo Castelli, La vera storia della principessa Sissi……) 2) Un Babbuino, il sovrano , troneggia maestoso / in abito straniero, austero e serioso / La scimmia piccola al suo fianco, la consorte/ leziosa/ fa la riverenza alla gente strepitante / I figli, due scimmiette ben riuscite come il padre / si presentano perfino in divisa militare / Un intero esercito di scimmie decorate / si dà da fare a ghignare e schiamazzare / Qualche somaro diplomatico completa infine la masnada…”. ( dai Canti del mare del Nord:   composta in occasione della visita ufficiale , nel 1885, della famiglia imperiale russa a Kremsier, che oggi è Kromeriz, una città dall’importante passato storico della  Repubblica Ceca) 

Bibliografia: Prima e seconda poesia in  Renzo Castelli,  La vera storia della principessa Sissi e dell’anarchico che la uccise,  Edizioni ETS, 2014 pp. 164 e 182. Cfr. anche per altre belle poesie di  Elisabeth Kaiserin  von Osterreich Sissi (Monaco 1837-Ginevra 1898) in http://www.letteraturadimenticata.it/Sissi.htm 

 

GAETANO BRESCI

GAETANO BRESCI (1869-1901) lavoratore  tessile di Prato, schedato dalla polizia come anarchico, fu mandato , dopo le leggi crispine del 1894, al confino nell’isola di Pantelleria.  Amnistiato nel 1896  partì, poco tempo dopo,  per l’America del Nord e si stabilì a Paterson , dove vi era un importante centro  anarchico, composto per lo più da lavoratori tessili italiani.  Nel 1900 tornò in Italia e uccise re Umberto I a Monza, che aveva da poco  premiato con medaglie e con la nomina di senatore il generale Bava de Beccaris,  repressore , con cannonate, dei moti popolari del 1898.

GAETANO BRESCI: PROCESSO

 Dopo un  famoso processo in cui Bresci  , che durante il processo aveva fieramente  motivato  le motivazioni del regicidio,  fu condannato, nonostante l' accalorata difesa, impostata sulla ricostruzione della disumana  politica antiproletaria messa in atto in quegli anni dal governo, dall'avvocato FRANCESCO SAVERIO MERLINO, all’ergastolo e sette anni di totale isolamento e  fu poi trovato morto nella sua cella del penitenziario di Santo Stefano, a Ponza, dove  stava scontando la pena.

Brani da commentare: 1) “ Ho attentato al Capo dello stato perché a parer mio egli è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. E come ho detto altre volte, concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute  in Sicilia circa 7  o 8  anni fa in seguito agli stati d’assedio  emanati per decreto reale in contraddizione alla legge dello Stato. E dopo avvenute le altre repressioni del  ’98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio emanati con decreto reale, il mio proposito assunse maggiore gagliardia ( dal verbale d’interrogatorio di Bresci) 2) “Vi è stato un momento in cui come diceva l’imputato, pareva che le nostre libertà fossero in pericolo [….] fu proclamato che per una ragione suprema di necessità e difesa della propria esistenza, il Governo avesse il diritto di manomettere le leggi, di violare lo Statuto, di creare tribunali straordinari, di mettere stati d’assedio e fare tutto quello che venisse in mente al presidente del Consiglio dei Ministri ! Noi siamo usciti fuori dal terreno delle libertà, abbiamo ricorso alla violenze. Sì! Il Governo ricorse alla violenza e non dovete meravigliarvi se l’esempio della violenza, venendo dall’alto, ha provocato una reazione al basso della società, se c’è stato chi ha creduto a un’altra necessità, a quella cioè di opporre alla violenza del Governo la violenza privata. Questo è il fattore politico della delinquenza anarchica in Italia..” ( dall’ arringa in difesa di Bresci dell’avvocato  FRANCESCO SAVERIO MERLINO  (cfr. post su "Francesco Saverio Merlino").   

Bibliografia: in Pier Carlo Masini,  Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati,  Rizzoli,  1981, p. 146 e p. 152  

GAETANO BRESCI  IMPICCATO

 Secondo la versione ufficiale Bresci, nel 1901,  si suicidò, secondo invece  molte voci, raccolte nel carcere, egli fu ucciso e, soltanto dopo, fu inscenata la sua "impiccagione a una finestra della sua cella.  

 


Sull’ anarchico  regicida GAETANO BRESCI  è stato pubblicato nel 2006 un interessante  libro-fumetto di Fabio Santin-Marco Ricconcini , a cui mi sono ispirato per la mia figurina di creta  di Bresci con le pistole in mano .

 

                                     

 

 

Nessun commento:

Posta un commento