Dopo la morte di Francisco Ascaso e la vittoria a Barcellona sui generali ribelli, Durruti formò la sua celebre “colonna” anarchica , nota poi con il nome di "Columna Durruti", basata sulla teoria della “disciplina dell’indisciplina” e composta da raggruppamenti di cinque centurie, formate da quattro gruppi di venticinque combattenti. Ogni raggruppamento eleggeva un delegato revocabile in ogni momento e si diresse sul fronte di Aragona con l'obiettivo di liberare Saragozza conquistata dalle truppe nazionaliste.
Brani
da commentare: 1)“L’ho già detto e lo ripeto ancora: in tutta la mia vita mi
sono comportato da anarchico e il fatto di essere stato nominato delegato
responsabile di un gruppo di uomini non può farmi cambiare. A queste condizioni
ho accettato l’incarico che mi ha affidato il Comitato Centrale delle milizie.
Io penso, e tutto quanto sta succedendo attorno a noi conferma la mia opinione,
che una milizia operaia non può essere guidata secondo le regole classiche
dell’esercito. Sono convinto che la disciplina, il coordinamento e la
realizzazione di un piano, siano indispensabili. Ma tutto questo non si può
interpretare secondo i criteri che erano in uso nel mondo che stiamo
distruggendo. Dobbiamo costruire su basi nuove. Secondo me e secondo i miei
compagni, la solidarietà tra gli uomini è il migliore incentivo per far
crescere la responsabilità individuale che sa accettare la disciplina come un
atto di autodisciplina. Ci viene imposta la guerra e la tecnica che
deve sostenerla differisce da quella con cui abbiamo condotto la lotta che
abbiamo appena vinto, ma la finalità del nostro combattimento è la vittoria
della rivoluzione. Ciò significa che dobbiamo sconfiggere il nemico attraverso
una trasformazione radicale dell’uomo. Affinché questo cambiamento avvenga
occorre che l’uomo impari a vivere e a comportarsi come un uomo libero,
sviluppando le sue doti di responsabilità e di personalità per essere padrone
delle proprie azioni. L’operaio sul lavoro non solo cambia le forme della
materia, ma modifica anche se stesso. Il combattente non è altro che un operaio
che utilizza il fucile come attrezzo e i suoi atti devono tendere allo stesso
fine dell’operaio. Nella lotta non può comportarsi come un soldato che viene
comandato, ma come un uomo cosciente che conosce l’importanza della sua azione.
So già che ottenere ciò non è facile, ma so anche che ciò che non si
ottiene col ragionamento non si ottiene neppure con la forza. Se il nostro
apparato militare della rivoluzione deve sostenersi sulla paura , vuol dire che
non abbiamo cambiato nulla, se non il colore della paura. E’ solo liberandosi
della paura che la società potrà edificarsi nella libertà” (da un
discorso di Durruti in Abel Paz p. 62,
2000). 2)“
Man mano che la Colonna avanzava e attraversava i paesi, la gente si accalcava per vedere passare il
convoglio. Più di uno, scorgendo Durruti esclamava: “ Ma non può essere un
comandante. Non porta i gradi”. Altri meglio informati, rispondevano che “ un
anarchico non comanda mai e quindi non porta gradi ....” ( In Abel Paz, Durruti e la rivoluzione
spagnola)
Bibliografia: Primo brano in Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola, BFS, Zero in condotta, La fiaccola, 2000 vol. II pp. 61-62. Secondo brano in Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola Biblioteca Franco Serrantini, La Fiaccola, Zero in condotta, vol. II 2000 p. 71.
La colonna, aperta anche a volontari stranieri, combatté particolarmente sul fronte d’ Aragona e in ogni paese liberato veniva incoraggiata e promossa la collettivizzazione della terra e l’organizzazione di scuole e attività culturali.
Brano da commentare: "Noi facciamo la guerra e la rivoluzione nello stesso tempo. Le misure rivoluzionarie non vengono prese soltanto a Barcellona, ma si estendono anche alla linea del fuoco. Ogni villaggio che prendiamo comincia ad organizzarsi in maniera rivoluzionaria. […] Dalla linea del fuoco sino a Barcellona. Sulla strada che abbiamo seguito non ci sono più che combattenti. Tutti lavorano per la guerra e la rivoluzione, ecco la nostra forza” ( da un famoso discorso di Durruti )
Bibliografia: in Daniel Guerin ,Né Dio né padrone vol. II Jaka Book p. 375.
Chiamato a difendere la città di Madrid dall’assedio franchista, si recò là e mentre contribuiva efficacemente alla liberazione della città venne ucciso da una pallottola vagante sparata dalla città universitaria non si ancora bene da chi . E’ comunque certo che furono gli stalinisti che più si avvantaggiarono politicamente della sua morte. Ebbe dei grandiosi funerali a Barcellona. A mio parere le parole da lui dette durante un' intervista al giornalista Van Paasen , possono essere interpretate come una specie di testamento politico .
Brano da commentare: " Van Paasen: “ Ma quando avrete vinto, vi troverete in mezzo a un mucchio di rovine” Durruti: “Da sempre abitiamo in tuguri e capanne. Ci sapremo adattare ancora per un po’. Ma non dimentichi che sappiamo anche costruire. Siamo stati proprio noi a costruire questi palazzi e queste città in Spagna, in America e ovunque nel mondo. Noi, i lavoratori, possiamo elevarne di nuovi al loro posto. Nuovi, e migliori. Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra, su questo non c’è il minimo dubbio. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce”. ( da un intervista di Van Passen a Buenaventura Durruti )
Bibliografia: in Hans Magnus Enzensberger, La breve estate dell’anarchia , Feltrinelli 1973, p. 168-169
CARL EINSTEIN (1885-1940)
Scrittore tedesco, fu un importante esponente dell’espressionismo
tedesco . Il suo primo romanzo , Bebukin o i dilettanti del miracolo rivoluzionava la prosa allora in corso. Fu amico di George Grosz, George Braque e Pablo Picasso. Fu anche un noto critico letterario e nel 1928 fondò insieme a Georges Bataille e Michel Leiris la rivista d'Arte, Documents e collaborò a diverse altre prestigiose riviste dell'epoca. Nel 1915 pubblicò Negerplastick (Arte Negra), una delle prime opere che riconosceva l'importanza dell' arte africana. Impegnato sin da giovanissimo politicamente partì, nell’agosto 1936, per la
Spagna e fece parte, anche lui, della Colonna Durruti, E proprio ad Einstein spettò l’incarico di
fare l’elogio funebre di Bonaventura Durruti,
alla radio della CNT .). Nel 1939 riparò
in Francia dove fu immediatamente internato in un campo di concentramento.
All’arrivo dei tedeschi, nel 1940, si suicidò.
Brano
da commentare: “ …. Questa colonna anarco-sindacalista è nata in seno alla
Rivoluzione. E’ essa sua madre. Guerra e rivoluzione non sono che una cosa sola
per noi. […] La Colonna Durruti si compone di
lavoratori, dei proletari venuti dalle fabbriche e dai villaggi. Gli operai di fabbrica
catalani sono partiti in guerra con Durruti, i compagni della provincia li hanno
raggiunti. […] Degli adolescenti, quasi dei bambini, sono fuggiti per venire da
noi, degli orfani i cui genitori erano stati assassinati. Questi bambini si
battono al nostro fianco. Parlano poco, ma hanno capito presto molte cose. La
sera, al bivacco, ascoltano i più anziani. Alcuni non sanno né leggere né
scrivere. Sono i compagni che insegnano loro. La Colonna Durruti ritornerà dal campo senza analfabeti. E’
una scuola. La Colonna non è organizzata
né militarmente né in modo burocratico. E’ emersa in modo organico dal
movimento sindacalista. E’ un’associazione social-rivoluzionaria, non è una truppa. Formiamo un’associazione di proletari
asserviti e che si batte per la libertà di tutti. La Colonna è opera del
compagno Durruti, che ha determinato il
loro spirito ed incorragiato la loro libertà di
essere sino all’ultimo battito del
cuore. I fondamenti della Colonna sono il cameratismo e l’autodisciplina. Lo
scopo della loro azione è il comunismo, nient’altro. Tutti odiamo la guerra, ma
tutti la consideriamo come un mezzo rivoluzionario. Non siamo dei pacifisti e
ci battiamo con passione. La guerra-questa idiozia completamente superata- non
si giustifica che attraverso la Rivoluzione sociale. Non lottiamo in quanto soldati, ma come liberatori […]
Il soldato obbedisce perché ha paura e si sente inferiore
socialmente. Combatte per frustrazione. E’ per questo che i soldati difendono
sempre gli interessi dei loro avversari sociali. I capitalisti. Questi poveri
diavoli della parte fsscista ce ne danno il pietoso esempio. Il
miliziano si batte soprattutto per il proletariato, vuole la vittoria della classe operaia . I
soldati fascisti si battono per una minoranza in via di sparizione, il loro
avversario., il miliziano per il futuro della sua classe. Il miliziano è dunque
più intelligente del soldato. E’ un ideale e non la parata al passo d’oca che
regola la disciplina della Colonna Durruti. Dove arriva la Colonna , si
collettivizza. La terra è data alla comunità, i proletari agricoli da schiavi
dei cacicchi che erano, si trasformano in uomini liberi. Si passa dal
feudalesimo al libero comunismo. […] La base della nostra Colonna è la nostra
reciproca fiducia e la nostra collaborazione volontaria. Il feticismo del
comando, la fabbricazione di celebrità, lasciamole ai fascisti. Restiamo dei
proletari in armi., che si sottomettono volontariamente a una disciplina
funzionale. Si capisce la Colonna Durruti se si è afferrato il
principio che essa resterà sempre la figlia e la protettrice della Rivoluzione
proletaria. La Colonna incarna lo spirito di Durruti e della CNT-FAI….. “(dall’elogio funebre di Durruti
fatto da Carl Einstein alla radio della CNT, durante i funerali.)
Testo originale francese in Increvables.
Monde Libertaire. Histoire de
l’Anarchie, traduzione italiana in http://latradizione libertaria.over-blog.it/article-memoria-carl-einstein
LIBERTO CALLEJAS (1885-1969), amico di Durruti e di Ascaso già dai tempi del loro esilio a Parigi, dove aveva fondato il giornale "La vox anarquista" , tramite il giornale della CNT , "Solidad Obrera" , si ispirò proprio a Buenaventura Durruti, subito dopo la sua morte, per le sue critiche rigorose degli anarchici, favorevoli alla militarizzazione e al ministerialismo. Il riferimento a Durruti
come colui che non sarebbe mai venuto meno ai principi
fondamentali dell’anarchismo fu poi immediatamente ripreso dal gruppo “Los amigos de Durruti”.
(cfr. post “ LE GIORNATE DEL MAGGIO 1937, JAIME BALIUS MIR E GLI "AMIGOS DE DURRUTI)
Brano
da commentare: “ Durruti si esprimeva
sempre in questo modo: “Se la rivoluzione proletaria non viene plasmata
con sufficiente efficacia, non potrà avere altro che una soluzione: la
ripetizione di sistemi autoritari, le dittature
bianche o rosse, vecchie o nuove, forme di oppressione
che indeffetibilmente perpetueranno i mali che
la società borghese porta nelle sue viscere .“
Durruti può avere ben rivestito
incarichi che in questi momenti sono forse necessari per mantenere il fuoco
della rivoluzione. Non li volle. Si confuse tra i miliziani al fronte. Fu un
soldato, un semplice soldato della libertà e dette tutta la sua vita, che era
parte della nostra”
Bibliografia:
in Pier Francesco Zarcone, Spagna Libertaria.
Storia di collettivizzazioni e di una rivoluzione sociale interrotta (1936-1939), Massari editore 2007 p. 190
Concludo ricordando la manipolazione, dopo la sua morte, della figura di Durruti , ben messa in chiaro
da Abel Paz nel suo libro su Durruti , da parte del governo repubblicano e particolarmente
dei comunisti e come si oppose ad
essa la stessa compagna di Buenaventura Durruti , Emilienne Morin ( cfr. post: MUJERES LIBRES 2). (cfr. brano) .
Brano da commentare: “ Pensiamo di non
tradire la memoria di Durruti affermando che egli fu fino all’ultimo istante
della sua vita l’intrepido anarchico dei suoi
primi anni. Questa evocazione non è superflua, perché non è un segreto per
nessuno che diversi settori politici hanno cercato di accapararsi per il loro esclusivo interesse l’innegabile prestigio dell’eroe
di Aragona e di Madrid. Si è cercato di
fare di lui un grande
militare convinto della necessità diuna
disciplina di ferro, che accettò perfino con soddisfazione la militarizzazione
di cui già si parlava nel novembre del 1936. Le sue ultime parole “rinunciamo a
tutto, meno che alla vittoria” sono diventate il motto dei combattenti, ma
ciascuno le interpreta secondo la linea politica della propria organizzazione o
del proprio partito. Non voglio entrare in polemica perché nel momento attuale,
non c’è posto per polemizzare, ma in questo insieme di contraddizioni e
confusione nate dalla guerra stessa, mi si permetta di dire, come testimone,
quello che penso. Durruti, quando parlava della vittoria, pensava, senza alcun possibile
dubbio, alla vittoria delle milizie popolari che
sconfiggevano le orde fasciste, perché rifiutava l’idea della vittoria militare
di una Repubblica borghese che non porterebbe a nessuna trasformazione sociale.
Quante volte l’ho sentito dire : “ Non
varrebbe la pena mascherarci da soldati, se dobbiamo farci governare dai
repubblicani del 1931. Siamo pronti a fare concessioni, ma non dimentichiamo
mai che è necessario portare avanti contemporaneamente sia la guerra che la rivoluzione! Durruti non
dimenticò mai la sua vita di perseguitato: portava il dramma delle persecuzioni
subite dalla CNT e dalla FAI inciso con lettere di sangue nella sua memoria.
Non aveva alcuna fiducia nei politici repubblicani e si rifiutava di chiamare
antifascisti uomini come Azᾶna. Insomma, era convinto che la borghesia
spagnola che si era alleata alla causa repubblicana non avrebbe perso l’occasione per minare, senza scrupoli,
anche in piena guerra, le conquiste rivoluzionarie ottenute dal proletariato.
Purtroppo, i fatti gli stanno dando ragione….” ( Emilienne Morin, Notre victoire, in “ Le Libertaire” 17
novembre 1938)
Bibliografia: in Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola, BFS, Zero in condotta, La fiaccola, 2000 vol. II pp. 271-272
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