giovedì 28 aprile 2011

ANARCHICINI: ERRICO MALATESTA (1914- 1932) ( 2)

Tornato  in Italia si dedicò a una intensa attività politica e , nel 1914, partecipò attivamente alla cosiddetta “ settimana rossa”, da lui ritenuta una insurrezione  popolare spontanea ed autogestita. ( cfr. brano).
Brano da commentare:  “ Corre in certi ambienti la leggenda ch’io sia stato l’organizzatore della “settimana rossa” del 1914. Grande onore per me, ma purtroppo non meritato! La “settimana rossa” non fu un movimento preparato e voluto, ma avvenne impensatamente per la reazione spontanea di un popolo fiero ad una provocazione insensata e sanguinosa della forza pubblica. […] La rivoluzione stava per farsi, per impulso spontaneo delle popolazioni, e con grandi  probabilità di  successo . Certamente non si  sarebbe in quel momento attuata l’anarchia e nemmeno il socialismo, ma si sarebbero levati di mezzo molti ostacoli e si sarebbe aperto il periodo di libera propaganda, di libera esperimentazione, e sia pure di lotte civili, in capo al quale noi vediamo rifulgere il trionfo del nostro ideale. Ma tutto a un tratto, quando maggiori erano  le speranze, la direzione della Confederazione generale del Lavoro con telegramma circolare dichiara finito il movimento e ordina la cessazione dello sciopero. E così le masse che agivano nella fiducia di prender parte ad un movimento generale, furono disorientate; ciascuna località vide naturalmente che era impossibile resistere da sola, e il movimento cessò. “. (Errico Malatesta, Movimenti stroncati, in Umanità Nova giugno 1922 ) 

Bibliografia : Errico Malatesta, Pagine di lotta  quotidiana . Scritti, secondo volume edito a cura del Movimento Anarchico Italiano , 1975, pp. 101 e 103. Cfr. in quanto più facilmente reperibile , Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola, dizioni Spartaco, 2003 pp. 172-173 e p. 175
Dopo il  fallimento di quell’insurrezione  Malatesta dovette di nuovo rifugiarsi a Londra.  Con lo scoppio, alcuni mesi dopo , della Prima Guerra Mondiale  Malatesta si impegnò con tutte le sue forze contro quel conflitto, che, tra l’altro, provocò anche una lacerazione all’interno del movimento anarchico e alla rottura del lungo rapporto d’amicizia con Kropotkin. (cfr. brano)
Brano da commentare:  “….. Io ebbi l’onore e la fortuna  di essere per lunghi anni legato a Kropotkin dalla più  fraterna amicizia [ …]  E infatti non vi fu mai tra noi un disaccordo serio fino al giorno in cui si presentò  nel 1914  una questione di condotta pratica di una importanza capillare per me e per lui: quella dell’attitudine che gli anarchici dovevano prendere riguardo alla  guerra. In quella funesta occasione si risvegliarono e si esacerbarono in Kropotkin le sue vecchie preferenze per tutto ciò che è russo, o francese, ed egli si dichiarò partigiano appassionato dell’ Intesa.  Egli sembrò dimenticare ch’ egli era internazionalista, socialista e anarchico  […] Non era dunque impossibile intendersi: per me era un vero caso patologico. In ogni modo fu uno dei momenti più dolorosi, più tragici della mia vita (ed oso dire anche della sua ) quello in cui, dopo una discussione oltremodo penosa, ci separammo come degli avversari, quasi dei nemici. “ (Errico Malatesta, Pietro Kropotkin, Ricordi e critiche di un suo vecchio amico , in Studi Sociali aprile 1931)

Bibliografia: “ Errico Malatesta, Pensiero e volontà. Scritti, terzo volume, edito a cura del Movimento Anarchico Italiano , 1975,  pp 370-371 .
                                                         
Dopo la fine della guerra Malatesta tornò in Italia  e diresse il quotidiano anarchico “Umanità Nova” e partecipò attivamente al cosiddetto  “biennio rosso”, esponendo più volte, nei suoi scritti e ovunque vi  erano agitazioni e lotte  incitazioni e suggerimenti per l'avvio di un effettivo e concreto processo rivoluzionario.  ( cfr.  brani da commentare)
Brani da commentare:   1) “ Da quando, alla fine del 1919 riuscii a venire in Italia, sfuggendo alla polizia inglese che per rendere un servizio  al governo italiano m’impediva di lasciare  l’Inghilterra, fino all’ ottobre 1920 quando fui incarcerato, e poi ancora,  dopo uscito di prigione, fino all’ultimo momento , in cui fu possibile parlare e muoversi, cioè fino alla marcia  su Roma,  io non feci  che incitare all’azione immediata. Coi socialisti fui sempre in contrasto, perché essi dicevano che bisognava non avere fretta e lasciar fare al tempo che lavorava per la Rivoluzione, ed io invece ritenevo e dicevo che bisognava fare presto perchè il tempo rendeva sempre più difficile l’opera nostra ed avrebbe finito con renderla impossibile per un  lungo periodo  … “ ( Errico Malatesta,  Per la verità, in Pensiero e Volontà, ottobre 1926) ;  2)  Ricordo il 1920, quando ero incaricato  della direzione di Umanità Nova. Era l’epoca in cui i socialisti cercavano d’impedire la  rivoluzione, dicendo, che, in caso di movimento insurrezionale, le comunicazioni con l’estero sarebbero interrotte e che saremmo  morti tutti di fame per mancanza di grano: vi fu anche chi disse che la rivoluzione non si poteva fare perché in Italia non si produceva caucciù.! Io preoccupato della questione essenziale  dell’alimentazione […] pregai  il nostro compagno dottor  Giovanni Rossi [ nota mia: proprio quello della Colonia Cecilia] agronomo provetto, di scrivere una serie di articoli con nozioni pratiche di agricoltura dirette appunto  allo scopo che avevamo in vista. Il Rossi gentilmente lo fece.  Era cosa evidentemente utilissima, ma era cosa pratica e perciò non piacque a tutti. Vi fu un compagno irritato perché io gli avevo rifiutato non so più se di una poesia o di una novella., il quale mi disse bruscamente: “ Già , tu preferisci che in Umanità Nova si parli di aratri, di ceci, di fagioli e simili sciocchezze!” Ed un altro compagno, che la pretendeva allora a superanarchico, tirava  incoscientemente la conseguenza logica  di quello stato d’animo. Messo con le spalle al muro in una discussione, come quella che facciamo adesso, mi rispose: “ Ma queste sono cose che non mi riguardano. A provvedere il pane ed il resto ci debbono pensare i dirigenti ". E la conclusione è proprio questa: O alla riorganizzazione sociale ci pensiamo tutti, ci pensano i lavoratori da loro stessi e ci pensano subito ,man mano che vanno distruggendo il vecchio , e si avrà una società più umana, più giusta, più aperta ai progressi futuri; o ci penseranno i  “dirigenti”., ed avremo un nuovo governo, che farà quel che sempre hanno fatto i governi, cioè farà pagare alla massa gli scarsi e cattivi servizi che rende, togliendole la libertà e lasciandola sfruttare da parassiti e privilegiati di tutte le specie. “  ( Errico Malatesta, Demoliamo e poi?  In  Pensiero e Volontà, giugno 1926 ).
 Bibliografia: “ Errico Malatesta, Pensiero e volontà. Scritti, terzo volume, edito a cura del Movimento Anarchico Italiano , 1975, ( primo brano)  pp 270-271 e secondo brano pp. 241-242  e cfr. Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola,E dizioni Spartaco, 2003 pp. (primo brano )pp. 197-198  e secondo brano pp. 199-200



Nell'ottobre 1920, poche settimane dopo lo sgombero delle fabbriche  , Armando Borghi ( 13 ottobre), i redattori della rivista Umanità Nova (15 ottobre)  Errico Malatesta (17 ottobre) Luigi Fabbri (18 ottobre), il gruppo dirigente d dell'USI, tra cui Virgilia D'andrea e numerosi altri anarchici furono arrestati  invocando più o meno pretestuosi reati di pensiero o di stampa. Il 5 gennaio 1921 , dopo avere respinto la  loro domanda di libertà provvisoria Errico Malatesta, Armando Borghi e Corrado Quaglino sono trattenuti in carcere  sulla base di pretestuosi e vaghi indizi di "complotto terroristico." Già dalla metà di ottobre  era iniziata in tutta Italia una campagna per la loro liberazione (cfr. brano)

Brani da commentare: 1) “ Compagni, Poiché il governo proibisce tutti i comizi sovversivi e permette soltanto quelli per la fiera elettorale, recatevi min tutti questi comizi per reclamare la liberazione di Errico Malatesta e di tutte le altre vittime politiche. I lavoratori ascolteranno certamente più volentieri la vostra parola che quella dei politicanti e degli arrivisti di tutti i colori .” ( Umanità Nova n. 203, Venerdì 22 ottobre 1920 p. 1);  2) “ Compagni! In ogni comizio elettorale la voce anarchica deve gridare la sua protesta contro l’arresto dei redattori di “Umanità Nova” e dei molti compagni di ogni città d’Italia. La congiura del silenzio deve essere spezzata e la folla deve dire la sua rampogna contro i politicanti che per tornaconto elettorale permettono alla reazione ogni ribalderia.” (Appello di Umanità Nova ai  compagni in Umanità Nova n. 205, Domenica 24 ottobre 1920 p. 4); 3) Operai, nei comizi elettorali prima di permettere ai candidati di parlare reclamate a gran voce la liberazione di Errico Malatesta, Armando Borghi e di tutti gli anarchici o sindacalisti incarcerati per reati di pensiero o di stampa! ( Umanità Nova, n. 205, Domenica 24 ottobre p. 5); 4) “ La reazione si è scagliata contro di noi con violenza inaudita. Ricordatevi che è solo sulle nostre forze che possiamo fare affidamento. I socialisti, per tema di compromettere l’esito delle elezioni amministrative si ritirano, lasciando che la violenza governativa compia le sue gesta. Dobbiamo dimostrarci forti e resistere. Umanità Nova, malgrado tutto, vive e combatte. Compagni, sosteneteci! “( Umanità Nova, n. 205, Domenica 24 ottobre p. 5)

Bibliografia:  in Cronache anarchiche.  Il giornale Umanità Nova nell’Italia del Novecento (1920-1945) a cura di Franco Schirone, Zero in condotta, 2010 in DVD volume 1  1920-1921

 
La loro ingiustificata detenzione a San Vittore si prolungava così tanto nel tempo che nel marzo 1921 Errico Malatesta, Armando Borghi e Corrado Quaglino, insieme ad altri iniziarono un  estenuante sciopero della fame per ottenere, il più presto possibile, un processo chiarificatore. La notizia delle cattive condizioni di salute di Malatesta, in seguito al suo prolungato digiuno unito alle vessazioni e umiliazioni subite in prigione provocarono nel movimento anarchico,e in particolare in quello milanese,  un clima di grande esaperazione e angoscia. E fu allora che, in tale contesto avvenne l' "immane" tragedia del teatro Diana di Milano (cfr. brano)

Brano da commentare: “ Dal 19 marzo , Umanità Nova aveva incominciato a dare notizie allarmanti sulla salute di Malatesta, invitando tutti a fare il possibile per la sua liberazione. Il 22 marzo gli anarchici e l’USI proclamarono uno sciopero generale di solidarietà per Malatesta e per i suoi compagni. Il 23 marzo Umanità Nova esordì con un titolo drammatico: “ Compagni! Malatesta muore!” All’interno di questo clima, dunque, s’inserisce la strage del Diana. Il 23 marzo 1921, al Teatro Diana c’era in programma l’operetta “ Mazurka blu” di Franz Lehár, ma gli spettatori poterono assistere solamente ai primi due atti dell’opera. All’ intervallo tra il secondo e l’ultimo atto, intorno alle 22 .30, una bomba esplose uccidendo 21 persone e ferendone un centinaio. La bomba era stata collocata appena fuori il teatro, appoggiata ad una saracinesca in Via Mascagni. I responsabili dell’attentato erano Giuseppe Mariani, Ettore Aguggini e Giuseppe Boldrini, e il loro intento era quello di uccidere il questore di Milano, Giovanni Gasti, la cui abitazione pensavano distasse solo pochi metri. Meno di un 'ora dopo l'attentato, squadre fasciste assaltarono le sedi di Umanità Nova in Via Goldoni, del circolo socialista di Porta Venezia, che era a due passi dal teatro, e dell' Unione Sindacale in Via Mauri. Alle due del  giorno dopo, squadre di camicie nere assaltarono i nuovi locali del giornale socialista Avanti, in Via San Gregorio, ma furono respinti dai residenti di quella via e di quelle adiacenti. I fascisti scagliarono anche delle bombe incendiarie, provocando il rogo del capannone usato come deposito del giornale.  …” ( Franco Buttà, Anarchici a Milano. Storie e interpretazioni (1870-1926)  …. )
Bibliografia : Franco Buttà, Anarchici a Milano. Storie e interpretazioni (1870-1926)  , Zero in condotta, 2016 p.293. Per una più dettagliata ricostruzione di quell’ esecrabile  attentato terroristico , che, tra l'altro, contribuì, non poco, all'ascesa al potere del fascismo, cfr. Vincenzo Mantovani, Anarchici alla sbarra. La strage del Diana tra primo dopoguerra e fascismo, Il Saggiatore, Net (Nuove Edizioni tascabili) , 2007 e anche Giuseppe Mariani. Memorie di un anarchico (titolo originale: Memorie di un ex-terrorista), seconda edizione Arkivio-bibrioteka “T. Serra”, 2005,
 
    Malatesta insieme a Borghi e ad altri  compagni detenuti smisero immediatamente la loro protesta per non alimentare ancora di più la tensione  politica esasperata di quei giorni.
 Brano da commentare: Noi ( Malatesta, Borghi ed altri compagni anche essi in prigione) in quel momento  facevamo lo sciopero della fame prima per protestare contro le lungaggini della procedura e poi per avere la libertà provvisoria alla quale credevamo di avere diritto, come io credo sempre di avervi diritto perché le nostre condanne sono amnistiate e le mie, per di più sono prescritte. Facevamo lo sciopero della fame, ed eravamo arrivati al momento critico, al momento tragico. Era il sesto giorno che digiunavamo. Nella prigione c'erano anche dei detenuti che si lasciavano morire di fame, senza reclamare niente per se stessi, semplicemente per solidarietà verso di noi [...] Quindi al momento che ci sorridevano le più belle speranze e che gli stessi carcerieri ci dicevano: " Ma da un momento all'altro vi mettono fuori!" - ecco che scoppia la bomba del Diana. Ci vennero a dire che il pubblico attribuiva al nostro sciopero quel delitto .. Ci vennero a dire che, continuando, forse, si potevano commettere altri delitti, ed allora noi credemmo nostro dovere cessare lo sciopero e farlo cessare a tutti i nostri compagni detenuti [...] Io insistevo perché la causa si facesse subito; sapevo bene come me lo fecero notare i miei avvocati, che in quel momento l'opinione pubblica era talmente pregiudicata che sarebbe stato impossibile ottenere un verdetto sereno, ma ci tenevo ad andare in causa, non temevo di affrontare il pericolo di andare all'ergastolo: pur di dividere la responsabilità nostra, del nostro partito da quell'immane delitto ...." ( Errico Malatesta, Dichiarazione durante il processo del 28 luglio 1921)
 Bibliografia:  Errico Malatesta, Pensiero e volontà. Scritti, terzo volume, edito a cura del Movimento Anarchico Italiano , 1975,  pp. 309-310. Cfr. anche Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola,Edizioni Spartaco, 2003 pp. 205-206. 

Come è noto,  nel luglio 1921,  il processo contro Malatesta, Borghi, Quaglino ed altri si concluse con la loro assoluzione    dal reato ascrittogli  di “cospirazione contro i poteri dello  Stato” dimostrando l’assoluta inconsistenza delle accuse e l’arbitrarietà di quella lunga e sofferente  detenzione. Uscito di prigione, Malatesta lottò con decisione contro il fascismo, di cui fu tra i pochi a intuirne , sin dall’inizio, l’estrema pericolosità , ma non trascurando l’aspetto morale di questa lotta (cfr. brano)

Brano da commentare:”… Diciamolo francamente, per quanto sia doloroso il constatarlo. Fascisti ve ne sono  anche fuori del partito fascista, ve ne sono in tutte le classi ed in tutti i partiti: vi sono cioè dappertutto delle persone che pur non essendo fascisti, pur essendo antifascisti, hanno però l’animo fascista, lo stesso desiderio di sopraffazione che distingue i fascisti. Ci accade per esempio d’incontrare degli uomini che si dicono e credono rivoluzionari e  magari anarchici i quali per risolvere una qualsiasi questione affermano con fiero cipiglio che agiranno fascisticamente senza sapere, o sapendo troppo, che ciò significa attaccare, senza preoccupazione, di giustizia, quando si è sicuri di non correre pericolo, o perché si è di molto il più forte, o perché si è armato contro un inerme, o perché si ha la protezione della forza pubblica, o perché si sa che il violentato ripugna alla denunzia – significa insomma agire da  camorrista e da poliziotto. Purtroppo è vero, si può agire, spesso si agisce fascisticamente senza avere bisogno d’iscriversi tra i fascisti: e non sono certamente coloro che così agiscono, o si propongono di agire  fascisticamente , quelli che potranno provocare la rivolta morale, il senso di schifo che ucciderà il fascismo … “ ( Errico Malatesta, Libero Accordo, 28 agosto 1923)  
Bibliografia: Dossier  Gli Anarchici contro il fascismo  p.  22  in A rivista anarchica n. 289 , aprile, 2003

 D' altronde un comportamento etico simile Malatesta lo tenne anche nei confronti  del comunismo autoritario e in particolare con il bolscevismo e la sua  imitazione italiana.  (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Vi sono ancora molti che sono affascinati dall’idea del  “terrore”. Ad essi sembra che ghigliottina, fucilazioni, massacri, deportazioni, galera (“forca e galera” mi diceva recentemente un comunista dei più noti) siano armi potenti e indispensabili della rivoluzione, e trovano che se tante rivoluzioni sono state sconfitte e non hanno dato il risultato che se ne aspettava è stato a causa della bontà, della debolezza dei “ rivoluzionari”, che non hanno perseguitato, represso, ammazzato abbastanza. E’ un pregiudizio corrente in certi ambienti rivoluzionari, che ha origine  dalla retorica e dalle falsificazioni storiche della Grande Rivoluzione Francese e che è stato rinvigorito in questi ultimi anni dalla propaganda dei  bolscevici. Ma la verità è proprio l’opposto; il terrore è sempre stato strumento di tirannia. In Francia servì alla bieca tirannia di Robespierre e spianò la via a Napoleone ed alla susseguente reazione. In Russia hanno perseguitato ed ucciso anarchici e socialisti, massacrato  operai e contadini  ribelli ed ha stroncato insomma lo slancio di una rivoluzione che poteva davvero aprire alla civiltà un’era novella. Coloro che credono nella efficacia rivoluzionaria, liberatrice , della repressione e della ferocia hanno la  stessa mentalità arretrata dei giuristi , i quali credono che si possa evitare il delitto e moralizzare il mondo per mezzo di pene severe. Il terrore, come la guerra, risveglia i sentimenti atavici belluini ancora mai coperti da una vernice di civiltà, e porta ai primi posti gli elementi peggiori che sono nella popolazione. E piuttosto che servire e  difendere la rivoluzione serve a discreditarla, a renderla odiosa alle masse e , dopo un periodo di lotte feroci, mette capo necessariamente a quello che oggi chiamerebbero “normalizzazione” cioè alla legalizzazione e perpetuazione della tirannia. Vinca una parte o l’altra, si arriva sempre alla costituzione di un governo forte […..] Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere”( in  Pensiero e volontà  ottobre 1924)                Bibliografia: Vernon Richards, Malatesta, Vita e Idee, Edizione  “Collana Porro”,  1968, pp. 197-198 
                                                                              
ERRICO MALATESTA e ANTONIO BONARIA

Nel 1922, un mese prima della marcia fascista su Roma e quindi all’apice delle violenze fasciste, sempre più tollerate e, spesso,  appoggiate dalle forze dell’ordine  Errico Malatesta intraprese un  rischioso viaggio clandestino in Svizzera per partecipare alla commemorazione del cinquantesimo anniversario della fondazione  del movimento anarchico internazionale a Saint Ymier. Dopo una iniziale esitazione a intraprendere il viaggio gli accordi con i compagni svizzeri si presero durante l’estate (cfr. brano)
Brano da commentare: “  Carissimo Luigi, Veramente prendere un impegno per la metà di settembre mi pare prematuro.  La situazione in Italia è tale che non si può mai dire quello che accadrà una settimana dopo. In ogni modo cercherò di venire: anzi ti prego di darmi fin da ora dei consigli sul punto dove meglio conviene passare la frontiera. Suppongo che questa bisognerà passarla di contrabbando, poiché non potrei avere un passaporto regolare. […] Ritornando alla questione del passaggio della frontiera , non credi che  il meglio sarebbe  Como-Mendrisio? … ( Lettera di Enrico Malatesta a Luigi Bertoni, Roma, 12 giugno 1922)
Bibliografia: Errico Malatesta, Pagine di lotta quotidiana. Scritti “°volume Umanità Nova e scritti vari, volume 2,  edito a cura del Movimento Anarchico Italiano 1975 p. 247 Su altre motivazioni della sua iniziale esitazione ad andare in Svizzera cfr. p. 246 . Cfr. anche  Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta, Ricordi (1853-1932) a cura di Piero Brunello e Pietro di Paola, Edizioni Spartaco 2003 pp. 219- 220

Giunto il giorno di partire Malatesta ebbe come suo accompagnatore il compagno, anarchico, naturalizzato svizzero, GIUSEPPE BONARIA  ( 1891-1930) genero di  ANTONIO GAGLIARDI (1866-1927), amico di vecchia data di Errico Malatesta. Secondo un' altra versione  l' accompagnatore era CARLO VANZA (cfr. post ANARCHICI/E SVIZZERI)   Sullo svolgimento del viaggio  , attraverso le montagne del  Gambarogno, esiste una testimonianza di  ANTONINO NAPOLITANO ( 1893-1958)
Brano da commentare:  "In occasione del primo cinquantesimo del Congresso di Saint-Imier [Giuseppe Bonaria] s'impegnò di andare a prelevare Errico Malatesta in Italia e di portarlo, attraverso la montagna, in Isvizzera, da dove Errico era stato due volte espulso. E Peppino Bonaria mantenne l'impegno. Lungo la marcia alpina una pattuglia di guardie moveva loro incontro; la "guida" non si perdette di coraggio, anzi affrettò il passo per raggiungerla e mostrare ad essa un cofanetto di funghi velenosi per domandare se la qualità fosse raccomandabile, ed avutone parere contrario, buttò la provvista ringraziando gli esperti, e chiamato a sè Malatesta, che un po' distante si era piegato sulle ginocchia, proseguirono la marcia. Poche ore dopo i viaggiatori erano a Bellinzona, l'indomani proseguivano per Saint-Imier..."

Bibliografia: BONARIA Giuseppe (Peppino) in Cantiere Biografico degli anarchici in Svizzera http://www.anarca-bolo.ch/cbach/biografie.php?id=32&PHPSESSID=683526ea5fa08e8f0d1486ab6aeb3190
       
MALATESTA IN TRENO

Al ritorno da Saint Ymier , passata ormai la frontiera svizzera,   Malatesta si imbatté  sul treno con una squadraccia fascista, che grazie a una piena padronanza  di sé e delle proprie emozioni, non lo riconobbe, seppure a distanza molto ravvicinata. (cfr. brano)
Brano da commentare: “ Sono giunto a Roma sano e salvo. Nel treno da Genova a Spezia mi sono trovato in mezzo a una banda di fascisti, ma non mi hanno riconosciuto e non mi hanno molestato, quantunque mi sia rifiutato a contribuire a una sottoscrizione che facevano girare tra i viaggiatori a favore dei “fascisti toscani” (Lettera di Enrico Malatesta a Luigi Bertoni, Roma,  23 settembre 1922) 

Bibliografia: Errico Malatesta, Pagine di lotta quotidiana. Scritti “°volume 2.Umanità Nova e scritti vari, edito a cura del Movimento Anarchico Italiano 1975 p. 247 Su altre motivazioni della sua iniziale esitazione ad andare in Svizzera cfr. p. 246 . Cfr. anche  Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta, Ricordi (1853-1932) a cura di Piero Brunello e Pietro di Paola, Edizioni Spartaco 2003 p. 220


In questo viaggio  clandestino assai rischioso, di andata e ritorno Errico Malatesta riuscì, ancora una volta a beffarsi , come era già successo molte volte in passato, dei suoi nemici, vecchi e nuovi,  sempre accanitamente sulle sue tracce , in questo caso della polizia sia italiana che svizzera e dei fascisti. 
                                                                                     

                                                                               
ELENA MELLI GEMMA RAMACCIOTTI ERRICO MALATESTA


Dopo la conquista fascista del potere, Malatesta decise di  non  lasciare  di lasciare l’Italia , soprattutto, per timore che il regime fascista si rivalesse contro la sua fuga accanendosi sulla sua compagna , Elena Melli, e la figliola di lei, Gemma. (cfr. brano)
Brano da commentare: “  Io ho una compagna e una bambina  .  Se io andassi  via, esse resterebbero  esposte alle rapressaglie della polizia, tanto più che la mia compagna è anche una compagna d’idee ed è stata per suo conto già più volte carcerata e processata. Se si trattasse di andare via per fare qualche cosa, allora non avrei difficoltà di andare nel posto dove potrei essere più utile e son sicuro che la mia stessa compagna sarebbe la prima a spingermi a farlo. Ma siccome veggo quello che fanno i compagni emigrati, cioè null’altro che bisticciarsi tra loro, e la mia persona in fondo non  servirebbe che per mettere al sicuro la mia persona. Io non me la sento per il comodo mio di mettere  in pericolo le persone che mi sono legate. Se riuscissi prima a mettere al sicuro le donne che mi sono legate, allora penserei a me “ ( lettera di Malatesta  a Peppino Vella, febbraio 1927)  
Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola, dizioni Spartaco, 2003  p. 239
Il peggio , però, per Malatesta e la sua compagna doveva ancora venire. Con il passare degli anni, la sttrettissima sorveglianza e  continui sorpusi aumentarono sempre di più rendendo le condizioni di vita di Malatesta e di chi lo amava e stimava sempre più insopportabili.  (cfr. brani da commentare) 
Brani da commentare:   1) “ Abbiamo alla porta di casa tre guardie , che stanno là notte e giorno : due seguono me dovunque io vada, ed una segue Elena. Da qualche tempo  hanno incominciato a fare metodicamente quello che prima facevano solo occasionalmente domandando generalità e documenti a chiunque viene  a bussare alla  nostra porta, e, se non restano persuasi, lo menano in questura. Sicché noi non possiamo visitare gli amici per non comprometterli e dobbiamo d’altra parte far sapere alla gente di non venire da noi per non essere segnalati e compromessi. Isolamento, dunque, quasi completo. Figurati che hanno dato un mondo di noie anche alla nostra lavandaia.! …” (  lettera di Errico Malatesta a Virgilia D’ Andrea – settembre 1927); “) “ Io sto sempre nelle stesse condizioni, anzi un po’ peggio. Adesso abbiamo alla porta sei poliziotti; quattro per me, uno per Elena,  (la mia compagna) ed uno per Gemma. Di più vi è un’automobile sulla quale montano due dei miei poliziotti  , mentre gli altri due mi seguono a piedi o in tram. Giorni or sono ebbi l’idea di andare a sentire all’università la lezione di un professore che conosco perché fu maestro della mia figliola. Bastò questo perché quel povero professore, che non è fascista, ma è lungi dall’essere un sovversivo, fosse sospeso e messo sotto inchiesta. Lo hanno accusato di avermi invitato…..” (lettera di Malatesta ad Osvaldo Meraviglia- dicembre 1927); 3) Io sto bene in salute e sempre sorvegliato come una bestia pericolosa. La mia compagna è stata circa due mesi in carcere; l’arrestarono dopo l’attentato a Milano, forse per qualche lettera innocente a un amico o amica milanese; la tennero dentro senza nemmeno farla interrogare da un giudice e poi a loro comodo la rilasciarono senz’alcuna spiegazione.  Anche la mia figliola ha passato i suoi guai . Si ebbe due sediate sulla testa, senza nessuna ragione, da quello stesso poliziotto che la sorvegliava. Avrebbe potuto restare uccisa sul colpo ma per fortuna non ebbe che una ferita guaribile in  dieci giorni e le è restato, come per ricordo, una piccola cicatrice alla tempia sinistra. Il poliziotto fu poi arrestato dai suoi compagni: lo hanno espulso dal corpo e mandato al manicomio, perché dicono che è ammattito. Può darsi. Noi ci rifiutammo a dar querela." ( lettera di Errico Malatesta  a Osvaldo Meraviglia – agosto 1928)
Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola, Edizioni Spartaco, 2003  (primo brano) p. 241, (secondo brano) p. 242, (terzo brano) p. 243
                                                                          


 Malatesta infine, morì a Roma nel 1932 a settantanove anni. E la sorveglianza poliziesca sulla sua persona, considerata una minaccia permanente per ogni tipo di dittatura, non venne meno,  anche se morta, per tutta la durata del fascismo , (cfr.brano)
Brano da commentare: “ Gli ultimi di agosto venne fatta   la traslazione del nostro  caro Enrico dal loculo provvisorio alla tomba acquistata per lui. Essa si trova nel riquadro B  nella tomba n. 20. [ …* Due o tre poliziotti e (secondo le giornate) anche quattro  montano la guardia vicino alla tomba e prendono le generalità a tutti coloro che osano fermarcisi vicini.  “ (lettera di Elena Melli alla sorella Amalia)
Bibliografia: Errico Malatesta, Autobiografia mai scritta . Ricordi  (1853-1932)  a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola, Edizioni Spartaco, 2003 , p. 266

1) Nota: Altre figurine di Malatesta si trovano nei post CARLO CAFIERO ,  AUGUSTO MASETTI E LA SETTIMANA ROSSA  e GLI ARDITI DEL POPOLO
2) Nota: Oltre ai libri citati in questo posto, cfr.  Vittorio Giacopini, " non ho bisogno di stare tranquillo" Errico Malatesta, vita straordinaria del rivoluzionario più temuto da tutti i governi e le questure del regno " , eléuthera, 2012.Importanti, soprattutto per la formazione, conscia ed inconscia, del mio immaginario su Malatesta, sono stati anche i disegni di Franco Santin e i testi di Elis Fraccaro in La rivoluzione volontaria . Biografia per immagini di Errico Malatesta , Edizioni Antistato, 1980.
                                       
                                                                   


 

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