Pseudonimo di Kaspar Schmidt. Secondo i suoi biografi la sua vita fu assai infelice : padre morto quando lui era ancora ragazzo, madre pazza e prima moglie morta dopo pochi mesi dal matrimonio. Inoltre dopo la pubblicazione dell’Unico, fu cacciato dalla scuola privata femminile dove insegnava, fu abbandonato dalla seconda moglie, finì due volte in prigione per debiti e morì a 49 anni in solitudine . Per ridimensionare un po’ questo quadro deprimente della vita di Stirner, bisogna però tenere conto , anche della esuberante vitalità che emerge dai suoi scritti e che si è espressa pienamente negli anni di poco antecedenti il 1848, in cui frequentava il “Circolo dei liberi” di Berlino.
Brani da commentare: 1) “…. Ma osservate un po’ quel sultano che
si cura con tanto affetto dai “suoi”. Non è forse il puro disinteresse in
persona? Non si sacrifica forse di continuo per i “ suoi”! Prova un po’ a mostrarti non suo, ma tuo: per questo
verrai gettato in carcere, tu che ti sei sottratto al suo egoismo. Il sultano
ha fondato la sua causa per null’altro che se stesso: per sé egli è tutto in tutto, per sé è
l’unico e non tollera che qualcuno osi non essere uno dei “suoi” [Dio
e l’umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null’altro che se stessi.
Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso,
io, che al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io
che sono l’unico. […] Io non sono nulla nel senso della “ vuotezza”, bensì il
nulla creatore, il nulla del quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto.
[…] Il divino è la causa di Dio, l’umano la causa “ dell’uomo” : La mia causa
non è né il divino né l’umano, non è ciò
che è vero, buono, giusto, libero, ecc. bensì solo ciò che è mio, e non è una causa generale,ma unica, così come io stesso sono unico. Non c’ è
nulla che mi importi più di me stesso. ![…]
Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio
o l’uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità, e impallidisce appena risplende
il sole di questa mia consapevolezza. Se
io fondo la mia causa su di me, l’unico, essa poggia sull’effimero, mortale
creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire : Io ho fondato la mia
causa sul nulla. ( verso iniziale della poesia di Goethe “ Vanitas, vanitatum, vanitas (1806)”….”; ( Max Stirner , L’unico e la sua proprietà ); 2) ”
Dio in quanto “ essere supremo” pretende il nostro timore e la nostra
venerazione, che ci vengono appunto imposti da tutti e due. Il timore di Dio in
senso proprio, è stato ormai scosso da lungo tempo e un “ateismo” più o meno
consapevole, riconoscibile esteriormente da un certo “anticlericalismo”, ormai
ampiamente diffuso , è diventato, senza parere, atteggiamento comune. Ma tutto ciò che fu tolto a Dio venne attribuito
all’uomo e la potenza dello spirito umanitario si è accresciuta esattamente in
proporzione al diminuire d’importanza della devozione religiosa: l”uomo” è il
Dio di oggi e il timore dell’uomo è subentrato al vecchio timore di Dio. Ma
siccome l’uomo rappresenta semplicemente un altro essere supremo, di fatto
l’essere supremo ha soltanto subito una metamorfosi e il timore dell’uomo non è
che il timore di Dio sotto mutata specie. I nostri atei sono gente pia.” ( Max Stirner, L’unico e la sua proprietà ) ; 3) “ Gli Stati durano solo fino a cheesiste una volontà dominatrice che viene considerata identica alla
propria volontà. La volontà del dominatore è legge. […] Lo Stato non è
pensabile senza il dominio e la schiavitù (sudditanza); infatti lo Stato deve
dominare tutti coloro che ne fanno parte: questa si chiama appun to
“volontà delle Stato” . […] La mia volontà propria è la rovina dello Stato:
perciò viene stigmatizzata da questo come “arbitrio personale”. La volontà
personale e lo Stato sono nemici mortali fra i quali non è possibile che ci sia mai
“pace eterna” . […] Ogni Stato è dispotico, sia il despota
uno solo oppure siano molti o addirittura tutti, come si presume avvenga in una
repubblica, dove ciascuno tiranneggia
l’altro. […] Anche se ci si immaginasse
che ciascuno, nel popolo, avesse espresso la medesima volontà e si fosse
realizzata, quindi una perfetta “volontà
generale “, la cosa tuttavia non cambierebbe. Non sarei forse legato oggi oggi e
domani alla mia volontà di ieri. La mia volontà verrebbe in tal caso
irrigidita. Maledetta stabilità ! La mia creatura, cioè una determinata
espressione della mia volontà sarebbe diventata il mio dominatore. […] Siccome ieri sono stato pazzo dovrei
restarlo per tutta la vita. […] Così , nella vita statale, io sono nel
migliore dei casi e
potrei dire altrettanto bene: nel peggiore dei casi – schiavo di me stesso.
Siccome ieri ho voluto, oggi sono privo di volontà: ieri libero, oggi
costretto. Come cambiare questo stato di cose? Solo non riconoscendo più alcun
dovere, cioè né legandomi né lasciandomi legare .…. “(da Max Stirner, L’unico e la sua proprietà) ; 4) "Rivolta e Rivoluzione non devono
essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di
cose esistente, dello statuto dello Stato o della società; essa è dunque un
atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una
trasformazione dell'ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo
punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di se
stessi. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una
ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà
produrre. La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La Rivolta
ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La
rivolta non attende le meraviglie delle "istituzioni" future. Essa è
una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da
solo. Essa non fa che liberare il mio Me dallo stato di cose esistente,
il quale, dal momento in cui io me ne congedo, viene meno e cade in
putrefazione ...." ( da Max Stirner L’’
Unico
e la sua proprietà .)
Bibliografia: Max Stirner , L’unico e la sua proprietà, con un saggio di Roberto Calasso, Adelphi 2006, (primo brano) pp. 12-13) ,
(secondo brano) p. 194-195, (terzo brano) p. 206Il quarto brano l'ho preso
in Daniel Guérin, Né dio né padrone .
Antologia del pensiero anarchico, vol. I Jaka
Book , 1970, pp. 42-43. Si può comunque controllare questa traduzione con Max Stirner, L'unico e la sua proprietà , Adelphi 2006 pp. 330-331
Molto meno noti de L'Unico e la sua proprietà sono i suoi cosiddetti Scritti minori e in particolare Il falso principio della nostra educazione, scritto nel 1842 e L'autocritica, in cui Stirner parlando in terza persona rispose, tra il 1845 e il 1847, alle critiche di alcuni hegeliani di sinistra ( tra cui Moses Hess, Ludwuig Feuerbach ed altri) . Da questi due testi traggo due brani : il primo sull'impostazione autoritaria della pedagogia del suo tempo e il secondo sulla differenza tra il concetto di "associazione egoistica" di Moses Hess con quello apparentemente sinonimo di "associazione d'egoisti" di Max stirner. (cfr. brani)
Brani da commentare: 1) " ..." Tutti i tipi di vanità e di sete di guadagno, d'arrivismo e di zelo servile e di doppiezza, ectc. si accompagnano molto bene sia con un'ampia cultura, sia con un' elegante formazione classica e tutto questo fardello scolastico che non esercita nessun'influenza sul nostro comportamento morale; noi lo dimentichiamo spesso; tanto più facilmente in quanto non ci serve a nulla. Ci si scrolla via la polvere della scuola non appena la si lascia perché? Perché l'educazione consiste unicamente nella forma o nel contenjuto, al massimo in una mescolanza di entrambi, ma nient'affatto nella verità, nella formazione dell'uomo vero. [...] Come certi altri campi, il campo pedagogico fa parte di quegli ambiti in cui ci sforza di non lasciar passare la libertà, di non tollerare il dissenso: quello che si vuole ottenere è la sottomissione. Non si mira ad altro che a un addestramento puramente formale e materiale. Dalle formazioni degli umanisti non escono che dei sapienti, da quelle dei materialisti che dei "cittadini utili" [...] In tal modo la vita scolastica forma essa stessa dei filistei. Nella stessa misura in cui da bambini ci veniva insegnato ad accettare tutto quello che ci veniva imposto, noi più tardi ci siamo accomodati in una vita positiva; noi ci pieghiamo, a nostra volta, noi ne diventiamo i servi, e i pretesi "buoni cittadini" [...] Il punto di partenza della pedagogia non deve essere quello della civilizzazione, ma la formazione di personalità libere, di caratteri indipendenti; in tal modo la volontà fino ad ora brutalmente oppressa, non deve essere più indebolita. [...] Che la cultura universale della scuola miri all'insegnamento della libertà, non della sottomissione: essere liberi, ecco la vera vita . ..." ( da Max Stirner, I falsi principi della nostra educazione) ; 2) "Hess sostiene che “ Tutta la nostra storia
non è stata niente altro fino ad oggi che la storia di associazioni egoiste, i
cui frutti, la schiavitù dell’Antichità, la servitù romana e quella moderna,
principale e universale , sono ben noti a noi tutti” . Innanzitutto Hess
adopera qui (…) l’espressione “associazione egoista” al posto di quella di Stirner “
associazione di “ Egoisti”. I suoi lettori senz’altro non tarderanno a trovare
esatto e indubitabile che le associazioni di cui egli parla erano proprio delle
“associazioni egoiste”. Ma un’associazione, la cui maggioranza si lascia
beffare nei suoi interessi più naturali e più evidenti , è forse
un’associazione di Egoisti ? Sono forse
realmente degli “Egoisti” coloro che sono associati in un organismo in cui uno
è schiavo o servo di un altro ? Esistono senza dubbio degli egoisti in una tale
società e pertanto essa potrebbe per un certo aspetto essere qualificata come
“associazione egoista”, ma in fede mia! , gli schiavi non hanno ricercato
questa società per egoismo, ma essi sono nel loro cuore egoista (questo sì)
contro queste belle “ associazioni”, come le chiama Hess. [...] e arriva, con intollerabile candore, a
identificare queste che secondo lui sono “associazioni egoistiche” con l’
“associazione di Egoisti” di Stirner. […] Se Hess osservasse attentamente la vita reale, alla quale si
direbbe che tiene tanto, avrebbe davanti agli occhi centinaia di associazioni
egoiste di questo genere, tanto effimere quanto durevoli. Può darsi che in
questo stesso momento dei bambini si radunino davanti alla sua finestra, e
divengano compagni di giochi; che egli osservi dunque, e si accorgerà dell’esistenza di gioiose
associazioni egoiste. Può darsi che Hess abbia un amico, un’innamorata; in
questo caso può rendersi conto di come il cuore trovi la via del cuore, di come
due esseri possono unirsi egoisticamente per gioire l’uno dell’ altro, senza
che nessuno dei due sia il
“perdente”. ... (Max Stirner, Anticritica )
Bibliografia Daniel Guérin, Né dio né padrone .
Antologia del pensiero anarchico, vol. I Jaka
Book , 1970, Primo brano a pp. 28, 29, 30 e secondo brano a pp. 48-49
Sul gruppo dei “liberi” Engels ci ha lasciato un famoso disegno caricaturale in cui Stirner è ritratto appoggiato al tavolo mentre fuma. (fig.1) .Inoltre sempre di Engels sono i seguenti versi: “ Vedete l’accorto Stirner colui che rifiuta ogni freno; beve per ora birra, ma presto berrà sangue come se fosse acqua. Quando gli altri gridano A BAS LES ROIS ! Stirner aggiunge : A BAS AUSSI LES LOIS !”
In questa mia scenetta (fig. 2), accanto a Stirner, ho messo Ruge, Bauer, Feuerbach, il giovane Marx e lo stesso Engels che disegna.
Il risorgere del pensiero di Stirner tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, dopo un prolungato periodo di oblio delle sue opere, lo si deve soprattutto alla sua biografia scritta da JOHN HENRY MACKAY ( 1864-1933). (cfr. post : INDIVIDUALISMO ANARCHICO (1)
ANSELME BELLEGUARIGUE
(1813 - ?) . Nel 1848 , dopo numerosi viaggi negli
Stati Uniti, nelle Antille, Belleguarigue tornò in Francia, dove era nato e
partecipò alla rivoluzione del febbraio. Già in questo periodo manifestò
idee anarchiche espresse in opuscoli e in articoli contro
tutte le forme di governo. Nel 1850 , dopo un tentativo, immediatamente
represso dalla polizia, di dare a vita a una comunità libertaria e naturista,
fondò e diresse il mensile “ L’anarchie, journal de
l’ordre “, di cui uscirono due
numeri prima di lasciare la Francia per stabilirsi per un breve periodo a Nex York. Tornato in
Francia dove partecipò , tra l’altro, alla redazione dell’ “Almanach de
la Vile Multitude “ nel 1859 partì con la
sua giovane moglie , Catherine Bailly, per il Salvador,
dove in una data imprecisata morì .
Brano da commentare: “ .. L’ anarchia è
una vecchia parola, ma questa parola esprime per noi un’ idea moderna, o
piuttosto un interesse moderno, perché l’idea è figlia dell’interesse. La
storia ha chiamato “anarchico” lo stato di un popolo in
seno al quale si trovano più governi in competizione; ma una cosa è lo stato di
un popolo che, volendo essere governato, manca di governo precisamente perché
ne ha troppo, e un’altra lo stato di un popolo, che volendo governarsi da sé,
manca di governo precisamente perché non ne vuole più . L’anarchia antica è
stata effettivamente la guerra civile e, questo, non perché essa esprimeva
l’assenza, ma invece la
pluralità di governi, la competizione, la lotta di classe governatrici. Il
concetto moderno di verità sociale assoluta o di democrazia
pura ha aperto tutta una serie di conoscenze o di interessi che rovesciano
radicalmente i termini dell’equazione tradizionale. Così l’anarchia, che messa a
confronto con il termine monarchia,
significa guerra civile, non è niente meno, dal punto di vista della verità
assoluta o democratica , che
l’espressione vera dell’ordine sociale.
In effetti: Chi dice anarchia, dice negazione del governo; Chi dice
negazione del governo, dice affermazione del popolo; Chi dice affermazione del popolo, dice libertà individuale; Chi
dice libertà individuale, dice sovranità di ciascuno;
Chi dice sovranità di ciascuno dice
uguaglianza; Chi dice uguaglianza dice solidarietà o fratellanza; Chi dice
fratellanza , dice ordine sociale. Al contrario : Chi dice governo, dice
negazione del popolo; Chi dice negazione del popolo, dice affermazione
dell’autorità politica; chi dice affermazione dell’autorità politica, dice
dipendenza individuale; Chi dice dipendenza individuale, dice supremazia di
classe; Chi dice supremazia di classe, dice ineguaglianza; Chi dice
ineguaglianza, dice antagonismo; Chi
dice antagonismo, dice guerra civile; Dunque , chi dice governo, dice guerra civile….” ( Anselme Belleguarigue, Manifesto )
Bibliografia: Anselme Belleguarigue, Manifesto, Altamurgia editore 1975 pp. 14-15
JOSEPH
DEJACQUES ( 1821-1864), contemporaneo di Proudhon. Operaio, tappeziere, marinaio, poeta, pittore, scrittore, giornalista
. Dejacques fu arrestato e
condannato più volte per le sue idee politiche e per la sua
partecipazione ai ai combattimenti, al
fianco degli operai , durante moti del 1848 in Francia . Nel 1851,
sotto l’impero di Napoleone III il suo libro di poesie “ Les Lazaréennes” fu sequestrato e
Dejacques fu condannato a due
anni di prigione e a pagare una multa di 2000 franchi. Per evitare la condanna
e soprattutto la multa fuggì prima a Bruxelles e a Londra e, infine,
emigrò, nel 1854, negli Stati Uniti , dove contestò duramente il sistema schiavista
e la corruzione nelle alte sfere della politica americana attraverso il
periodico, da lui fondato e diretto “ Le Libertaire .
Journal du mouvement
sociale" (1858-1861)
su cui pubblicò, tra l’altro, la sua opera fondamentale L’Humanisfere,
utopie anarchique , scritta tra il 1857 ne il 1858. In questa sua utopia anarchica, proiettata in un fantascientifico futuro, il 2858, e immaginata come “ un giardino”, “
un falansterio “ , chiamata “ Umanisfera", a causa dell’analogia di questa costellazione umana
con il raggruppamento e il movimento degli astri, organizzazione attrattiva,
anarchia passionale e armonica” Dejacque contrappose uno stile globale di vita , (pedagogico, economico, sessuale , ecc.) fondato sulla libertà a quello della società “civilizzata” del suo tempo ,
fondata sull’autorità. In questo contesto mi limito per ora a citare alcuni brani
sull’istruzione dell’infanzia (cfr.primo brano) e sulla relazione , in un utopico futuro, tra uomini e donne. ( cfr. 2 brano)
Brani da commentare: 1)“
Ancora ai nostri giorni , molta gente – anche fra quella partigiana di grandi
riforme – è incline a pensare che niente può essere ottenuto senza l’autorità,
mentre solo il contrario è vero. E’ l’autorità che ostacola tutto. Il progresso
delle idee non si impone con decreti, risulta dall’insegnamento libero e
spontaneo degli uomini e delle cose . L’istruzione obbligatoria è un controsenso. Chi dice educazione
dice libertà. Chi dice obbligo dice servitù. I politici o i gesuiti possono
volere imporre l’istruzione, è affare
loro, perché l’istruzione autoritaria è l’instupidimento obbligatorio. Ma i socialisti non possono
volere che lo studio e l’insegnamento anarchici , la libertà di istruzione, al
fine di avere l’istruzione della libertà. L’ignoranza è quanto vi è di più
antipatico nella natura umana. L’uomo ,
in tutti i momenti della vita , e
soprattutto il bambino, non domanda di meglio che apprendere; vi è sollecitato
da tutte le sue aspirazioni. Ma la società civile, come la società barbara,
lungi dal facilitare lo sviluppo delle attitudini, non sa ingegnarsi che al
reprimerle. Bambino, la manifestazione
delle sue facoltà gli è imputata come crimine dall’autorità paterna; uomo, dall’autorità
governativa. Privati dalle cure illuminanti, del bacio
vivificante della Libertà (che ne avrebbe fatto una razza di belle e forti intelligenze) , i
bambini, come gli uomini, marciscono nella loro ignoranza originaria, si
abbandonano nello sterco dei pregiudizi, e, nani (? mio) per le braccia, il cuore e
il cervello, producono e perpetuano, di generazione in generazione, questa
uniformità di cretini deformati che di essere umano non hanno che il nome. […]
Guardate anche lo stesso bambino dei civilizzati, il piccolo del commerciante o
del droghiere; guardatelo fuori casa, alla passeggiata, accorgersi di una cosa
di cui non conosceva l’esistenza o di cui non comprende il meccanismo, un
mulino, un aratro, un aerostato, una locomotiva : subito interroga
l’accompagnatore, vuole conoscere il nome e l’impiego di tutti gli oggetti. Ma
ohimè! Molto spesso, nella civiltà, il conduttore, ignorante di tutte le
scienze o preoccupato da interessi mercantili, non può o non vuole, dargli le
spiegazioni che sollecita. Se il bambino insiste, lo rimprovera, lo minaccia di
non farlo più uscire. Gli si chiude così la bocca, si arresta violentemente la
crescita dell’intelligenza, la si imbavaglia. E quando il bambino è stato
docile lungo tutto il cammino, si è tenuto mogio sulle sue e non ha annoiato
papà e mamma con domande importune; quando si è lasciato condurre in modo
moscio e idiota per mano, come un cane al guinzaglio, allora gli si dice che è
stato giudizioso, gentile, e, per ricompensarlo, gli si compra un soldatino di
piombo o un pupazzo di pan pepato. Nelle società borghesi, questo si chiama
formare lo spirito dei bambini. Oh! L’autorità! La piccola famiglia!... E
nessuno nei confronti di questo padre o di questa madre, può gridare:
All’assassinio! Allo stupro! All’infanticidio. Sotto l’ala della libertà, in
seno alla grande famiglia, al contrario, il bambino, trovando presso i fratelli
maggiori, uomini e donne, educatori disposti ad ascoltarlo e a risponderli,
apprende in fretta a conoscere il perché e il come delle cose. La nozione di
giusto e di utile prende così radice nel suo giovane intelletto e lo prepara ad
equi e intelligenti giudizi per l’avvenire. Presso i civilizzati , l’uomo è uno
schiavo, un grande bambino, una pertica che manca di linfa, un palo senza
radici e senza fogliame, un’intelligenza abortita. Presso gli Umanisferiani, il bambino è un piccolo uomo libero,
un’intelligenza che germoglia e la cui giovane linfa è piena di esuberanza” …(
Joseph Dejacque, L’ Umanisfera) ; 2) “ …
Gli artifici religiosi, gli edifici della superstizione corrispondono, sia
presso i civilizzati che presso i barbari o i selvaggi, ad un bisogno
di ideale che queste popolazioni cercano, non trovandolo nel mondo reale,
in un mondo dell’impossibile. La donna, soprattutto, questa metà del genere
umano, più esclusa dell’altra dai diritti sociali e relegata come Cenerentola,
nel cantuccio del focolare della casa, abbandonata alle meditazioni
catechistiche, alle allucinazioni malate, la donna si lascia andare, con lo
slancio del cuore e dell’immaginazione, al fascino degli sfarzi religiosi e
delle messe spettacolari, alla poesia mistica di quel romanzo misterioso , di
cui il bel Gesù è l’eroe, e di cui l’amore divino è la trama. […] Il
corpo incatenato al fornello da cucina, al bancone del negozio, al pianoforte
da salotto, essa erra col pensiero, senza zavorra e senza vela, senza
timone e senza bussola – verso l’idealizzazione dell’essere umano, nelle sfere
cosparse di scogli e costellate di superstizioni dal fluido azzurro, nelle
esotiche fantasticherie della vita paradisiaca. Reagisce col misticismo,
insorge con la superstizione contro quel gradino d’inferiorità sul quale l’uomo
l’ha posta, fa appello, dal suo basso posto terrestre, all’ascensione celeste,
dalla bestialità dell’uomo alla spiritualità di Dio. Nell’ Umanisfera nulla di simile può avere luogo- L’uomo non è niente più della
donna e la donna niente più dell’uomo. Tutti e due sono egualmente
liberi. Le urne dell’istruzione volontaria hanno riversato sulla loro
fronte flutti di scienza. L’urto delle intelligenze ne ha livellato il corso.
La piena dei fluttuosi bisogni ne eleva il livello tutti i
giorni. L’uomo e la donna navigano in questo oceano del progresso avvinti l’uno
all’altra. Le sorgenti vive del cuore spandono nella società la loro
liquorosa e brucciante passione e fanno, sia all’uomo che alla
donna, un bagno piacevole e profumato con i loro mutui ardori. L’amore non è
più misticismo o bestialità, l’amore ha tutte le voluttà delle sensazioni
fisiche e morali, lì’ amore è umanità, umanità depurata, vivificata, rigenerata, umanità
fatta uomo. Essendo l’ideale sulla terra, terra presente o futura, chi volete che vada a
cercarlo altrove? Perché la divinità si aggiri sotto le nubi
dell’immaginazione, bisogna che vi siano nubi, e nel cranio umanisferiano non vi sono che raggi. Dove regna la
luce, non esistono tenebre; dove regna l’intelligenza , non esistono
superstizioni. Oggi, che l’esistenza è una mortificazione perpetua, una
clausura delle passioni, la felicità è un sogno. Nel mondo futuro, essendo la
vita l’espansione di tutte le fibre passionali, la vita sarà un sogno di
felicità. Nel mondo civilizzato, tutto è masturbazione o sodomia della carne,
masturbazione o sodomia dello spirito. Lo spirito è una fogna per pensieri
abietti, la carne è un canale di scolo per piaceri immondi. In questi tempi,
l’uomo e la donna non fanno l’amore, esplicano i loro bisogni … In quei tempi,
l’amore non sarà per bisogno! E soltanto col fuoco della passione nel cuore,
con l’ardore del sentimento nel cervello si uniranno in un mutuo bacio. Tutte
le voluttà non agiranno che nell’ordine naturale, sia quelle della carne che
quelle dello spirito. La libertà avrà tutto purificato. …. ( Joseph Dejacques, L’Umanisfera.. )
Bibliografia:
Joseph Dejacques, L’Umanisfera.
Utopia anarchica
Edizioni Immanenza, 2014 , (primo brano) pp. 95-96 e 97-98 e (secondo brano) pp. 113-114
Profondamente amareggiato dallo scoppio della guerra civile in
America tra il Nord e il Sud Joseph Dejacques tornò , nel 1861 ,in Francia e sembra che sia
morto in miseria a Parigi nel 1864.
ERNEST COEURDEROY ( 1825-1862) medico. Partecipò attivamente agli eventi
rivoluzionari del 1848. Dopo la repressione della rivolta operaia del giugno e la svolta
sempre più conservatrice della
Francia ( per esempio la repressione della
Repubblica Romana) Coeurderoy assunse posizioni politiche
sempre più radicali sino a quando, all’inizio del 1849 dovette, per evitare l’arresto e la
deportazione, emigrare
all’estero. Da allora, egli fu continuamente espulso da una nazione
all’altra ( Svizzera Svizzera, Belgio, Inghilterra, Spagna, Italia ). Per coerenza con le sue idee non abbandonò mai la sua condizione di esule e perseguitato
politico, , neanche
quando più tardi , nel 1859, avrebbe potuto tornare,
grazie a un’amnistia, in Francia. Di questa condizione di “vagabondo”, che fece di lui un “cittadino del
mondo” rendendolo così uguale ai tanti “senza
patria”, (tra cui gli ebrei, i gitani, sparsi per ogni dove., egli, pur
portandone il grave peso, era ben fiero.
(cfr. brano)
Brano da
commentare: “ ..” Chi sono?... Inglese, Spagnolo, Belga, Svizzero, Americano? …
Tutto ciò è buono per i passaporti; non esiste naturalizzazione di contrabbando
che non mi sento liberamente concessa . […] Oggi sono cittadino del mondo, e
penso che questo titolo è più grande di
quello che può conferire la più orgogliosa nazione; per altro sono stato io a
sceglierlo e non mi è stato dato a caso dalla nascita. Sono esiliato, cioè
libero; oggi ciò può essere solo fuori della società, della nazione e della famiglia, curve sotto
vergognose servitù Che m’importa degli eserciti, delle bandiere, dei governi e
della polizia! Passo le frontiere come il contrabbandiere. Non ho case o
terreni per i quali devo pagare l’imposta.
Lontano da me i re salgono gravemente sui troni e scendono come
vergognosi mascalzoni.; e dentro di me rido di questa fantasmagoria. Fuggo le
chiese come le porte dell’inferno. I codici non sono fatti per me; sono
fuorilegge , e preferisco ciò all’essere protetto dalla legge . Sono vagabondo, e il primo: me ne faccio una gloria.
Né re né suddito: il forte è più forte da solo. In tutti i paesi vi sono
persone prese a pedate, scacciate, uccise, bruciate, senza che la voce della
pietà s’elevi in loro favore: sono gli Ebrei. Sono ebreo. Corrono le campagne dell’ Andalusia
uomini agili più dei cavalli,
abbronzati come i bastardi di Cham, magri,
selvaggi, nomadi, dei veri lupi. All’apparenza
pascolano i cavalli, ma nessuno conosce veramente il loro mestiere e
l’opinione comune li accusa di stregoneria. Fortunati mortali ! Li si giudica
indegni di essere sottomessi alle leggi degli spagnoli. Vivono e si sposano a
loro modo. Nel mezzo della civiltà passano piantando le tende nelle radure
delle foreste. Le porte delle case sono chiuse per loro, nei paesetti come
nelle città. Una generale riprovazione
pesa sulla loro razza: non si conosce da dove vengano. Li si chiama Gitani. –
Sono Gitano . ….” ( Ernest Coeurderoy Les jours de l’exile)
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, I giorni dell’Esilio, traduzione e introduzione di Alfredo M. Bonanno, vol. I
Edizioni anarchismo, 1981 pp. 21-22
Brano da
commentare: “ M. Coeurderoy sa come noi che il ‘principale
problema che divide e turba l’ occidente, è una questione scientifica, un
problema da risovere, quello del lavoro, ed egli
invoca i Cosacchi, vale a dire la servitù, l’ignoranza, la miseria organizzate,
disciplinate, abbrutite da un dispotismo che tiene tutto sotto la propria mano, le anime e i corpi! Certo, queste
brave persone sono nostri fratelli, come
monsieur Coeurderoy, ma noi troviamo che essi sarebbero troppo incompetenti e troppo
pericolosi , come precettori di economia sociale, di politica e di governo.
Ed è come rivoluzionario, e per fare spazio libero per le idee, che M. Coeurderoy convoca questi legionari del
deserto e li chiama con lo zar alla distruzione ( sac) della civilizzazione. Helàs! La Francia
li conosce. Parigi li ha già visti, due volte, tra le sue mura: e che cosa gli
hanno portato? Antiche reliquie ed antiche servitù: in compenso hanno preso i
nostri tesori e il nostro onore !..... “
(Ch. Ribenyrolles, redattore capo del giornale l’Homme )
Bibliografia: Ernest
Coeurderoy, Trois lettres au Journal “L’Homme” Wikisource in https://fr.wikisource.org/.../Livre:Coeurderoy_-_3_lettres_au_jo... – . Traduzione italiana mia.
Coeurderoy respinse sempre le numerose accuse di
questo tipo che gli vennero mosse, con diverse motivazioni, sia dagli
ambienti nazional-sciovinisti che da quelli
rivoluzionari cercando sempre di chiarire meglio
il suo pensiero sulla “decadenza delle razze franco-latine” e sull ‘
opportuno “intervento della spada
cosacca per fare piazza pulita delle
idee del pensiero occidentale” . (cfr. brano)
Brano da commentare : “
Rivoluzionari anarchici – diciamolo altamente – non abbiamo altra speranza che
nel diluvio umano, non abbiamo altro avvenire che nel caos … Il Disordine è
la salvezza, è l’ordine. Che cosa temiamo
dal sollevamento di tutti i popoli, dallo scatenamento di tutti gli istinti,
dalla distruzione di tutte le dottrine? […] Esiste confusione di uomini, di
idee e di passioni che possa essere più funesta della morale, della scienza,
delle leggi e della gerarchia di oggi?
[…] Non ci sarà più rivoluzione finché i Cosacchi non caleranno … Se voi
mi dite che sono dei Cosacchi, vi risponderò che sono uomini. Se mi dite che
sono ignoranti, vi risponderò che è meglio non sapere nulla che essere dottore
o vittima dei dottori. Se mi dite che sono curvi sotto il Dispotismo, vi
risponderò che hanno solo bisogno di raddrizzarsi. Se mi dite che sono barbari,
vi risponderò che sono più vicini al socialismo …” ( Ernest Coeurderoy I giorni dell’esilio)
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, I giorni dell’Esilio, traduzione e introduzione di Alfredo M. Bonanno vol. I
Edizioni anarchismo, 1981 pp. 21-22
L’obiettivo rivoluzionario principale fu comunque per Coeurderoy la fine dell’autoritarismo e la sua demolizione l’ affidò,
nella sua opera più importante, I giorni dell’esilio direttamente al proletariato francese .
(cfr. brano)
Brano da commentare: "Per fare passare la rivoluzione
attraverso questo secolo come un ferro rovente, bisogna fare una sola cosa: Demolire
l'autorità. Questa proposizione non ha
bisogno di essere dimostrata. Che ciascuno si interroghi e dica se è per sua
volontà o per forza che sopporta che un altro si proclami suo padrone e agisca
come tale. Dica se non ritiene di valere quanto un'altro. Dica se è contento di
fare ingrassare sempre papi, imperatori, re, rappresentanti, monopolisti,
medici, istitutori, giudici, giornalisti, tribuni, direttori, dittatori. Dica
se non desidera essere al più presto
sollevato da tutto ciò. Dica se non capisce meglio da solo ciò che gli è
utile e se volentieri si rimette nelle mani di altra gente. […] Proletari del XIX secolo! Le ore corrono
rapide nel quadro eterno del tempo […]
Pertanto affermiamo : che quello che essi chiamano DIO, è l’ autorità che
protegge il CRIMINE ; che quello che essi chiamano CARNEFICE , è l’autorità che
protegge il CRIMINE; che quello che essi chiamano PROFESSORE , è l’autorità che
sostiene il CRIMINE; che quello che essi chiamano PROPRIETARO, BANCHIERE,
IMPRENDITORE, COMMISSIONARIO, BORGHESE, PADRONE, RE, AVVOCATO, sono infine le
autorità che alimentano il CRIMINE . […]
Guardati soprattutto , Proletario! Di marcare con le stimmate
dell’infamia i tuoi fratelli che essi
chiamano LADRI, ASSASSINI,PROSTITUTE, RIVOLUZIONARI, GALEOTTI, INFAMI. Cessa le
tue maledizioni, non li coprire di fango, salva la loro testa dal colpo fatale.
Non vedi che il soldato ti approva, che il magistrato ti chiama a testimoniare,
che l’usuraio ti sorride, che il prete batte le mani, che lo sbirro ti eccita?
Insensato, insensato! […] Riabilita i criminali, ti
dico, e ti riabiliterai. Non puoi sapere se domani l’insaziabile cupidigia dei
ricchi ti costringerà a rubare quel tozzo di pane senza il quale moriresti di
fame! In verità, ti dico: tutti coloro che i potenti condannano sono vittime
dell’iniquità dei potenti. Quando un uomo uccide o deruba si può dire a colpo
sicuro che la società dirige il suo braccio. Se il proletario non vuole morire
di miseria o di fame: o diventa cosa d’altri, supplizio mille volte peggiore
della morte; - o insorge insieme ai suoi fratelli; o infine insorge da solo se
gli altri rifiutano di condividere la sua sublime risoluzione. E questa
insurrezione, essi la chiamano CRIMINE. ….” ( Ernest Courderoy I giorni dell’esilio)
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, I giorni dell’Esilio, vol. I
Edizioni anarchismo, 1981 pp. 40, 41, 42
Come Dejacques e a differenza di Proudhon , Coeurderoy fu consapevole della sottomissione imposta alle
donne nella società del suo tempo e auspicò la fine del predominio maschile su
di esse. (cfr. brano)
Brano da
commentare: “ Uomini, l’ Avvenire vi punirà, perché avete fatto la legge
perfettamente a vostra immagine: senza delicatezza, senza amore e senza
giustizia; perché l’ avete redatta totalmente in vostro favore: vigliacca,
oppressiva per la donna, infallibile, irrevocabile, indiscutibile,
irreversibile: insulto alla natura, obbrobrio all’umanità! Ignoranti
insensibili, che tramite e vostre
assemblee, i vostri concili, i vostri preti e i vostri oratori, avete osato
dichiarare che la donna, la divina donna, è di natura inferiore alla vostra, d’
argilla più grossolana, d’essenza meno eterea! –Bruti , che cercate di
convincerla che è venuta al mondo per curarvi con zelo, servirvi con
obbedienza, frizionarvi con amore, quanto piaccia a voi ! Ignobili, cupidi,
che la vendete come vostra schiava o
vostro possesso.! Vigliacchi che la rinchiudete, l’incatenate, la deformate, la
mutilate, l’imbavagliate, l’annichilite, la ripudiate, la schiaffeggiate, la
battete con mille colpi, la lapidate con mille pietre, la torturate con mille
torture! … Saggi e sapienti, e santi, e galanti, e Frrrancesi che la tenete sotto perpetua
tutela! “ ( Ernest Coeurderoy in I giorni dell’esilio ).
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, I giorni dell’Esilio, traduzione e introduzione di Alfredo M. Bonanno vol. I
Edizioni anarchismo, 1981 pp. 21
Per quanto riguarda inoltre il rapporto esistente tra l’ Anarchia
e Coeurderderoy cito una , se ho capito bene, sua riflessione sulla parola crazia apparsa
come nota n.2,
in Trois Lettres au journal
“L’HOMME” . (cfr. brano)
Brano da
commentare: “ Termine (crazia) tratto dalla
parola greca cratès, che significa forza, autorità,
dispotismo, terrore, supremazia
degli uni, soggezione degli
altri, abbruttimento dell’uomo sull’uomo, schiavitù di quelli che governano
come di quelli che sono governati. Teocrazia, governo di dio e dei preti –
aristocrazia, governo dei più ragguardevoli (distingués) – democrazia : governo dei più
numerosi , olocrazia, autocrazia, governo di Luigi
XIV, di Nicola, di Bonaparte e di M. Etienne Cabet, officiocrazia, governo di M. Louis Blanc – tricazia, (triumvirato) governo di Mazizni – quinquecrazia, comitato di salute pubblica – decemcrazia, tribunale di appio Claudio – docecrazia, come al governo provvisorio –
20, 30 crazia come nel comitato socialista ,
- un numero favoloso di crazie come nelle assemblee nazionali francesi o svizzere –
tante crazie quante se ne vorrà ; … ciò vuol sempre dire autorità, governo. E
io non riconosco autorità né in terra né in cielo . Grazie a Dio, io ho una
testa, dieci dita, del tempo, una volontà e una penna per dire tutto
ciò che ho da dire. E sono anche francamente anarchico (an-archiste) , quanto uomo possa esserlo”.
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, Trois lettres au Journal “L’Homme” Wikisource in https://fr.wikisource.org/.../Livre:Coeurderoy_-_3_lettres_au_jo... – Traduzione italiana mia.
Bibliografia: Ernest Coeurderoy, Trois lettres au Journal “L’Homme” Wikisource in https://fr.wikisource.org/.../Livre:Coeurderoy_-_3_lettres_au_jo... – Traduzione italiana mia.
Malato, Coeurderoy si suicidò nel 1862 in un paese vicino a Ginevra senza essere dal 1849 più tornato in Francia.
Un fervido commento all’opera sia di Couerderoy che di Déjacque si trova nella
recensione, scritta nel 1911, di Luigi Galleani ai Giorni dell’esilio
Brano da commentare. “ Hanno fatto
un’opera buona che riscuoterà certo il
plauso di tutti gli studiosi e soprattutto dei compagni. Hanno tolto
dall’oblio l’opera capitale di Ernest Coeurderoy, quei Giorni dell’esilio ,
in cui freme di tanti impeti uno dei periodi più tragici delle lotte
proletarie, e nei quali insieme a un anelito, indistinto forse eccessivamente
sentimentale, di integrale liberazione, è un senso dell’arte così squisito e
così vivo da farne oltre che un documento prezioso dal punto di vista
storico e sociale anche un capolavoro di
letteratura e di eloquenza. Noi siamo lontani, assai lontani dall’anima della
generazione che tra la metà e la fine del secolo decimonono ci ha spianato delle sue
audacie e delle orrende persecuzioni con cui le espiò, le vie della
resurrezione, i voti e le imprecazioni che in Dejacque ed in Coeurderoy riecheggiano, con una
violenza sconosciuta al Levitico, il peana degli odii , il singulto delle angustie, il rapimento dei
grandi, generosi amori di cui è turgida incoercibilmente l’anima proletaria, non ci trovano né
sempre né tutti proclivi all’abbandono. Altra l’ispirazione, altra la forma,
altro il ritmo; ma quando chiudete i volumi di Giorni dell’ Esilio , voi avete un bel dirvi che sono vecchie
di mezzo secolo le concezioni rivoluzionarie, che è aberrazione disperata la
rivoluzione per il male ad opera dei cosacchi, del Coeurderoy, che sono furori romantici e retorici i giambi del Dejacque, voi rimanete vostro malgrado, vibranti sotto quell’urto a
chiedervi se siano davvero migliori, perché ci parlano un linguaggio più
semplice, le elucubrazioni e le messianiche profezie dei filosofi molto
positivi e dei voti cortigiani dell’età
nostra . ….” ( Luigi Galleani, in Cronaca Sovversiva, anno IX, n. 3, Gennaio 1911)
Bibliografia : in Ernest Coeurdery, I giorni dell’esilio, Edizioni Anarchismo,
2013
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